Quanto ci siamo TikTokizzati?

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Quanto ci siamo TikTokizzati?

Perché per raggiungere i consumatori under 35, migliorare l’engagement, aumentare la brand equity/brand reputation o attivare l’acquisto si passa da TikTok.

Il fenomeno della tiktoktizzazione della comunicazione esiste, avanza inesorabile, ed è inutile fare troppo gli schizzinosi con lo sguardo rivolto ai bei tempi passati. Perché se si vuole parlare a un certo target, alla Generazione Z (nati tra il 1995 e il 2010), da TikTok si deve transitare.

E non è vero che ai più giovani interessi poco la comunicazione istituzionale o legata a prodotti e servizi. C’è ad esempio il dato eclatante di Silvio Berlusconi, che nel mese di settembre, in campagna elettorale, è entrato al settimo posto assoluto come top influencer su TikTok con 55,2 milioni di interazioni relative ai suoi 35 video, meglio addirittura di Chiara Ferragni (in nona posizione, e ferma a 53,2 milioni, ma con 67 video). 

Poi c’è la ricerca presentata in occasione del progetto educativo multicanale Seguimi, pensato per supportare le piccole e medie imprese a promuovere il proprio business facendo leva su TikTok. La community degli utenti del social è ben predisposta: il 66% degli intervistati, ad esempio, dichiara di essersi imbattuto su TikTok in contenuti di piccole e medie imprese italiane, di cui il 56% in ambito fashion, 50% bellezza, 44% food & drink, 31% viaggi, 24% casa, e 19% gaming. Inoltre, il 67% di chi ha visto questi contenuti afferma di seguire i profili TikTok di piccole e medie imprese, sottolineando come sia proprio TikTok la piattaforma dove interagisce di più col mondo delle pmi. 

Interessante anche la disponibilità da parte dei follower ad attivare azioni, e arrivare anche all’acquisto di prodotti e servizi: rispetto agli utenti italiani che hanno avuto occasione di trovare contenuti di pmi in piattaforma, il 51% li ha condivisi con parenti o amici e, addirittura, il 36% ha fatto un acquisto. Di questi ultimi, il 91% si dichiara soddisfatto del proprio acquisto e il 40% afferma di averlo effettuato dopo aver visto per la prima volta l’azienda su TikTok. Raggiungere il target degli under 35 è un obiettivo anche per aziende che operano in business consolidati come il Gruppo Unipol, che a luglio 2022 è stato tra i primi player assicurativi in Italia a sbarcare su TikTok con un canale corporate pensato per rivolgersi alla Generazione Z. Con una strategia editoriale ricca di contenuti realizzati in collaborazione con creator molto seguiti, in pochi mesi il canale del Gruppo Unipol ha raggiunto oltre 37 mila follower.

Oltre alla ricerca di InSites Consulting, condotta sugli utenti di TikTok, c’è anche quella di Advertiser perception, in cui si è sondato il sentiment di agenzie e inserzionisti, ovvero i professionisti del marketing che decidono dove allocare i budget di comunicazione e quali strategie adottare.  Il 69% dei marketing manager che in Italia già utilizzano TikTok afferma che includeranno la piattaforma nelle proprie campagne nei prossimi 12 mesi. Il 77% dichiara di includere TikTok in almeno il 50% delle campagne in corso e ben il 91% afferma che utilizzerà la piattaforma almeno nel 50% delle proprie campagne l’anno prossimo. Il 65% dice di utilizzare attualmente TikTok per integrare altri canali o piattaforme media. E i responsabili marketing delle pmi vedono risultati reali nell’aggiunta di TikTok al media mix: tra questi, il 61% assicura che TikTok li ha aiutati a raggiungere nuovi consumatori e il 33% ad ampliare la propria base clienti internazionale. Il 35% dichiara di aver incrementato le vendite dei propri prodotti o servizi come risultato diretto della pubblicità su TikTok.  

Investire su un influencer di TikTok, inoltre, significa anche investire sul futuro: il format simbolo di questo social, ovvero il video breve, sta infatti diventando la modalità di comunicazione preferita dai follower di tutti gli altri social. E un fenomeno come Khaby Lame, 134,6 milioni di video views su TikTok in settembre, è anche diventato top influencer su Instagram, primo in settembre con 28,9 milioni di interazioni, superando addirittura Chiara Ferragni (23,8 milioni di interazioni) e Fedez (11,2 milioni). 

Insomma, TikTok, e più in generale il fenomeno dell’Influencer marketing, è in fermento e in continua crescita. Secondo le stime Utenti di pubblicità associati (UPA):

  • Gli investimenti nel 2022 in Italia si aggirano intorno a 294 milioni di euro, +8% rispetto al 2021.
  • Negli ultimi tre anni il peso dell’Influencer marketing nel media mix è molto cambiato, erodendo budget sempre più importanti anche a scapito di altri media e raggiungendo punte del 50% del totale spending in comunicazione, intercettando target più difficili da raggiungere con mezzi come la tv.
  • L’81% delle aziende associate a UPA (ovvero, i principali investitori pubblicitari) nel 2022 ha investito in influencer marketing.

E la società Buzzoole, specializzata in tecnologie e servizi per l’Influencer marketing, ha appena messo a punto il report Lo stato dell’Influencer marketing 2022, sulla base di un’indagine qualitativa focalizzata su grandi aziende attive in Italia e con raggio di azione internazionale in settori chiave per l’Influencer marketing (beauty, fashion, healthcare, editoria, fitness, elettronica di consumo, finance). 

Cambiano le campagne pubblicitarie

Emergono trend interessanti. I brand più sofisticati hanno consolidato un’elevata conoscenza del processo di ingaggio degli influencer e di gestione delle campagne, oltre che una chiara percezione dell’offerta del mercato. Inoltre, sempre più le aziende sofisticate, segmento pari a circa il 30% del mercato large account italiano, sono strutturate con un team interno (plasmato assumendo stabilmente creator precedentemente coinvolti in campagne), con tool tecnologici per agevolare l’operatività e delegando parti del flusso di lavoro a fornitori esterni. 

I brand nella cosiddetta fase adolescenziale, invece, appaiono disorientati davanti a un’offerta di mercato che percepiscono frammentata, affidandosi così ad agenzie esterne per gestire l’intero processo.  Come sottolinea Gianluca Perrelli, chief executive officer di Buzzoole: «Il ruolo dell’influencer marketing è cambiato: è una leva utilizzata per tutte le fasi del funnel di comunicazione (il funnel è quel processo in base al quale un contatto da esterno diventa cliente, attraverso una serie di passaggi, ndr) e nel media mix erode budget sempre più importanti, anche grazie alla maggiore convenienza e alla capacità di raggiungere audience difficili da intercettare attraverso media tradizionali come la tv. Pure la figura dell’influencer si è evoluta e parallelamente anche l’approccio dei brand che sempre più investiranno sulla relazione diretta con gli influencer per fidelizzarli e trasformarli in brand lover». 

Da parte dei brand sofisticati emerge, infatti, un approccio sempre più strategico al rapporto con i creator, oltre che omni canale. Gli organigrammi vengono ridisegnati per creare team dedicati sia alla gestione interna di alcune attivazioni rilevanti, sia al coordinamento di agenzie esterne per le campagne più complesse e che prevedono, ad esempio, il coinvolgimento di centinaia di micro-influencer. In questo ultimo caso, l’azienda preferisce affidare l’analisi dei risultati al team interno equipaggiato con specifici analytics tools. Un fenomeno interessante è che per la formazione e la composizione di questi team interni, le aziende attingono, sempre più frequentemente, a professionalità che arrivano dal mondo dell’Influencer marketing, a volte anche per ricoprire ruoli chiave nelle aree del marketing e della comunicazione. 

Cresce il ruolo di creator e micro-influencer

In generale, Buzzoole ha indagato anche la percezione che i brand hanno dei creator: dall’analisi emerge una figura dalla natura sfaccettata, in parte canale di comunicazione, in parte contenuto, ma anche persona in carne ed ossa. Sicuramente è un soggetto che offre molte opportunità, anche se difficilmente controllabile fino in fondo. A tal fine molti manager tendono a sviluppare una relazione diretta, con programmi di nurturing che puntano a farli diventare brand lover. 

Cresce, inoltre, come detto, l’attenzione sui micro-influencer (Group M conta circa 1,5 milioni di influencer attivi sui social in Italia), considerati una leva di opportunità. Dalle aziende più avvezze all’Influencer marketing e con approccio sofisticato, infatti, i micro-influencer vengono visti come esperti, capaci di produrre contenuti autorevoli e credibili, portatori di pubblici attenti, anche se di nicchia, volti nuovi meno sfruttati commercialmente. 

Addio agli ambassador: meno storytelling più storydoing

Simone Giacomini, fondatore del gruppo Stardust che ha sotto contratto oltre 500 influencer, spiega bene l’evoluzione del fenomeno: «Siamo una pura agenzia di comunicazione e di marketing, e non facciamo solo Influencer marketing. Sviluppiamo progetti di comunicazione, e sfruttiamo anche l’attività dei nostri oltre 500 influencer per amplificare i messaggi. Abbiamo collaborazioni con oltre 100 brand, e i brand cercano Stardust, non il singolo influencer. Siamo l’unica società con un modello industriale, e non ci interessa se magari un anno perdiamo 100 influencer. Noi vogliamo che questa diventi una reale professione, come il conduttore radiofonico o l’attore. E spero che anche la normativa tuteli meglio questa attività, sia sul fronte influencer, sia su quello agenzie. Il mestiere di influencer, quindi, è diventato un lavoro normale, con retribuzioni normali, ma in un ambiente molto meritocratico. E quando la produttività cresce, se sei bravo, porti valore aggiunto, allora guadagni di più”. Qualcuno sostiene che non sia semplice trasformare i follower in interazioni, “ma un conto è usare un solo ambassador. Un conto è usarne 500, quello fa la differenza. Noi abbiamo un engagement pazzesco. Se metti insieme 500 influencer, di varie carature, fai il botto. Noi abbiamo i nostri gruppi di influencer verticali, di categoria, dal food&beverage alla sostenibilità, dal pattinaggio a rotelle alla pesca o alla finanza. Verticali specifici, affiancati però anche da influencer che di solito non si occupano quell’argomento, per amplificare. In Stardust”, conclude Giacomini, “la regola dice niente ambassador, ma tanta amplificazione. E con noi gli influencer sono contenti: lavorano sempre e guadagnano, poco o tanto, ma sempre».

In merito ai canali di attività degli influencer, le aziende, secondo Buzzoole, preferiscono coinvolgere Instagrammer perché sono più abituati a recepire i brief e le direttive dei brand. Verso TikTok c’è un forte interesse, anche se il TikToker, in qualche caso, è percepito come più difficilmente governabile. Tra i social emergenti, Twitch è guardato con attenzione ed interesse, grazie alla capacità di intercettare i giovanissimi come una specie di tv per la GenZ, ma al tempo stesso appare ancora difficile da approcciare e troppo legato al mondo dello sport e del gaming. YouTube oggi non sembra più centrale per le attività con gli influencer, ma viene tenuto in grande considerazione per la capacità di raggiungere audience televisive e per la ricchezza dei contenuti (passioni, tematiche di nicchia), plus che porta qualcuno a definirlo in prospettiva come la tv per l’intrattenimento. 

In futuro, secondo i brand, sul mercato resteranno solo gli influencer che avranno qualcosa da dire, con autenticità, con meno storytelling e più storydoing, con influencer che ci mettono la faccia, assumendo la connotazione di esperti, divulgatori o talenti (se collocati in ambito artistico). In questa sua dimensione di competente, il creator è destinato quindi a entrare nell’orbita del brand attraverso collaborazioni più strette e di lungo periodo.

Il nodo della privacy: cambiano le regole in UE

Il grande successo della piattaforma porta con sé anche qualche punto critico. TikTok ha infatti deciso di cambiare la propria privacy policy in Europa a partire da dicembre 2022. Il criterio che guida il social network cinese è offrire maggiore trasparenza all’utente. In che modo? Migliorare la trasparenza del servizio e la sicurezza dei dati trattati dalla società per tutti gli utenti europei. Ma la nuova privacy policy non ha eliminato alcuni dei dubbi sollevati, negli ultimi anni, dagli esperti del settore, circa l’effettiva riservatezza dei dati trattati dalla piattaforma.
Cosa cambierà davvero? Dal 2 dicembre 2022, saranno modificate le sezioni dedicate al luogo di conservazione dei dati e alle modalità di trattamento dei dati di geolocalizzazione. Finora i dati degli utenti europei sono stati conservati negli Stati Uniti e a Singapore. Secondo quanto dichiarato da TikTok nel 2023 il social media prevede di costruire un serve per i dati europei a Dublino. I controlli di sicurezza prevedono il monitoraggio di accesso al sistema, crittografia e sicurezza della rete.

Milanese, laureato in Economia e commercio alla Università Cattolica del Sacro Cuore, è giornalista del quotidiano ItaliaOggi, co-fondatore di MarketingOggi, esperto di storia ed economia dei media, docente di comunicazione ed economia dei media per oltre 10 anni allo IED di Milano.