Accendiamo la luce sul futuro
La serie di fantascienza Star Trek è ambientata nell’anno 2264. Gli esseri umani viaggiano nella galassia insieme agli alieni, aiutati da computer, propulsione più veloce d
Muri speciali, tessuti ad alta tecnologia, vernici verdi. Per abbassare il livello di Co2 non bastano solo la mobilità green, le targhe alterne, il blocco del traffico e la riduzione dei consumi. Servono idee, ecco le più innovative.
Muri speciali, tessuti ad alta tecnologia, vernici verdi. Per abbassare il livello di Co2 non bastano solo la mobilità green, le targhe alterne, il blocco del traffico e la riduzione dei consumi. Servono idee per sconfiggere l’inquinamento, ecco le più innovative.
Succede più o meno ogni 2-3 mesi: i livelli di polveri sottili si innalzano e tocca rimediare con blocco del traffico, targhe alterne o altre misure che possano ridurre l’inquinamento atmosferico o almeno provarci. E così mentre tutti pensiamo – anche a ragione – che siano strade e quartieri a essere dannosi per i nostri polmoni e in generale per la nostra salute, in casa ci sentiamo al sicuro. Crediamo che l’aria dentro le nostre quattro mura, magari aiutandoci con deumidificatori, favorendo il ricircolo e tenendo tutto pulito e ben ossigenato, sia molto più salubre di quella esterna. Purtroppo questa è una delle tante chimere che l’uomo contemporaneo insegue senza grandi risultati. Perché, anche mentre state leggendo questo articolo e siete in ufficio, casa, treno, macchina non è affatto detto che stiate respirando aria buona, tutt’altro.
A puntare i riflettori su quello che viene chiamato “inquinamento indoor” è uno studio condotto nel 2016 dal Royal College of Physicians di Londra, che tra i vari fattori, oltre a quelli esterni, dà ampio spazio a quelli interni: «Passiamo tanto tempo dentro un ambiente chiuso», si legge nella ricerca, «quindi è necessario considerare le cose che usiamo ogni giorno, dalle nostre cucine a gas ai prodotti per la pulizia e la cura personale, a materiali fai da te. Animali e insetti possono colpire gli uomini così come possono l’umidità e la muffa». Lo stesso ministero della Salute italiano ha raccolto sul suo sito quali sono i principali inquinanti indoor e le loro fonti e nel 2013 il libro “Aria da morire” scritto da Pier Mannucci, professore emerito di Medicina interna all’Università di Milano e all’Ospedale Policlinico di Milano, pose l’accento sullo stesso problema indicando, in base a uno studio della prima metà degli anni 2000, il Towards Healthy Air in Dwellings in Europe, portato avanti dalla European Federation of Allergy and Airways Diseases Patients Associations (EFA) e finanziato dalla Commissione europea, le quattro malattie provocate dall’inquinamento indoor. Nel dettaglio: quelle causate da una sola sostanza, quelle legate ad allergie poco diffuse, quelle ad allergie conosciute (come quella agli acari) o asma e la “sindrome dell’edificio malato”. Quest’ultima è la più pericolosa di tutte perché convoglierebbe su di sé tutta una serie di malesseri che ognuno ha (mal di testa, respirazione affannosa, tachicardia e altro) ma che è difficile ricondurre a una causa ben specifica.
Siamo tutti spacciati allora? No, o almeno non proprio. Perché in un mondo in cui si inquina consapevolmente, le soluzioni innovative tengono conto dei problemi da risolvere ma anche delle esigenze dell’uomo di oggi e del futuro, che passa e passerà sempre più tempo tra una casa che ha comprato con enormi sacrifici e l’ufficio/coworking. Stando sempre meno all’aria aperta e sempre più “dentro qualcosa”. The Breath nasce proprio con questo obiettivo: quello di ridurre costantemente l’inquinamento degli ambienti interni e di farlo tramite un tessuto che assorbe, trattiene e disgrega le molecole inquinanti. Un tessuto che può trovarsi su quadri, stampe e pannelli che arredano abitazioni e uffici, su mappe e materiali didattici nelle scuole o in outdoor, su cartelloni pubblicitari, i famosi 6×3. «Tutto ha avuto inizio nel 2013», ci dice Gianmarco Cammi, inventore oltre che direttore operativo dell’azienda consigliata anche da Legambiente, «quando si è cominciato a parlare di benzene nelle scuole e i mass media hanno iniziato a instillare il dubbio che l’inquinamento fosse anche all’interno. Partendo dall’assunto che ci sono 460mila morti per smog l’anno (dati Agenzia Europea per l’Ambiente 2016, ndr) e che passiamo, tolte le ore di sonno, l’80% del tempo negli spazi chiusi, abbiamo iniziato con lo studiare il tutto dal punto di vista scientifico. Ci siamo fatti supportare dall’Università delle Marche che ha evidenziato come inquinanti non siano solo gli NOx e altri prodotti di combustione, ma anche tutti i rilasci degli elementi che costruiscono la nostra vita quotidiana: abiti che usiamo, armadi ogni volta che ci vestiamo, i mobili con le loro colle e vernici, ogni cosa rilascia degli inquinanti presenti in particolare nei luoghi dove dormiamo e che quindi respiriamo senza accorgercene. The Breath è stato supportato pure dal professore Umberto Veronesi e nasce dalla convinzione che se anche si riesce a ridurre (non sostituire) del 20% l’inquinamento reale, si ha la percezione di una vita migliore». Queste le premesse, ma in realtà dove viene utilizzato e da chi? «Per quanto riguarda gli ambienti indoor», precisa Cammi «in un primo momento ci siamo rivolti al mondo B2B (a breve il B2C con un sistema combinato e – commerce e negozi) e a tutte le aziende che vogliono garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro, come voluto dal DLgs. 81/08. Questo non solo mettendo materiale The Breath in aree particolarmente inquinate come quelle in cui si trovano le stampanti, ma anche tra le varie scrivanie e negli ambienti open space. Gli oggetti The Breath hanno, oltre all’azione adsorbente, anche quella pulente ed antiodore. Ci sono aziende che hanno investito il loro fondo di Corporate Social Responsability per migliorare la salute dei loro dipendenti e, più in generale, lavoriamo con tante aziende di stampaggio e logistica».
Quali possono essere le ricadute economiche oltre che ambientali? «Scegliere The Breath vuol dire intanto migliorare l’ambiente di lavoro che, come sappiamo, influisce sulla qualità e sulla percezione dell’azienda stessa da parte dei dipendenti che, invece, in molti casi si trovano a soffrire l’ambiente in cui si trovano. E a cascata, spendere meno per visite mediche, per sostituire chi è malato e in generale avere un miglior rendimento di tutti. Ma non solo: le aziende potrebbero anche sponsorizzare il ricambio del materiale didattico nelle scuole (in tanti casi davvero obsoleto) e inserire il tutto nelle politiche di Corporate Social Responsibilty, dando in questo modo un prezioso supporto alla comunità e legando il proprio brand ad azioni con forte impatto sociale». Riduzione dell’inquinamento, dunque, che strizza l’occhio alla brand identity. Per quanto riguarda l’outdoor, «le imprese che decidono di fare pubblicità utilizzando i cartelloni con tessuto The Breath, aiutano l’ambiente perché dove vengono di solito posizionati – a un’altezza di 6-8 metri da terra, – l’aria ristagna. In un progetto più ampio che coinvolga anche le istituzioni, le società che scelgono la nostra tecnologia potrebbero avvantaggiarsi di sconti sulle tasse e i Comuni, dal canto loro, visto che è possibile misurarne gli effetti, sospendere o limitare interventi di un certo rilievo (economico e non solo) come l’area C». Trattare, insomma, il problema dell’inquinamento con un approccio sistemico che coinvolga e unisca tutti gli attori, anziché privilegiare azioni isolate. «Finora abbiamo fatto dei test sulla cancellata interna della Telecom a Rozzano e su quella esterna dello Stadio di San Siro e abbiamo iniziato a lavorare con Urban Vision per Milano e Londra», conclude Cammi.
Ma le soluzioni per un problema annoso e forse sottovalutato come l’inquinamento indoor non finiscono qui e ancora una volta vedono coinvolta una startup. In questo caso, il nome della tecnologia è Airlite ed è un particolare tipo di pittura 100% naturale. «Abbiamo iniziato a lavorare nel 2003 portando avanti un lavoro di ricerca scientifica in laboratorio e con test di verifica sul campo» ci spiega l’inventore Massimo Bernardoni. «La società Advanced Materials è nata nel giugno 2013 a Bolzano, il prodotto Airlite è stato presentato nello stesso anno e il brevetto approvato ufficialmente a fine dicembre 2016». Una gestazione lunga ma che alla fine ha portato dove il CEO Antonio Cianci voleva arrivare fin dall’inizio: «Ci ho creduto quando nessuno ci credeva e abbiamo fondato Airlite perché penso che tutti meritiamo di avere delle seconde opportunità: abbiamo sì inquinato la nostra aria però abbiamo anche la possibilità di pulirla».
Airlite, grazie alla luce naturale, riduce l’inquinamento fino all’88%, elimina batteri e muffe (anche quelle resistenti agli antibiotici), neutralizza gli odori di cui rompe la struttura molecolare, abbatte il consumo energetico fino al 50% grazie alle qualità riflettenti, impedisce a polveri e sporco di soffermarsi sui muri. «Con un metro quadrato dipinto con Airlite si ha lo stesso effetto di un metro quadrato di bosco. Quindi se si dipinge con Airlite una superficie pari a quella di un campo da calcio, ossia 7200 metri quadrati, e se contiamo che una vettura percorre mediamente ogni giorno 12 km in una grande città, il risultato è che ogni giorno possiamo bilanciare le emissioni effettuate da 950 automobili».
Ricadute ambientali ma anche economiche sulle aziende visto che, anche in questo caso, Airlite viene usato in ambienti di lavoro oltre a coworking, palestre, scuole. «E di recente in Messico ci è stato chiesto anche negli ospedali» spiegano ancora dall’azienda. «In Italia, a Milano, abbiamo dato vita al Bosco Invisibile, dipingendo gratis le palestre di 5 scuole nella zona 1 per risanare l’aria e la vita dei bambini che le frequentano. Abbiamo voluto dar vita a un prodotto che facesse da depuratore d’aria naturale usando solo l’energia della luce, senza rumore, consumo di elettricità, manutenzione necessaria e con un’efficacia nel tempo. Perché la nostra filosofia resta essenzialmente questa: creare benessere nel mondo riducendo gli effetti dell’inquinamento».