Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
Fra venti anni per colpa dell’effetto serra sulle Alpi rimarranno soltanto piccoli ghiacciai. E la soluzione per ora non si vede. Changes Unipol ne ha parlato con il glaciologo Claudio Smiraglia che avverte: «Il fenomeno è globale».
Fra venti anni per colpa dell’effetto serra sulle Alpi rimarranno soltanto piccoli ghiacciai. E la soluzione per ora non si vede. Changes Unipol ne ha parlato con il glaciologo Claudio Smiraglia che avverte: «Il fenomeno è globale».
Presena, Marmolada, Adamello, Forni, Felik, Lys: per gli appassionati di montagna sono nomi che evocano escursioni ad alta quota particolarmente affascinanti. Per gli scienziati, invece, sono il termometro di un cambiamento climatico che proprio nei luoghi più incontaminati del mondo è sempre più evidente. Esattamente come l’Artico e l’Antartico, anche “il terzo polo” freddo della Terra, ovvero i ghiacciai montani (Alpi, Himalaya, Caucaso, Urali, Ande) stanno registrando una riduzione del 75%, in particolare quelli sotto i 3000 metri. L’allarme è lanciato dal report “Ghiaccio bollente” del Wwf. A questo ritmo nella metà del secolo rimarrà ben poco dei giganti bianchi, emblema vivente della forza ma anche delle fragilità della natura. E il danno non sarà soltanto di carattere ambientale: i ghiacciai alpini rappresentano un serbatoio di acqua dolce durante le stagioni estive e secche, dunque sono fondamentali per agricoltura e industria. Se scompaiono, le ripercussioni negative ai sistemi economici e sociali non potranno che essere rilevanti.
Fondamentale, quindi, è monitorare l’arretramento di queste formazioni. Ne sa qualcosa il professore Claudio Smiraglia, glaciologo di fama mondiale dell’Università Statale di Milano, coordinatore insieme alla prof. Guglielmina Diolaiuti del dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio” dell’Ateneo milanese, del gruppo di lavoro che ha portato alla realizzazione nel 2015 del “Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani”, un’opera unica nel suo genere sostenuta dall’Associazione EvK2Cnr e dalla Levissima con il supporto del Comitato glaciologico italiano. «Questo lavoro – spiega Smiraglia – è stato realizzato raccogliendo dati fra il 2008 e il 2012. Un monitoraggio lungo e complesso che ci ha visto non solo operare direttamente sul campo, ma soprattutto avvalerci di moderne tecnologie come foto aeree, immagini satellitari e per la prima volta in assoluto anche di droni. Questi ultimi ci hanno consentito un monitoraggio a bassa quota, fra i 150 e i 200 metri, molto dettagliato». Il quadro complessivo, purtroppo, non è dei più incoraggianti, anzi. «La superficie è passata da 609 kmq del 1989 agli attuali 368, con una riduzione vicina al 40%. Assistiamo – continua il docente – a un fenomeno paradossale: il numero dei ghiacciai è aumentato ma a causa dell’alta frammentazione dei sistemi glaciali. In pratica il surriscaldamento sta dividendo i singoli complessi in unità più piccole. Se non dovessimo assistere a un’inversione di tendenza del clima, è plausibile pensare a un paesaggio alpino, fra una ventina di anni, molto simile a quello dei Pirenei o degli Appennini con i ghiacciai ridotti a qualche isolata placca».
Un fenomeno globale quello dello scioglimento con percentuali del tutto paragonabili anche sul versante settentrionale delle Alpi, in Svizzera e Austria e non solo. «Stiamo partecipando a un progetto con i nostri colleghi elvetici – continua Smiraglia – per realizzare una sorta di catasto alpino senza frontiere. Ma non solo: i nostri ricercatori sono stati impegnati anche in missioni in altri continenti, come la Patagonia. Dovunque, senza eccezione, i ghiacciai che hanno una propria vita, si trovano in una fase di grave patologia, da curare al più presto».
In questa fase, quindi, ogni strumento è buono per cercare di tenere la situazione sotto controllo. E in questo specifico ambito di ricerca i satelliti sono insostituibili. Proprio l’Italia è all’avanguardia tanto da essere coinvolta a livello internazionale in un progetto di osservazione pan-artico per aumentare il monitoraggio spaziale e temporale dell’Artico. Nel corso di una riunione svoltasi nel settembre scorso alla Casa Bianca al quale hanno partecipato i ministri della ricerca di 25 Paesi, l’Italia ha svolto un ruolo d protagonista con i propri radar satellitari. Saranno proposti 3-4 progetti: tra questi spicca quello del Cnr, un radar satellitare che a distanza di centinaia di km è in grado rilevare deformazioni di pochi cm del terreno, come nel caso del terremoto ad Amatrice ma anche di fusione del permafrost nella regione artica, con effetti su abitati e infrastrutture. «Il 15 settembre 2016 abbiamo registrato un nuovo record nello scioglimento dei ghiacci marini a causa del riscaldamento globale, pari a oltre il 40% rispetto a 15-20 anni fa», ha spiegato il prof. Enrico Brugnoli, direttore del dipartimento terra e ambiente del Cnr. Le ripercussioni sul clima mondiale potrebbero essere gravissime con la deviazione delle correnti atmosferiche. Un assaggio di quanto potrebbe accadere lo abbiamo avuto qualche giorno fa con le tempeste di neve nel Sud d’Italia, investito da masse di aria gelida provenienti dalla Russia, mentre al Nord la neve è ormai diventata rara. Un paradosso del surriscaldamento globale.
«Con questi ritmi, nei prossimi 10 anni è possibile prevedere nell’Artico estati prive di ghiaccio o con poco ghiaccio», ha proseguito Brugnoli, ricordando che a questo bisogna sommare l’ancora più allarmante fusione del ghiaccio continentale, «che procede più velocemente di quanto previsto 15 anni fa». Un fenomeno che «solletica anche appetiti energetici e marittimo-commerciali, per la possibilità di sfruttare le riserve di gas e petrolio e di utilizzare nuove rotte a nordovest che ridurrebbero i porti italiani a scali regionali per quasi metà anno».
Le cose non vanno meglio nel Polo Sud dove è di qualche settimana fa la notizia della possibile formazione del più grande iceberg mai visto. Cinquemila chilometri quadrati di ghiaccio, infatti, stanno per staccarsi dalla piattaforma glaciale Larsen C in Antartide. Non ci sarebbe la prova scientifica di una correlazione fra il probabile distacco e il surriscaldamento globale ma gli scienziati, per la prima volta, hanno evidenziato la formazione di piccoli laghi proprio la scorsa estate. Un segnale negativo e l’ennesimo campanello d’allarme.