La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Se le aree urbane sono oggi in prima linea ad affrontare l’offensiva portata dal cambiamento climatico, come possono individuare e organizzare una riposta di sistema?
Più della metà della popolazione mondiale vive in aree urbane, e nel 2018 l’ONU ha previsto che questa quota salirà al 68% entro il 2050.
Per questo, oltre che a una grande concentrazione di persone, le città sono già un concentrato di grande complessità.
Proprio lì sono innestati i grandi problemi di questa epoca, così come le opportunità e le soluzioni per risolverli.
A determinare il clima delle aree urbane ci sono le condizioni geografiche come la latitudine, la vicinanza alla costa marina o alla montagna, a fiumi o a laghi.
Ma ora ci sono anche i fattori antropici, il cui protagonista e agente è l’uomo.
I palazzi e le costruzioni, la densità della popolazione abitante, le stesse infrastrutture e le strade delle città sono elementi altrettanto influenti sulla determinazione del clima urbano.
Così, il futuro della vita nelle città sembra sempre più il risultato della commistione di questi due fattori, quello ambientale e quello umano.
Entrambi hanno un impatto decisivo nel renderle vivibili e sicure. Anzi, la loro sostenibilità è proprio frutto di una combinazione ottimale di questi due fattori: l’uomo e il suo comportamento nell’ambiente urbano.
Il nostro tempo vive però un forte squilibrio tra questi due elementi, che spesso, combinati insieme, diventano una moltiplicazione di grandi vulnerabilità, oggi vissute in maniera diretta e spesso drammatica.
È infatti il clima a produrre le sollecitazioni più difficili da gestire, esponendo le città a rischi elevati e consegnando loro un set di eventi estremi difficilmente sopportabili.
Le alluvioni come quello accaduto a Giacarta in Indonesia nel 2020, e gli allagamenti improvvisi, dovuti sempre più spesso a precipitazioni intense, mettono sotto stress città anche distanti migliaia di chilometri tra loro, come Bristol in Gran Bretagna, oppure Ho Chi Min in Vietnam.
Nella maggior parte dei casi sono proprio quelle costiere – il 90% tra tutte le aree urbane – a vivere le brutte esperienze presenti, così come quelle future, essendo le più esposte alla crescita del livello dei mari.
Se da una parte in città arriva troppa acqua tutta in una volta, dall’altra può arrivare la siccità, come in Australia, o sulle coste della California.
La scarsità di piogge e di acqua per mesi, come a Cape Town, può difatti mettere a rischio la stessa vita urbana, e coincidere con ondate di calore, come accade in diverse parti dell’India. O addirittura mischiarsi con la diffusione di incendi, come accade in misura crescente nella costa ovest degli Stati Uniti.
La gestione di eventi e rischi diventa ancora più complessa quando si mescola a fattori altrettanto difficili da maneggiare, come:
A rendere l’impatto complessivo di un clima sempre più insostenibile sono la frequenza e l’intensità di questi eventi, i cui risultati sono quasi sempre decessi, aumento della povertà e migrazioni di massa.
L’insieme di queste incognite mette le soluzioni sempre più in mano alla sorte, soprattutto per le moltissime aree urbane prive di risorse materiali, intellettuali o politiche per trovarle.
Ad oggi, infatti, le risposte, quando ci sono, sono spesso disorganizzate, lente, senza forza né risorse adeguate.
Per queste ragioni, la sfida per le città consiste proprio nella mobilitazione e nella sistematizzazione di queste risorse, e nell’adattamento di chi le occupa e le gestisce.
Qualsiasi soluzione per ottenere la riduzione dell’impatto del clima sulle aree urbane, approfondita nel dal global network C40 nel report Focused Adaptation: A strategic approach to climate adaptation in cities, passa da una mappatura organizzata delle potenziali azioni da mettere in atto.
La sicurezza climatica, recentemente inclusa nel Safe Cities Index dell’Economist Intelligence Unit, può forse essere raggiunta gradualmente con un adattamento sistematico che possiamo chiamare col termine inflazionato di resilienza, e può solo avvenire attraverso:
Le città consapevoli dei propri rischi potranno farli entrare nel loro naturale ed abituale ciclo di informazioni, azioni e scelte, comprese quelle amministrative e gestionali.
Potranno pianificare risposte pratiche di breve periodo ed azioni strutturali di lungo periodo, stanziamenti di risorse finanziarie ed umane.
Senza dimenticare che molte delle possibili soluzioni saranno e sono già ispirate alla stessa natura, come nel ricorso al verde di alberi e parchi per interventi di forestazione che contribuiscono all’abbassamento della temperatura.
O passano dalla migliore gestione dei bacini idrografici che intersecano le città, e sono stati proprio la ragione per cui sono nate proprio lì.