La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Quali sono le competenze del leader del futuro? Dal cinema ai libri la narrazione sta cambiando. Vincono l’ascolto e la comunicazione costante.
Mentre rileggevo uno dei miei comfort book preferiti, Call for the dead di John Le Carré, che vado a ripescare ogni volta che ho bisogno di evadere dalla routine, mi sono soffermato a riflettere sulla descrizione che l’autore fa dell’agente Manton – un individuo dispotico ed egoista – diretto superiore di Smiley, protagonista del racconto.
Mi sono chiesto: ma esistono ancora leader di questo tipo? Dai racconti e dai film che ho letto e visto quest’anno pare proprio di si. “Il capo” viene ancora descritto come una figura prevalentemente negativa il cui unico interesse è il profitto o comunque il proprio esclusivo tornaconto. Tuttavia, fuori dallo schermo e dalle pagine dei miei libri preferiti, la narrazione sta cambiando.
Oggi, sappiamo che leader come il nostro agente Manton influenzano negativamente la vita professionale e personale dei dipendenti. Uno studio della Georgetown University ha evidenziato che la mancanza di empatia sul posto di lavoro può avere molte ripercussioni negative, tra cui la diminuzione della produttività e della collaborazione, e l’aumento del turnover aziendale.
Ma c’è di più: gli effetti dannosi di questi comportamenti che oggi possiamo definire “tossici”, hanno ripercussioni anche sulla vita privata dei dipendenti, e non svaniscono magicamente con la chiusura dell’ufficio o del computer. Il 42% dei lavoratori, infatti, dichiara di avere problemi di salute mentale, il 67% vive continuamente sotto stress, il 57% prova spesso ansia e il 54% si sente emotivamente esausto. Inoltre, uno studio dell’Occupational Health Science ha evidenziato come la tensione in ufficio compromette il sonno dei lavoratori, mentre una ricerca condotta dall’Università di Carleton ha dimostrato che i trattamenti ingiusti sul lavoro spingono le persone ad avere meno fiducia nelle proprie capacità genitoriali.
Per affrontare queste sfide, “il capo” del futuro di cui leggerò nei prossimi libri (o almeno spero) dovrà lavorare per guadagnarsi nuovi aggettivi nella letteratura o nel cinema contemporaneo, sviluppando una serie di competenze che gli permettano di ottenere lo status di “buono”.
Di fronte a un problema, tratta gli altri con umanità, riconoscendo le loro preoccupazioni e aspettative. Dimostra concretamente che ogni singolo dipendente è importante e, se necessario, si impegna in prima persona per prendersene cura. Lo fa attraverso due tipi di empatia. Quella cognitiva, che si può esercitare chiedendosi: «Se fossi al tuo posto, cosa penserei in questo momento?», e quella emotiva, da mettere in pratica ponendosi questa domanda: «Nella sua situazione, come mi sentirei adesso?». In entrambi i casi, il passo successivo – quello che fa davvero la differenza – è “passare ai fatti”, cercando di comprendere fino in fondo quali sono le difficoltà del dipendente e offrendogli un aiuto concreto.
L’empatia “in azione” si traduce in una serie di benefici per i dipendenti e contribuisce alla crescita complessiva dell’azienda.
Questa volta, la lettura di uno dei miei libri di spionaggio preferiti si è conclusa in modo differente. Non ho provato la solita nostalgia della campagna inglese o dei suoi misteriosi abitanti, ma ho pensato: peccato che Le Carrè non sia più tra noi altrimenti sono sicuro che avrebbe trovato un modo per licenziare Manton e sostituirlo con un leader più empatico, per assicurare al povero Smiley una vita molto meno complicata.