Il credito è sociale

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Il credito è sociale

La condivisione dei dati diventa parte di un sistema di rating applicato a individui e imprese. Così la Cina sta rivoluzionando il futuro digitale verso un credito sociale.

La condivisione dei dati diventa parte di un sistema di rating applicato a individui e imprese. Così la Cina sta rivoluzionando il futuro digitale verso un credito sociale .

Lo snobismo occidentale ci ha indotto per anni a credere che il sistema produttivo cinese non fosse in grado di inventare niente, ma solo di copiare. Ora possiamo dire con certezza che non è più così. Il visitatore occasionale torna dalla Cina con gli occhi fuori dalle orbite per il livello d’integrazione delle tecnologie digitali nella vita quotidiana. Se il futuro è digitale, una significativa quota degli 1,4 miliardi di cittadini cinesi c’è già dentro. Più originale ancora è l’utilizzo dei big data da parte del governo, in un sofisticato sistema di controllo sociale. Pechino ha adattato gli onnipresenti sistemi di rating, grazie ai quali le piattaforme online cercano di ottenere un feedback sui fornitori e sull’affidabilità dei clienti, convertendoli in un programma di crediti sociali per schedare i cittadini. Il programma è in via di sperimentazione in diverse città cinesi e dovrebbe essere pienamente operativo entro il 2020. A quel punto sarà pronto per l’esportazione verso altri Paesi: ci si chiede chi si metterà in coda per comprarlo.

«Direi nessuno, da questa parte del mondo: mi sembra un sistema decisamente incompatibile con l’idea di democrazia», sostiene Stefano Da Empoli, economista esperto d’innovazione digitale. «Un conto è immaginare un sistema facoltativo di questo tipo, applicato con il consenso dei singoli a un servizio privato non essenziale, da cui ci si può sempre cancellare. Altra cosa è istituire un programma obbligatorio, promosso dallo Stato. Così diventa un meccanismo di controllo sociale, che difficilmente potrebbe prendere piede in Occidente. C’è una bella differenza fra la popolarità a colpi di like sui social network e una schedatura che poi impedisce ai cittadini ‘asociali’ di accedere ai servizi essenziali».

Quando è stato concepito per la prima volta nei primi anni Duemila, l’intenzione era quella di replicare i sistemi di rating occidentali per la valutazione del merito di credito finanziario delle persone, che influenzano la possibilità di chiedere prestiti e si basano su dati di affidabilità oggettivi. Ma perché, è stata l’idea originale del governo di Xi Jinping, fermarsi al credito finanziario? Perché non usare la tecnologia per valutare quanto è “bravo” un cittadino?

Il sistema privato più importante di punteggio creditizio è il Sesame Credit, sviluppato da Alibaba, il colosso cinese di e-commerce, legato a doppio filo con il governo, che controlla anche Alipay. I dati utilizzati includono la storia creditizia e finanziaria, ma anche alcune caratteristiche personali e i comportamenti sui social e sui siti di shopping. Un punteggio alto permette di ottenere più facilmente prestiti da parte del gruppo finanziario, che mette a disposizione degli utenti diversi strumenti per tenere traccia del proprio punteggio e per poterlo eventualmente migliorare, in modo da usufruire dei vari benefici. Il Sesame Credit è in teoria separato dal sistema nazionale, ma in realtà è entrato a far parte di un ecosistema di attori pubblici e privati che contribuiscono al programma governativo. ​

Nei programmi testati fino ad ora si possono guadagnare punti con delle “buone azioni” come separare e riciclare la spazzatura o donare sangue. I punti si perdono, invece, con un comportamento considerato antisociale: non presentarsi al ristorante senza cancellare la prenotazione, imbrogliare nei giochi online, fumare sui treni o attraversare fuori dalle strisce. Chi ha un punteggio di credito sociale troppo basso, si ritrovi escluso dalle case in affitto, dalle scuole migliori per i figli, dai voli aerei o dai viaggi in treno, com’è successo l’anno scorso a 10 milioni di cittadini, in base alle stime del governo. Oltre ad Alibaba, anche gli altri colossi del web, come Baidu e Tencent, proprietaria di WeChat, rientrano nel programma. L’ultimo arrivato è l’aeroporto di Shenzhen, che seleziona i passeggeri in base all’affidabilità e alla reputazione. Chi ha un punteggio alto avrà un canale preferenziale nei controlli e al check-in, mentre chi ce l’ha basso sarà sottoposto a controlli più approfonditi. Il punteggio viene dato, nel tempo, dalle autorità aeroportuali e dalle compagnie aeree: si perdono punti, ad esempio, litigando allo sportello o in aereo e se ne guadagnano attraverso azioni virtuose, come indicare alla sicurezza dello scalo un bagaglio incustodito.

Il programma comporta un mix micidiale di raccolta dati online e di sorveglianza fisica, tramite telecamere o attraverso le forze dell’ordine, che arricchiscono d’informazioni il dossier di ogni singolo cittadino. Liu Hu, il giornalista dissidente che ha speso gli ultimi vent’anni a combattere la corruzione e la censura governativa cinese, ne è già stato vittima: «Non c’era nessun file, nessuna autorizzazione della polizia, nessuna notifica preventiva ufficiale, ma da un giorno all’altro sono stato semplicemente escluso dalle cose cui un tempo avevo diritto. Quello che fa davvero paura è che non c’è niente che tu possa fare al riguardo. Non puoi segnalarlo a nessuno. Sei bloccato in mezzo al nulla». ​

La novità è che il sistema dei crediti sociali viene applicato non solo agli individui ma anche alle imprese e sta andando oltre i confini della Cina, influenzando società internazionali. Un recente studio di Samantha Hoffman, esperta di politica cinese, per l’Australian Strategic Policy Institute di Canberra, sostiene che l’impatto del sistema sta già modellando il comportamento di società straniere, allineandolo con le preferenze del partito comunista cinese, e ha il potenziale d’interferire direttamente con la sovranità delle altre nazioni. Lo studio esamina episodi recenti in cui le autorità cinesi hanno esercitato pressioni su compagnie aeree internazionali negli Stati Uniti e in Australia per utilizzare la terminologia preferita da Pechino in riferimento a Taiwan e Hong Kong, imponendo le regole del sistema di credito sociale alle società straniere.

Il credito sociale è stato usato specificamente, in questi casi, per costringere le compagnie aeree internazionali a riconoscere e ad adottare la versione della verità del partito comunista cinese e quindi reprimere le prospettive politche alternative su Taiwan. A partire dal 1° gennaio 2018, tutte le società con una licenza commerciale cinese, necessaria per operare nel Paese, sono state incluse nel sistema di credito sociale, grazie al nuovo requisito che le obbliga ad avere un “codice di credito sociale unificato” di 18 cifre. Attraverso questo numero di codice, il governo cinese tiene traccia di tutte le attività commerciali, segnalando le trasgressioni nel suo Registro del credito sociale delle aziende. Dal 30 giugno, il programma è stato esteso alle società no profit, alle Ong, ai sindacati e alle organizzazioni sociali. «Le aziende non hanno altra scelta che conformarsi se vogliono continuare a fare affari in Cina», ha spiegato Hoffman. Le sanzioni fino ad ora sono arrivate sotto forma di multe. Lo studio cita l’esempio della giapponese Muji, che è stata multata per 200.000 yuan a maggio per l’etichettatura di prodotti venduti in Cina che elencavano Taiwan come Paese d’origine. La multa è stata motivata con una violazione della legge cinese sulla pubblicità, che vieta attività contrarie “alla dignità o agli interessi dello Stato”, ma la violazione è stata registrata anche nel Registro del credito sociale delle aziende. Questo potrebbe scatenare ulteriori multe da altre agenzie statali.

Proprio in relazione a questo rischio, la compagnia aerea australiana Qantas ha annunciato qualche mese fa l’intenzione di cambiare la definizione utilizzata sui suoi siti web globali per Taiwan, conformandola alla terminologia preferita dal governo cinese. È il Grande Fratello in formato esportazione.​

​Giornalista, scrive di temi economici, d'innovazione tecnologica, energia e ambiente per diverse testate, fra cui il Corriere della Sera, il Sole 24 Ore e il Quotidiano Nazionale. Invidia i colleghi che riescono a star dietro a Twitter.