Il futuro in miniera è green

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Il futuro in miniera è green

Nel settore delle materie prime prezzi e ricavi surfano su ritardi nelle consegne e scarsità dei beni. Poco più sotto, si restringono i margini. Andando in profondità i rischi geopolitici spingono verso la sostenibilità per cui servirebbero investimenti enormi.

Il disordine che oggi muove il settore minerario è tutto qui.  Si fa per dire. Da sempre è sulfureo e polveroso, ma resta importante per il futuro dell’economia globale. Ed ora quali sono i motivi dell’interesse per tutto ciò che viene prodotto in miniera?

Il primo è legato alle performance economiche di questi due ultimi anni: qual è la genesi della crescita economica attuale? Per renderla duratura e non invece pericolosa, dobbiamo giustificarla con ragioni solide e non emotive. Stiamo davvero consumando di più, oppure la domanda e la conseguente scarsità di metalli e terre rare è solo frutto di un rinculo post Covid? Dobbiamo verificare questa ipotesi per escludere che stiamo comprando tanti materiali solo per fare grandi scorte, per la paura di rimanere coi magazzini vuoti, come è accaduto alla fine del lockdown.

Il secondo motivo di interesse per il settore minerario è legato alle dinamiche geopolitiche: sono almeno dieci anni che il mondo non è più piatto, anzi, si sta chiudendo per le diffuse pratiche protezionistiche attuate da molti Paesi, dietro cui ci sono scelte politiche prima che economiche.

Nel 2019, nel mezzo di una guerra commerciale tra Cina e Usa, che tocca soprattutto il cleantech, la prima ha minacciato di tagliare le forniture di terre rare, di cui è il primo produttore al mondo con il 60% del totale. Ed oggi, la lista di ostacoli, barriere ed embarghi più o meno evidenti, più o meno leciti e più o meno dichiarati al commercio internazionale ed allo scambio di materie prime è infinita. La guerra in Ucraina è solo l’ultima dell’elenco, e ci ricorda che quando un uomo con le sanzioni incontra un uomo con le materie prime, l’uomo con le sanzioni ha un problema grosso.

Una costosa strada green

E quale sarebbe il terzo motivo di interesse per le miniere? Si tratta di un motivo “lungo”, non meno importante e potenzialmente deflagrante degli altri due.

È lungo perché parte da lontano, e riguarda l’epica negativa che da sempre avvolge tutto ciò che proviene dal settore minerario. Nel 1878 Giovani Verga scriveva Rosso Malpelo, una novella piena dell’aridità e dei malanni di chi lavorava in miniera, come il giovane protagonista. Nel 1884 Emile Zola scriveva Germinal, un romanzo ambientato nella Francia settentrionale, con al centro la vita aspra dei minatori.

Quello di entrambe le storie era il tempo della seconda rivoluzione industriale, della vera grande accelerazione data dal progresso scientifico a spingere l’impresa, il capitalismo e i cicli produttivi. Nel 1910 Luigi Pirandello scriveva poi Ciàula scopre la luna, ambientato nel contesto di una miniera di zolfo, e l’elenco di storie, romanzi e film che hanno come sfondo il buio delle miniere del mondo è lunghissimo.

Oggi che l’industria arriva al suo terzo appuntamento evolutivo, spinto dal digitale e dalle tecnologie, la miniera è ancora lì, ferma sullo sfondo, con gli occhi neri, i polmoni neri, e le unghie nere di chi ci lavora. E questa è la più recente delle contraddizioni che scompiglia il settore: una realtà produttiva ancora sporca che ora vorremmo ripulita; un comparto – quello del green e della sostenibilità ambientale e dell’energia nuova – che per sbocciare ha bisogno ancora, per l’ultima volta, di qualcosa di sporco.

Così il mondo chiede di percorrere una nuova e costosa strada green anche al settore minerario, tipicamente lontano dal racconto pubblico dell’economia.

Investimenti in ritardo

Oggi chiediamo ad acciaio, alluminio, nichel, litio e cobalto – ma anche al nuovo e fitto elenco di terre rare impiegate proprio nelle nuove tecnologie e nell’energia, i cui processi di estrazione e raffinazione sono tutt’altro che puliti – di prometterci da subito che il futuro in miniera è green.

I soldi infiniti che richiederebbe questa “ripulitura” potrebbero essere utili a:

  • sviluppare nuovi prodotti;
  • ottimizzare i processi, anche con l’Intelligenza Artificiale;
  • innovare l’attività esplorativa e di raffinazione;
  • sostenere e formare nuova forza lavoro;
  • integrare al meglio i produttori con i consumatori del mondo manifatturiero;
  • favorire il riuso ed il riciclo;
  • cercare e promuovere differenti modalità di impiego.

Ed oggi cosa separa questa promessa dalla realtà? Cosa rallenta un’azione d’urgenza per rendere sostenibile la filiera? Sono gli investimenti – storicamente bassi – decisi dagli operatori di settore che, giustamente, prima di muoversi, vogliono fare bene i conti. E su quali basi dovrebbero fare le loro scelte? Quali domande si fanno per decidere se iniettare miliardi di dollari in questa grande trasformazione? Alcune le conosciamo, perché le abbiamo citate all’inizio.

La prima è la verifica della bontà della domanda: la crescita attuale è solida? Durerà a lungo? Fa parte di un cosiddetto superciclo che garantirà domanda costante e crescita dei prezzi? Per ciò che riguarda le tecnologie e il cleantech si direbbe di sì, dato che l’aumento dell’uso delle terre rare precede il Covid. Ma una recessione dietro l’angolo potrebbe smentirlo.

Ed ecco la seconda: i conflitti geopolitici rallenteranno queste tendenze verso il green temporaneamente e con le solite eccezionali scarsità, o stravolgeranno in profondità e a lungo le dinamiche del commercio globale a cui eravamo abituati?

Per queste ragioni, gli investimenti potrebbero arrivare molto tardi, e lasciare l’epica triste e negativa delle miniere del mondo ancora così com’è. Una storia triste da raccontare nei romanzi.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).