Il futuro della carne di manzo: rinunciare o scegliere l’allevamento sostenibile?

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Il futuro della carne di manzo: rinunciare o scegliere l’allevamento sostenibile?

Il consumo di carne di manzo è al centro di un acceso dibattito tra sostenibilità ambientale e tradizione alimentare. Dalla deforestazione all’“holistic management”, ecco come potremmo continuare a mangiare carne senza distruggere il pianeta.

Sempre più spesso si parla di ridurre o eliminare la carne dalla nostra dieta per salvaguardare l’ambiente. E non a caso: la produzione di carne, in particolare quella bovina, è responsabile di un notevole impatto in termini di emissioni di gas serra, consumo di acqua e uso del suolo.
La crescente domanda mondiale di manzo ha portato alla distruzione di milioni di ettari di foreste tropicali, specialmente in Asia e in Amazzonia. Qui i pascoli bovini sono considerati responsabili di oltre l’82% della deforestazione totale.
Spesso la creazione di nuovi pascoli inizia con un incendio: la vegetazione viene eliminata e lo spazio occupato dai bovini, provocando perdita di biodiversità e riduzione delle aree naturali protette.

Bovini e gas serra: un impatto sorprendente

Oltre alla deforestazione, i bovini producono grandi quantità di gas serra, in particolare metano e protossido di azoto. Queste sostanze hanno un effetto serra molto più potente dell’anidride carbonica, contribuendo al riscaldamento globale. Il numero elevatissimo di bovini a livello mondiale fa sì che le loro emissioni — dovute a digestione, feci e flatulenze — abbiano un impatto significativo sull’ambiente.

È davvero necessario rinunciare alla carne di manzo?

Non tutti gli esperti, però, ritengono che la soluzione sia smettere di mangiare carne. Alcuni studiosi sostengono che i pascoli, se gestiti correttamente, possano contribuire alla biodiversità e persino alla salute del pianeta.
Da qui nasce il concetto di allevamento sostenibile, che non punta a eliminare la carne, ma a produrla in modo più rispettoso dell’ambiente.

I pascoli sostenibili e il modello di Allan Savory

L’idea di pascolo sostenibile si deve in gran parte ad Allan Savory, agricoltore e ricercatore zimbabuese, padre del cosiddetto holistic management. Questo approccio propone una gestione “a rotazione” delle mandrie, simile al comportamento naturale dei grandi erbivori selvatici.

I benefici sono molteplici:

  • gli zoccoli dei bovini arieggiano il terreno e migliorano la penetrazione di acqua e ossigeno;
  • il movimento a rotazione permette alle piante di rigenerarsi;
  • le feci e le urine concimano naturalmente il terreno.

In questo modo, il pascolo diventa uno strumento di rigenerazione e non di distruzione.

Pascoli e biodiversità: un equilibrio possibile

Secondo i sostenitori dell’approccio olistico, le praterie e i bovini si sono evoluti insieme. I pascoli, quindi, non sarebbero “contro natura”, ma parte integrante dell’ecosistema.
In alcune regioni, pascoli ben gestiti aiutano persino a prevenire gli incendi, poiché gli animali riducono la presenza di specie infestanti secche che alimentano il fuoco. L’obiettivo, dunque, non è eliminare l’allevamento, ma trasformarlo: meno pascoli intensivi, più rotazione e maggiore attenzione alla qualità del suolo.

Dalle certificazioni alle buone pratiche globali

L’allevamento sostenibile passa anche attraverso certificazioni ambientali che garantiscano ai consumatori un prodotto a basso impatto.
In Europa le regolamentazioni sono già molto rigide, ma anche altrove si stanno diffondendo pratiche virtuose.
Negli Stati Uniti, per esempio, il progetto Thousand Hills Lifetime Grazed gestisce milioni di ettari di pascoli rigenerativi, dimostrando che è possibile produrre carne rispettando l’ambiente.

Il futuro della carne di manzo e delle proteine

La domanda globale di proteine continuerà a crescere, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Per questo, secondo molti studiosi, il futuro non sarà fatto di una rinuncia totale alla carne, ma di un equilibrio tra produzione sostenibile e nuove fonti proteiche.
Le aziende alimentari stanno già investendo in alternative, dalla carne coltivata in laboratorio ai prodotti vegetali ad alto contenuto proteico. I governi, dal canto loro, potranno favorire la transizione con politiche di ricerca e incentivi alla sostenibilità.

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Giornalista, ogni settimana scrive per Wired Italia “Non Scaldiamoci”, la newsletter sulle conseguenze politiche e sociali del riscaldamento globale e delle questioni ambientali. Si è occupato soprattutto di ambiente e politica estera, con un’attenzione particolare al continente africano, per varie testate. Tra queste Il Foglio, Wired Italia, Linkiesta, Rolling Stone, Repubblica ed Esquire Italia. Ha scritto reportage dall’Africa, dalla Norvegia, dall’Australia, dalla Polonia, dalla Francia e dal Parlamento europeo. È editor della rivista di saggistica e approfondimento culturale L'indiscreto e dal 2020 al 2022 ha insegnato all’Università degli Studi di Ferrara.