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L’economia circolare del rifiuto organico è settore strategico per ambiente, economia e sociale. Ma la scarsa qualità e la capacità eccessiva degli impianti stanno minando il sistema Italia.
Il biowaste, o rifiuto organico, rappresenta una delle sfide ambientali e gestionali più significative del nostro tempo. In Italia, l’avere una gestione virtuosa del biowaste assume un ruolo cruciale per numerosi motivi, ambientali, economici e sociali.
Il biowaste, che comprende tutti i rifiuti di origine organica come residui alimentari e scarti di giardinaggio (rispettivamente il cosiddetto “umido + verde”), rappresenta una quota significativa del totale dei rifiuti prodotti nel Paese. Secondo i dati Ispra, per l’esattezza, tale percentuale si attesta sopra il 38% del totale della raccolta differenziata.
Una corretta gestione di questi rifiuti non solo contribuisce alla riduzione delle emissioni di gas serra derivanti dalla decomposizione anaerobica in discarica, ma favorisce anche la produzione di risorse rinnovabili quali compost e biogas. Vediamo cosa sono.
Nonostante questi potenziali benefici, la gestione del biowaste in Italia oggi si confronta con sfide significative, come la necessità di migliorare la qualità e l’efficienza del trattamento e di gestire la capacità degli impianti in modo sostenibile anche dal punto di vista economico.
Dopo anni di crescita della raccolta dei rifiuti organici, i dati Ispra segnano una battuta d’arresto. Ma a preoccupare è soprattutto l’allarme sulla qualità, nonostante l’introduzione dei Criteri Ambientali Minimi che avrebbero dovuto comportare una miglior raccolta e spingere la richiesta di compost. A dare i numeri e lanciare l’alert è il Centro Studi del CIC, il Consorzio Italiano Compostatori.
Uno dei punti cruciali riguarda l’intervenire sull’implementazione delle raccolte differenziate dell’umido su tutto il territorio italiano. Sono infatti ancora circa 5 milioni gli abitanti residenti in comuni con livelli di intercettazione della frazione umida con ampi margini di miglioramento, oltre ai comuni che ancora oggi non hanno attivato servizi dedicati di raccolta dell’umido. A ciò si assomma un rilevante calo della raccolta differenziata della frazione verde pubblico.
Per poter generare un prodotto di qualità e garantire che il sistema e il settore siano efficienti, le impurità nella raccolta devono essere al di sotto di specifiche percentuali. Secondo i CAM del Ministero dell’Ambiente, il contenuto di impurità merceologiche dovrebbe essere entro il 5%. Nonostante ciò, la realtà dei fatti – fotografata dal Centro Studi CIC – fa emergere come la purezza merceologica media della frazione umida raccolta sia scesa dal 93,8% all’attuale 92,9%. In buona sostanza la frazione umida raccolta e avviata agli impianti di trattamento presenta quindi una percentuale di materiali impropri (materiale non compostabile – MNC) pari al 7,1% del materiale conferito, il che colloca il rifiuto “nazionale” nella classe di qualità B rispetto al sistema di valutazione elaborato dal CIC. Evidentemente, quindi, le indicazioni ministeriali sono purtroppo ad oggi spesso disattese. Tra i principali problemi vi è l’uso di sacchetti non compostabili (e risultano ancora circolanti quelli usa e getta di plastica, nonostante il divieto).
Quando si parla di sostenibilità ambientale si è soliti credere che a mancare – per una corretta transizione ecologica – siano gli impianti. Questo non è sempre vero, come nel caso del compostaggio. In Italia il riciclo dei rifiuti organici nel 2022 è stato affidato a 357 impianti di trattamento biologico, autorizzati a trattare circa 12 milioni di ton/anno di rifiuti a matrice organica, con un ampio margine di crescita rispetto alle 8,35 milioni di tonnellate, raccolte.
In particolare, sono 283 gli impianti di solo compostaggio che producono compost. Rispetto all’anno precedente sono saliti a 74 (11 in più rispetto al 2021) gli impianti che trattano i rifiuti a matrice organica mediante digestione anaerobica, in prevalenza integrati con il processo di compostaggio, per la produzione di compost e biogas.
In Italia c’è l’autosufficienza impiantistica, garantita a livello nazionale e macroregionale. Rispetto a ciò il Centro studi CIC mette in guardia: la promozione di altra capacità impiantistica (anche incentivata economicamente da fondi pubblici) può generare fenomeni di sovra capacità territoriale stante le due condizioni concomitanti: l’avvio all’autosufficienza territoriale e il mancato completamento delle raccolte della frazione umida in alcuni territori.
Per frenare il fenomeno dell’overcapacity che potrebbe mettere in crisi economica gli impianti esistenti e avere ricadute negative nel mondo del lavoro (alcuni siti hanno infatti cominciato a diminuire la capacità e a ricorrere a strumenti di cassa integrazione) si ritiene sia necessaria una pianificazione strategica nei territori che consideri questa nuova tendenza, al fine di trovare un equilibrio sostenibile tra rifiuto prodotto (legato alla quantità e qualità della raccolta dei biowaste) e un’impiantistica dedicata.