Il Fact checking della storia

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Il Fact checking della storia

Il cortocircuito tra social network e fake news sembra riportarci indietro di 21 secoli. E precisamente al potere della fama, descritto da Ovidio nelle Metamorfosi.

​​​​​«In considerazione del fatto che il nostro potere imperiale è terreno, noi decretiamo che la nostra santissima Chiesa Romana debba essere gloriosamente esaltata sopra il nostro Impero e trono terreno».  È il 30 marzo del 315 e l’imperatore romano Costantino promulga un editto che prenderà il suo nome. La Donazione di Costantino riconosce a Papa Silvestro I la superiorità del potere papale su quello imperiale. La Chiesa di Roma giustificherà per secoli la legittimazione del proprio potere temporale sulla base dell’atto firmato dall’imperatore Costantino. Peccato si trattasse di un falso, smascherato 11 secoli più tardi dal filologo Lorenzo Valla. Una bufala, diremmo oggi. La prima fake news della storia, secondo gli esperti di fact-checking.

L’evoluzione delle notizie false 

Notizie false. Fatti alternativi. Ma soprattutto: bufale. La Quinta Edizione del Vocabolario della Crusca – pubblicata nel 1866 – riporta la locuzione menare altrui pel naso come una bufala, nel senso di raggirare qualcuno. Ma nel novembre del 2016 sono gli Oxford Dictionaries a suonare il campanello dall’allarme: “Post-Truth” è la parola dell’anno. La post-verità entra nel lessico comune. Secondo i linguisti britannici la locuzione definisce “circostanze in cui i fatti obiettivi sono meno influenti nel modellare l’opinione pubblica degli appelli emotivi e delle convinzioni personali”. 

«Le notizie false, sia nella forma di dicerie diffuse a livello popolare che in quella della propaganda, sono sempre esistite. La differenza principale tra ieri e oggi è di tipo quantitativo: la Rete e le forme di comunicazione nate con lei danno la possibilità a tutti di essere fonte di informazione per un pubblico potenzialmente molto vasto e allo stesso tempo anche di essere produttori o diffusori di disinformazione. Rispetto al passato la mera quantità di informazioni false o fuorvianti è cresciuta in modo esponenziale», spiega a Changes Giovanni Zagni, giornalista e direttore di Facta.news, progetto anti-bufale promosso da Pagella Politica su Whatsapp. 

L’8 novembre 2016 Donald Trump diventa il 45esimo Presidente nella storia degli Stati Uniti d’America. Il 23 giugno 2016, cinque mesi prima, i cittadini britannici votano la Brexit. Il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea sancisce l’uscita dei britannici con il 51,89% dei voti a favore. Due eventi storici, che riportano sul banco degli imputati la diffusione di notizie tendenziose e fatti alternativi. Bufale e fake news avrebbero condizionato l’opinione pubblica, promuovendo il radicamento di convinzioni non suffragate dalla realtà e influenzando così il voto nell’urna. Gli esempi si sprecano.

In piena campagna referendaria, il comitato per la Brexit diffonde dati sensazionalistici sui danni sofferti dal Regno Unito e legati all’appartenenza all’Unione Europea. Un manifesto, in particolare, riveste i caratteristici bus londinesi. “Noi contribuiamo all’Unione Europea con 350 milioni di sterline a settimana. Destiniamoli al nostro sistema sanitario” è la scritta che campeggia sui mezzi del trasporto pubblico. Peccato che fosse tutto falso. Mentre i sostenitori della Brexit sostenevano un trasferimento dal Regno Unito all’Europa pari a 18 miliardi di sterline l’anno e 350 milioni a settimana, l’Istituto nazionale di Statistica quantificava un esborso netto di 7 miliardi di sterline l’anno e 136 milioni a settimana. Il 60% in meno di quanto sostenevano i promotori della Brexit. 

«La Brexit e l’-elezione di Trump sono giustamente considerate date chiave per comprendere il fenomeno della disinformazione contemporanea. Si è dunque sviluppato un ampio dibattito su quello che stava andando storto: e uno dei principali fenomeni di questo malessere delle democrazie è stato individuato nell’influenza della disinformazione tramite i social network. È bene ricordare che solo cinque anni prima questi erano considerati uno strumento largamente positivo per promuovere la libera espressione e la democrazia (si pensi al ruolo che si attribuiva loro durante le Primavere arabe): sono passati nell’arco di pochi mesi ad essere gli avvelenatori delle nostre società civili. Sbaglieremmo però a confondere lo strumento (i social network) e gli effetti (la disinformazione) con la causa: la difficoltà dell’establishment globale, il deterioramento e la polarizzazione del dibattito pubblico, l’emergere di nuovi leader con tendenze o retoriche autoritarie sono tutti fenomeni che vengono da più lontano», ragiona Giovanni Zagni

Un fenomeno globale 

Dalla Donazione di Costantino all’elezione di Donald Trump, del resto, la promozione di notizie false continua a rappresentare una costante nella storia dell’umanità. E se da un lato la diffusione del web ha contribuito ad amplificare il fenomeno su scala globale, dall’altro la rete ha offerto anche strumenti di verifica puntuale dei fatti, un tempo appannaggio esclusivo delle redazioni giornalistiche. Il 21 agosto 2008 il sito FactCheck.org smaschera una delle bufale che accompagna la prima campagna per le Presidenziali americane vinta da Barack Obama il 4 novembre 2008. “La nostra conclusione è che Obama è nato negli Stati Uniti, come ha sempre detto” scrivono gli analisti. “Born in the USA” è il titolo del fact-checking che dimostra inoppugnabilmente l’autenticità del certificato di nascita di Barack Obama. Lo staff di FactCheck.org testimonia di aver “visto, toccato, esaminato e fotografato il certificato di nascita originale”. E mette fine, così, ad una delle più pervasive fake news della campagna elettorale.

Il portale diventa protagonista assieme ad altre analoghe iniziative del ritorno in auge in era Internet di una prassi che in realtà è antica quanto il giornalismo. Negli anni ’20, ad esempio, il settimanale Time adottò come tratto distintivo l’accuratezza del “fact-checking”. Ma il lavoro, monotono e poco gratificante, era affidato alle donne. “Venivano redatte schede settimanali che riportavano gli errori contenuti negli articoli pubblicati. E a essere richiamate erano le ricercatrici donne, già sottopagate, anziché gli autori – uomini – degli articoli”, ha scritto il Time in una ricostruzione puntuale del fact-checking dagli albori ad oggi.

 «La stragrande maggioranza degli oltre 200 progetti di fact-checking attivi oggi nel mondo ha meno di dieci anni e sono praticamente tutti online. Sono progetti giovani, dinamici, piccoli, che possono innovare nei modi e nei formati. L’avanguardia tecnologica è senz’altro costituita dai tentativi di automatizzare la verifica dei fatti, creando interfacce che peschino da database di informazioni verificate o di analisi svolte in precedenza per associare una valutazione delle informazioni già mentre un politico parla, o in tempo reale durante la navigazione degli utenti che si imbattono in disinformazione. Ma il fact-checking per come lo concepisco io è essenzialmente una delle tante modalità in cui si è sviluppato il giornalismo negli ultimi dieci o vent’anni», spiega Giovanni Zagni, già direttore di Pagella Politica.

Guardia alta

Del resto i numeri del fenomeno fake news non consentono di abbassare la guardia del fact-checking. Durante le Presidenziali americane del 2016 le 20 notizie false più diffuse avrebbero superato per numero di lettori i principali scoop di quotidiani come Washington Post e New York Times. Nei 4 mesi precedenti al voto di novembre 2016 le fake news legate ai candidati Trump e Clinton hanno coinvolto quasi 9 milioni di persone. Le fonti ufficiali, nello stesso periodo, sarebbero riuscite a coinvolgere non più di 7 milioni di persone. Un adolescente originario di Veles, piccolo centro della Repubblica di Macedonia. La “fabbrica dei troll” Internet Research Agency di San Pietroburgo. O il sito denverguardian.com. Non si contano più i produttori seriali, e accertati, di bufale online.

Dopotutto una delle ragioni che spinge illustri sconosciuti a produrre notizie false, tendenziose e sensazionalistiche resta quella del guadagno facile. Cifre modeste, che però denotano un ritorno per ore lavorate piuttosto elevato. È il meccanismo di remunerazione della pubblicità online a regolare gli introiti. Chi pubblica una pagina web e ospita pubblicità correlata all’articolo, può essere remunerato sulla base delle visualizzazioni raccolte. Un titolo strillato calamita più clic, diventa virale, quindi raccoglie più visualizzazioni, che si trasformano in maggiori entrate pubblicitarie. In Italia Google, la principale società di raccolta pubblicitaria online, offre circa 7 euro ogni 1000 visualizzazioni. Una bufala come l’endorsement di Papa Francesco a Donald Trump da circa 1 milione di condivisioni – che avrà quindi raccolto un numero esponenzialmente più alto di visualizzazioni – garantirebbe un introito per l’estensore di una so​mma non inferiore ai 7 mila euro.

Ragiona Zagni: «Il meccanismo economico delle pagine viste è andato per la maggiore per parecchio tempo e ha sicuramente contribuito alla diffusione di un certo tipo di notizie false. Con il progressivo abbandono dei modelli di busines​s basati solo sulle pagine viste e le contromisure prese da diversi giganti del web però si può dire che le cose stiano lentamente cambiando ed entrando in una fase diversa. Abbiamo visto circolare finte copie della Gazzetta ufficiale tramite le chat di testo, in formato Pdf: in questo caso è da escludere che il fine sia la monetizzazione immediata tramite le pagine viste. Non credo che i cambiamenti in quel settore siano la vera chiave di volta. La sfida è piuttosto trovare nuovi modelli di business slegati da quelle logiche e soprattutto ricostruire il rapporto di fiducia tra i grandi media e il loro pubblico».

Il cortocircuito tra social network e fake news, in realtà, sembra riportarci indietro di 21 secoli. E precisamente al potere della fama, descritto da Ovidio nelle Metamorfosi. Al centro del mondo c’è un luogo che sta fra la terra, il mare e le regioni del cielo, al confine di questi tre regni. Vi abita la Fama: ha eretto la casa nel punto più alto, una casa nella quale ha posto infinite entrate e mille fori, senza che una porta ne impedisca l’accesso. È aperta notte e giorno; tutta di bronzo sonante, vibra tutta, riporta le voci e ripete ciò che sente”, scriveva il poeta nel 12esimo libro delle Metamorfosi. Tre millenni dopo, i social network rischiano di riproporre acriticamente, e diffondere su scala globale, fake news accanto a dati di realtà. Allora come oggi, starebbe all’uomo porre un filtro e attribuire un valore alle parole.

Giornalista, lavora ad Agorà (Rai3). È autore di Play Digital (RaiPlay). Scrive per il Corriere della Sera, le testate RCS, Capital e Forbes. È autore di saggi per l'Enciclopedia Italiana Treccani e ha lavorato in qualità di regista e autore per Quante Storie (Rai3), Codice (Rai1), Tg La7 (La7), Virus (Rai2), Night Tabloid (Rai2), Il Posto Giusto (Rai3), Web Side Story (RaiPlay). È autore del libro: “Guida per umani all’intelligenza artificiale. Noi al centro di un mondo nuovo" (Giunti Editore, Firenze, 2019). Ha vinto i premi giornalistici "State Street Institutional Press Awards" e "MYllennium Award”. ​