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L’alimentazione elettrica presenta grandi vantaggi sui veicoli leggeri ma quando le dimensioni crescono il discorso cambia. Changes ne ha parlato con Massimo Santarelli.
Quando si parla di mobilità del futuro su gomma il peso è l’aspetto che conta di più, almeno per ora. In questa fase, infatti, elettrico fa rima con veicoli leggeri (auto e furgoni) e idrogeno con quelli pesanti. Per quale motivo? Secondo il professore Massimo Santarelli, ordinario di Termodinamica e coordinatore del gruppo di Sistemi elettrochimici per l’energia al Politecnico di Torino e autorità mondiale nel campo delle fuel cells, il nodo è il rendimento, ovvero il rapporto fra l’energia ottenuta in forma utile e quella spesa. «L’idrogeno presenta un indiscutibile vantaggio ambientale, rispetto ai carburanti fossili, perché la sua combustione produce solo vapore acqueo. D’altro canto l’accumulo e conseguente alimentazione elettrica a batterie gode di un beneficio in termini di rendimento complessivo (di roundtrip) che risulta superiore. Quindi la batteria da questo punto di vista è di certo preferibile. Tale convenienza, allo stato attuale della ricerca scientifica, viene meno quando si tratta di far muovere veicoli pesanti, come i Tir: in questo caso se volessimo optare per l’elettricità il pacco batterie dovrebbe essere di tali dimensioni e tanto pesante da rendere la sua installazione a bordo non più conveniente anche perché non ci sarebbe più molto spazio per il trasporto di merci, aspetto fondamentale sui veicoli commerciali».
Proprio per questo motivo l’alimentazione a idrogeno continua a essere un campo nel quale esperti di tutto il mondo si confrontano a suon di ricerche e innovazioni. Attenzione però, perché parlare semplicemente di “idrogeno” sarebbe riduttivo. Questo vettore energetico, infatti, si trova allo stato combinato in diversi gas naturali ed è diffusissimo sotto forma di composti, come l’acqua. Per ricavarlo, quindi, deve essere separato attraverso diversi processi produttivi che consumano energia e quindi possono anche inquinare. Il risultato? Esistono quattro tipi di idrogeno.
Il “grigio” rappresenta oggi più del 90% dell’idrogeno prodotto ed è il risultato di una reazione chimica. Può essere estratto dal gas metano, formato da idrogeno e carbonio, o da altri idrocarburi. Anche il “blu” è estratto da idrocarburi fossili ma diversamente da quanto avviene con il “grigio” l’anidride carbonica che risulta dal processo non viene liberata nell’aria ma sequestrata (ed eventualmente immagazzinata). L’idrogeno “viola” viene estratto dall’acqua usando la corrente prodotta da una centrale nucleare. Infine l’idrogeno “verde”, quello su cui si sta cercando di puntare maggiormente, è estratto da acqua o biomassa utilizzando (per alimentare i processi) fonti rinnovabili di energia. Uno dei processi più considerati, nel breve/medio termine, è chiamato elettrolisi dell’acqua. In sostanza si usa energia elettrica da fonti rinnovabili per separare le molecole di ossigeno e idrogeno.
L’uso dell’idrogeno per muovere i mezzi di grosse dimensioni è, quindi, per ora una sorta di via obbligata rispetto alla batteria per una questione, come abbiamo detto, di rendimento. Anche in questo caso, però, è necessario fare chiarezza.
Un grande vantaggio dell’idrogeno come vettore energetico sta nel fatto che esso si può intercambiare direttamente con un altro vettore, l’energia elettrica. Infatti con l’elettricità si possono ottenere idrogeno e ossigeno mediante l’elettrolisi dell’acqua e, viceversa, usando i dispositivi chiamati celle a combustibile, da idrogeno e ossigeno si può ottenere energia elettrica. Fermo restando, però, che chi vuole usare l’idrogeno o l’energia elettrica deve prima “fabbricarseli” spesso inquinando se non si usano fonti rinnovabili.
«La scelta delle celle a combustibile a idrogeno – spiega il docente – è in uso sui primi camion di grosse dimensioni in circolazione sulle strade europee. Esattamente come avviene con le batterie, le celle alimentano un motore elettrico. Un’altra soluzione allo studio anche in Italia, riguarda la realizzazione di motori termici che usano l’idrogeno al posto del diesel o del gas naturale da bruciare in tradizionali cilindri. A portare avanti lo studio sul motore termico alimentato a idrogeno per i mezzi pesanti sono Punch Torino e AVL Italia. Questa opzione però è una soluzione meno efficiente della conversione elettrochimica, e produce tracce di ossido di azoto».
Assodato che sulle autovetture la batteria batte l’idrogeno, è lecito chiedersi a che punto sia l’Europa nello sviluppo degli accumulatori. «Insegue. Al momento i leader mondiali nella produzione di batterie per auto motive sono gli asiatici con la Cina in testa. L’Europa – spiega Santarelli – ha accumulato un ritardo su questo fronte. Diverso è il discorso relativo all’idrogeno dove il Vecchio Continente può godere di un vantaggio considerevole. Per mantenerlo, però, oltre alla ricerca scientifica si deve puntare adesso sullo sviluppo industriale, e su possibilità di accordo/collaborazione internazionali come per esempio la sponda meridionale del Mediterraneo. In questo senso l’Italia può e deve giocare un ruolo strategico nel futuro prossimo come ponte verso quei Paesi africani che potrebbero diventare partner privilegiati nella produzione di energia pulita. Questa, infatti, sarà sempre più necessaria sia alla produzione dell’idrogeno verde sia per caricare le nostre batterie».
L’idrogeno è già realtà anche nei trasporti super-pesanti. «L’ambito navale è quello di maggiore interesse – spiega Santarelli – dove la cella a combustibile è una scelta di grandissima efficienza. In Europa le prime sperimentazioni furono avviate in Finlandia, quindici anni fa. Questo tipo di propulsione ha anche attirato molto l’interesse di Fincantieri ed è in uso sui sommergibili della marina italiana. L’idrogeno ha già trovato interesse nel trasporto su ferro e presto lo troverà anche nell’aviazione civile. In questo caso si sta lavorando su più fronti, dall’ibridizzazione della batteria con l’idrogeno alle tradizionali turbine aeree che bruciano questo vettore energetico, fino alla realizzazione di combustibili sintetici: è possibile infatti produrre cherosene sinteticamente usando idrogeno e CO2 (i cosiddetti SAF sustainable aircraft fuels). Questa terza via è molto interessante. Sono convinto che da qui a dieci anni molte cose cambieranno».