Sarà un altro cinema

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Sarà un altro cinema

L’intelligenza artificiale sta cambiando il lavoro e la creatività nel settore cinematografico. Resta solo da vedere quanto tempo servirà perché i film del futuro non siano più rimasticature di opere già viste ma opere autenticamente innovative.

«Ai vecchi tempi, ci volevano 5 anni e 500 artisti per realizzare un film d’animazione di livello mondiale. Tra 3 anni non ci vorrà il 10% di quei numeri, di tempo e di persone». Le parole del fondatore della DreamWorks, Jeffrey Katzenberg, produttore del film The Creator (uscito nel 2023), un blockbuster da 80 milioni di dollari che, grazie alla post-produzione informatica, sembra un film da 200 milioni di dollari, prefigurano lo straordinario mutamento che attraversa il settore audiovisivo. E se da un latomolti temono una perdita di posti di lavoro e un calo della creatività, dall’altro l’industria è stimolata dai risparmi sui costi e dalle nuove opportunità creative fornite dai computer. E così, mentre i sindacati mirano a stabilire barriere all’uso dell’IA e gli artisti vanno in tribunale, gli studi cercano di utilizzare sempre più spesso strumenti di intelligenza artificiale nella produzione.

Nel 2024 programmi di AI come Sora di OpenAI e Veo di Google hanno iniziato a generare brevi video clip in base a semplici richieste via prompt; tuttavia, la rapida evoluzione tecnologica suggerisce che di qui al 2030 si arriverà a ottenere un intero film senza intervento umano e a costo quasi zero, sconvolgendo così un’intera industria del valore di 177 miliardi di dollari (dati del 2019), più 237 miliardi di indotto nel mondo.

Le conseguenze più drammatiche di queste novità riguarderanno probabilmente la maggior parte delle professioni legate alle immagini in movimento. «La disoccupazione di milioni di persone è un problema di cui ci dovremmo preoccupare maggiormente», commenta Andrea Viliotti, consulente digitale specializzato in AI. Secondo l’esperto, l’impatto dell’intelligenza artificiale generativa sul mercato del lavoro sarà immenso. «Per i lavoratori con competenze medio basse, all’impatto dell’AI si aggiungerà quello dell’automazione, che renderà inutili le professionalità meno formate. Già oggi molte fabbriche cinesi sono dark factory, ovvero fabbriche senza operai, in cui da un lato entra la materia prima e dall’altro esce il prodotto finito senza che nel mezzo sia intervenuto nessun lavoratore», aggiunge Viliotti. «E domani macchinisti, manovali e addetti alla scenografia potrebbero fare la stessa fine degli operai ed essere rimpiazzati da un colpo di mouse».

Ma anche i lavoratori intellettuali, come gli avvocati o gli sceneggiatori, non possono stare tranquilli, magari perché rassicurati dalle allucinazioni che ora affliggono un software come ChatGPT. «Valutare le prestazioni di ChatGPT su settori verticali è sbagliato, perché il suo è un approccio generalista e quindi, se non ho capacità elevate di raffinare il prompt, le risposte sono generalmente sbagliate. Piuttosto la concorrenza, per i lavoratori iperskillati, verrà alle versioni verticalizzate did AI, studiate per un settore specifico e con un framework organizzato, che già ora, in capo legale, per esempio. si sono dimostrate superiori ai servizi di un avvocato americano medio», sottolinea Viliotti.

L’impatto economico dell’IA sul cinema

Secondo uno studio condotto su 300 leader dell’industria dell’intrattenimento il ricorso all’IA ha già favorito l’eliminazione o la riduzione dei posti di lavoro nelle loro aziende del settore. Nei prossimi 3 anni si stima che quasi 204.000 posizioni saranno tagliate. I mestieri più a rischio sarebbero ingegneri del suono, doppiatori, artisti concettuali e dipendenti base. Tra le mansioni più suscettibili di sparire la creazione di un sound design realistico per film, TV o giochi, la creazione di effetti visivi, lo sviluppo di risorse 3D e i doppiaggi. Già ora il programma TrueSnyc è in grado di manipolare il movimento delle labbra degli interpreti per adattarsi al doppiaggio in diverse lingue, che può essere effettuato da altri software. Secondo Viliotti, è probabile che, dalla postproduzione, l’impatto della tecnologia si allargherà presto alla produzione, dal concept al casting alla regia. Un esempio viene dalla tecnologia di de-invecchiamento usata nel film Here Robert Zemeckis. I due protagonisti, Tom Hanks e Robin Wright, sono stati ringiovaniti digitalmente, rendendo inutile il lavoro di parrucchieri e truccatori. Inmodo analogo, gli strumenti di intelligenza artificiale potrebbero essere sempre più utilizzati per creare immagini in grado di semplificare la progettazione del set e il processo di storyboarding, riducendo la domanda di concept artist, illustratori e animatori.

Certo, le possibilità offerte dai nuovi strumenti possono anche democratizzare l’accesso alla produzione cinematografica. I costi bassi per creare scenari sontuosi o ricreare interpretazioni dei grandi divi del passato saranno alla portata di videomaker a basso budget. «Ma resterà sempre un delta tra una megaproduzione e un film low cost, dato non dalle risorse economiche, ma dalla capacità del regista di ideare un contesto molto preciso e di dare input sempre più raffinati alla macchina», sottolinea Viliotti. Si sposterà così il focus della creatività, che slitterà dalle idee per un film alle istruzioni da impartire a un software.

Per ora, essendo alimentato da prodotti medi, l’IA dà in genere risultati medi. Ma Viliotti prevede che nasca a breve un nuovo mercato di contenuti di qualità, da usare per allenare l’IA e migliorare l’inferenza delle piattaforme sui gusti del pubblico. Resta solo da vedere quanto tempo servirà perché i film del futuro, così alimentati, non siano più rimasticature di opere già viste, bensì opere autenticamente innovative, Anche se, come ha dichiarato Ben Grossmann, supervisore agli effetti speciali che ha vinto l’Oscar per Hugo Cabret nel 2012, una delle maggiori sfide che si dovranno affrontare sarà che l’enorme mole di “nuova” creatività che potrebbe provocare l’effetto contrario e svalutarne il valore intrinseco. E non sappiamo come andrà a finire.

Mantovana, giornalista da oltre 15 anni in Mondadori, collabora a numerose riviste nazionali su temi di attualità e stili di vita. Ha collaborato a una monografia sul cinema di Steven Spielberg e curato la traduzione dall’inglese di un saggio sul Welfare State. ​