Accendiamo la luce sul futuro
La serie di fantascienza Star Trek è ambientata nell’anno 2264. Gli esseri umani viaggiano nella galassia insieme agli alieni, aiutati da computer, propulsione più veloce d
Il digitale proietta la nostra vita su tanti schermi e lentamente assottiglia la barriera tra reale e virtuale che potrebbe cadere definitivamente nel Metaverso. Il saggio Porcospini Digitali del filosofo Davide Sisto apre a nuovi scenari.
Nel 1851, all’interno del secondo volume di Parerga e Paralipomena, Arthur Schopenauer formulò il celebre “dilemma del porcospino”. Una metafora appuntita e molto chiara della dialettica costante, nell’esistenza umana, tra la necessità di avvicinarsi agli altri e il bisogno di allontanarsene, in entrambi i casi avendo spesso come posta in palio la stessa sopravvivenza. In una giornata di freddo invernale, un gruppo di porcospini si stringono gli uni agli altri per scaldarsi, finendo inevitabilmente per pungersi reciprocamente e provare dolore. Quindi si allontanano di nuovo, tornando a rischiare la morte per assideramento. Per cui si ri-avvicinano ma un po’ meno, fin tanto che trovano una “moderata distanza reciproca” che permette di evitare – o di contenere entro limiti accettabili – sia il dolore che il freddo.
Se il dilemma schopenaueriano era perfettamente calzante in epoca predigitale, lo è forse ancora di più (ma con infinite varianti sul tema) nella nostra epoca iper-connessa. Oggi siamo tutti in bilico tra la voglia di contatto e quella di solitudine, e trovare il giusto mezzo, nonostante la quantità di nuovi strumenti e di canali a disposizione, non è così semplice.
Il saggio Porcospini digitali (Bollati Boringhieri) di Davide Sisto, docente di Filosofia teoretica presso l’Università di Torino ed esperto di tanatologia, parte proprio da questo assunto per dispiegarsi in una panoramica di ampio respiro sui limiti, ma soprattutto le possibilità, che la tecnologia digitale ci offre per superare il dilemma, o almeno per conviverci. Tenendo inevitabilmente conto dell’eredità e dei cambiamenti, alcuni forse irreversibili, sviluppatisi all’ombra dei due anni di pandemia. Il Covid-19, con il suo pesante corollario di lockdown, quarantene, divieti – e contemporaneamente di nuove idee e strategie per mantenere il contatto con i nostri simili ugualmente dislocati nelle proprie case – ha esacerbato i termini dell’opposizione tra prossimità e distanziamento (parola, quest’ultima, che abbiamo imparato a utilizzare quotidianamente). L’indagine/report di Sisto si inscrive nella cornice di una ricerca che l’autore – filosofo ed esperto di tanatologia, cultura digitale e “postumano” – ha già svolto in volumi precedenti come La morte si fa social. Immortalità, memoria e lutto nell’epoca della cultura digitale (2018) e Ricordati di me. La rivoluzione digitale tra memoria e oblio (2020), pubblicati anch’essi da Bollati Boringhieri. In Porcospini digitali l’area in cui Sisto è specializzato viene esplorata soprattutto nell’ultima parte, intitolata in modo vagamente sinistro “Covid-19. La digital death e il Metaverso”, ma anche nelle considerazioni più generali che la precedono il crinale è sempre quello tra vita e morte, spesso traslate in senso “virtuale”.
Il punto di partenza teoretico, ma in definitiva corrispondente all’esperienza di chiunque, è la modificazione radicale della cosiddetta network society già teorizzata negli anni 90 agli albori della diffusione di Internet. Ai tempi, e per diversi anni a seguire, la Rete era una specie di Narnia. Vi si accedeva attraverso un “armadio magico” (schermo di un pc, internet-point), che in qualche modo segnava anche fisicamente la separazione tra off line e on line. Oggi non è più così: a Internet non si accede, ci viviamo immersi senza neanche accorgercene, con tutte le distorsioni di prospettiva che ne conseguono. Lo smartphone non è, quindi, un device votato alla comunicazione, bensì una presenza immanente con la quale ci rapportiamo quasi inconsciamente. O meglio ancora: una “casa trasportabile” nella quale troviamo tutto ciò che ci serve. Compresa, naturalmente, la possibilità di entrare in relazione con gli altri. In questo senso, nota Sisto, lo smartphone e la vita on line h24 (o quasi) hanno segnato la “morte della prossimità”. L’importanza dei corpi – quei corpi per forza di cose costretti nelle proprie abitazioni per mesi, senza alcuna possibilità di entrare in contatto se non virtualmente – viene meno. Vicinanza e distanza diventano concetti assolutamente relativi, possiamo essere “localizzati” con precisione satellitare ma non essere “presenti”. Al posto dei corpi, si fa strada il concetto di “carne digitale”, qualcosa che riporta al mondo del regista David Cronenberg e di certe distopie anni 80/90.
Ma c’è davvero da preoccuparsi per questa deriva sempre più orientata al virtuale, alle identità plurime sui social, alla dislocazione? Oppure la tecnologia ci mette a disposizione sia gli antidoti alle potenziali sciagure che nuove opportunità per ripensare la vita in comune con i nostri simili? La posizione di Sisto è quella neutrale dell’analista, in grado di cogliere sia i pericoli che le possibilità.
Un esempio sul quale l’autore si sofferma, descrivendolo come modello virtuoso, è il progetto Nexa City. Ideato in periodo pre-pandemico all’interno del Politecnico di Torino, è un sito/ambiente multimediale che ricrea i classici luoghi della socialità cittadina e delle interrelazioni urbane attraverso “testimonianze scritte, interviste, registrazioni radiofoniche e audiovisive ecc.”. Un diorama a più livelli della città digitale, spazio urbano totalmente integrato che ci racconta molto delle trasformazioni sociali e culturali nell’era della connettività diffusa e dell’ubiquità della Rete.
Altro concetto cardine nell’excursus di Sisto è quello di “digital liveness”. Ovvero l’esperienza dal vivo comunitaria ai tempi del distanziamento sociale, ad esempio quella di un concerto in streaming. Con la sua versione “reale” la digital liveness condivide la simultaneità ma, nuovamente, non la prossimità. Corpi digitali che pogano a un concerto punk? Perché no. Di più, rispetto all’esperienza fisica, il live streaming possiede la tendenza a prolungarsi nel futuro, essendo sostanzialmente atemporale e replicabile all’infinito.
Nell’ambito dei live streaming da tempo rientra una sfera dell’esperienza umana – e del rapporto con gli altri – decisamente particolare: quella dei funerali. Quel necessario momento di transizione e di elaborazione di un lutto che permette alle persone di “lasciar andare” chi è morto, e che durante i momenti più gravi della pandemia è stato crudelmente negato a molte famiglie a causa dell’emergenza sanitaria. Anche in questo caso, la “vicinanza” (termine che qui assume un significato ancora più stringente) assume forme nuove e impensabili fino a pochi anni fa: la tecnologia digitale ci permette di essere presenti anche se distanti.
Ma non è l’unico esempio legato al momento finale (e al suo “dopo”) di vite ormai abituate a trasportarsi incessantemente dall’on line all’off line. Ci sono gli ologrammi dei defunti, i QR code messi sulle lapidi che riportano all’identità digitale e social fornendo un quadro più completo (e forse più “umano”) rispetto al crudo dato anagrafico, e così via.
Al fondo di questo percorso, nel prossimo futuro ci attende il Metaverso preconizzato da Mark Zuckerberg. Forse è ancora presto per poter fare previsioni, ma è certo che l’ibridazione tra spazi fisici e digitali, tra presenza e distanza, tra corporeità reale e identità virtuale continuerà e si accentuerà. Starà a noi, porcospini digitali, il difficile compito di trovare la quadra.