Auto a prova di cyber criminali
Anche le auto sono sempre più connesse e quindi esposte ad attacchi informatici. In un articolo di Changes, abbiamo raccontato come ci fosse grande preoccupazione tra le autorità
Lo stop dal 2035 alla vendita in Unione europea dei veicoli che emettono gas serra ha riaperto il dibattito sul combustibile più adatto alla transizione.
Il 7 giugno 2022 il Parlamento europeo ha approvato il testo sulla proposta di riduzione delle emissioni delle auto che prevede lo stop alla vendita nell’Unione Europea dal 2035 dei veicoli che emettono gas serra. La norma andrà a colpire tutte le macchine con motori a combustione – benzina, diesel e GPL – che andranno completamente rimpiazzate dai costruttori d’auto con veicoli elettrici, fatti salvi i soli mezzi commerciali pesanti e i modelli venduti in piccole serie, come le supersportive.
La proposta, per diventare esecutiva, deve essere approvata dai governi nazionali dell’Unione Europea, ma ha già creato forti preoccupazioni nel settore. L’ANFIA, l’associazione nazionale delle aziende che operano nella filiera Automotive ha ricordato che: «Ci sono 70.000 posti di lavoro a rischio nell’industria automotive, legata alla produzione di componenti che non serviranno per l’elettrico», posti di lavoro che non saranno compensati dalla crescita di attività nella produzione dei componenti necessari per il veicolo elettrico. Anche le Case Automobilistiche sono preoccupate, soprattutto dal fatto che la necessaria infrastruttura, centraline di ricarica distribuite sul territorio, non sarà forse pronta nel 2035.
La mobilità elettrica soffre di due problemi principali, se confrontata con la mobilità tradizionale a benzina/diesel: l’autonomia ed i tempi di ricarica delle batterie. La tecnologia sta facendo grossi passi avanti, una Tesla Model S si ricarica completamente in un’ora, in venti minuti si ricarica per percorrere 300 Km. Ma per questo occorre una colonnina di ricarica da 450Kw, circa 100 volte la potenza disponibile, tipicamente, al contatore di casa.
Ma esiste una soluzione tecnologica che risolve i problemi del veicolo elettrico a batteria e al contempo rispetta il vincolo delle zero emissioni di gas serra: l’idrogeno. L’idrogeno è un gas e quindi per riempire i serbatoi servono tempi paragonabili a quelli attuali per il GPL o il metano. Produce energia combinandosi con l’ossigeno presente nell’aria e quindi producendo acqua.
Quindi zero emissioni di gas serra, autonomia e tempi di rifornimento simili a quelli attuali.
Dall’idrogeno è possibile ricavare energia in due modi:
L’idrogeno potenzialmente risolverebbe anche il rischio di perdita di posti di lavoro dovuti all’azzeramento della produzione di motori a combustione interna: questi potrebbero continuare ad essere prodotti, ma ad idrogeno. Un motore alimentato ad idrogeno è compatibile con la proposta del parlamento Europeo, non emette gas serra, e veicoli con motori ad idrogeno potrebbero quindi essere venduti anche dopo il 2035.
Un motore a combustione interna potrebbe poi funzionare sia ad idrogeno sia con un combustibile tradizionale, benzina o diesel, cioè con delle soluzioni “bifuel”, come già adesso abbiamo per il metano e Gpl, che vanno anche a benzina. Si potrebbe quindi partire a mettere in commercio veicoli “bi-fuel” ad idrogeno anche prima del 2035. Quando si arriverà alla data di messa al bando dei veicoli a benzina/diesel, sarà sufficiente eliminare il serbatoio della benzina/diesel dai nuovi veicoli immessi sul mercato. Si potrebbe avere quindi una transizione graduale verso la nuova soluzione dell’idrogeno.
Nella cella a combustibile l’idrogeno si combina con l’ossigeno e produce energia elettrica. Come si vede nella figura, gli atomi di idrogeno vengono ionizzati, perdendo gli elettroni che, dopo aver prodotto la corrente che alimenta il carico, si ricombinano con l’ossigeno e l’idrogeno ionizzato producendo acqua.
La reazione è di tipo elettrochimico, come quella che avviene nelle batterie. Infatti, la cella a combustibile viene anche detta pila a combustibile: a differenza delle pile dove occorre prima “caricare” la batteria per ottenere energia, nella pila a combustibile l’energia viene fornita direttamente dal combustibile, in questo caso idrogeno ed ossigeno. Quindi può continuare ad erogare energia indefinitamente, se la si continua ad alimentare con idrogeno e ossigeno. Per l’ossigeno è sufficiente quello contenuto nell’aria.
Il veicolo alimentato con una cella a combustibile deve quindi essere elettrico, meglio se corredato con una batteria tradizionale, per poter gestire meglio gli eventuali picchi di richiesta di energia e, soprattutto, per recuperare l’energia in frenata: una cella a combustibile non può funzionare in modo inverso, cioè per accumulare energia. Questa batteria può però essere molto piccola.
Proviamo a confrontare un veicolo con una autonomia di circa 500 Km, con le diverse tecnologie: diesel, metano, idrogeno e a batteria, in termini di peso e dimensioni del serbatoio, o del pacco batterie.
Per i tempi di ricarica/rifornimento occorrono sempre pochi minuti nel caso di diesel, metano ed idrogeno, mentre si va da mezz’ora (colonnina da 450 Kw) alle 30 ore (in casa) per il veicolo a batteria. Come si vede il veicolo a idrogeno non sarebbe molto diverso dagli attuali a benzina/diesel, e non dovrebbero neanche cambiare le nostre abitudini, nel rifornimento al distributore.
Ci sono alcuni modelli disponibili sul mercato, da costruttori giapponesi e coreani. Attualmente costano molto (60.000-70.000 euro), e sono venduti in numeri piuttosto limitati. Si può ipotizzare che il loro costo potrebbe abbassarsi significativamente se i volumi fossero molto più elevati.
La diffusione è limitata dai problemi connessi con l’idrogeno stesso. Vediamo quali sono.
L’idrogeno è l’elemento più abbondante presente in natura, ma purtroppo non si trova mai isolato, solo combinato, principalmente con l’acqua. Non è quindi una “fonte” di energia, come il petrolio, il sole o il vento, ma un “vettore energetico”, cioè una soluzione per immagazzinare e trasportare energia. Per ottenerlo occorre quindi produrlo. Ci sono due modi principali per produrre l’idrogeno: estraendolo da idrocarburi (reforming) o con l’elettrolisi dell’acqua. Il reforming, partendo dal metano, è attualmente il metodo più semplice ed economico. Il problema è che si produce gas serra CO2. Se questa CO2 viene liberata nell’ambiente abbiamo la produzione del cosiddetto idrogeno “grigio”, se invece viene immagazzinata, eventualmente per altri utilizzi, abbiamo l’idrogeno “blu”.
Per l’elettrolisi occorre fornire energia elettrica, e quindi il processo ha senso solo se l’energia proviene da fonti di energia rinnovabili (solare, eolico, geotermico, ecc.). In questo caso l’idrogeno è “verde”. Attualmente solamente il 2% dell’idrogeno prodotto è “verde”, una transizione verso una mobilità a zero emissioni basata sull’idrogeno ovviamente richiede di produrre principalmente (o anche esclusivamente) idrogeno “verde”.
Alla pressione atmosferica un litro di idrogeno pesa 0,089 grammi. Un serbatoio per contenere un kg di idrogeno, quanto serve per percorrere 100 km, dovrebbe avere un volume di 11 metri cubi, alla pressione atmosferica. Per immagazzinarlo occorre quindi comprimerlo o ridurlo allo stato liquido.
Purtroppo, l’idrogeno diventa liquido alla temperatura di -252,77 gradi. Diventa complesso conservarlo a questa temperatura per cui si preferisce comprimerlo, a pressioni molto elevate, 700 atmosfere. Il serbatoio, per percorrere 100 Km, diventa da circa 30 Litri, un valore compatibile con un utilizzo su veicolo.
Per la distribuzione l’idrogeno può essere trasportato compresso (preferibile per brevi distanze, fino a 300 Km) o liquefatto (preferibile per medie/lunghe distanze). Il trasporto può anche avvenire in gasdotti, laddove disponibili o convenienti, cioè dove la quantità di gas trasportato è grande a sufficienza da giustificare la spesa di un gasdotto dedicato.
La memoria dell’incidente di Hindenburg, il dirigibile gonfiato di idrogeno ed esploso nel suo primo viaggio, ci porta a considerare l’idrogeno come un gas pericoloso. L’idrogeno è eccezionalmente leggero, 14,4 volte più dell’aria, in caso di rilascio accidentale si disperde rapidamente nell’atmosfera, rendendo molto difficile un innesco. Tuttavia, le sue particolari proprietà vanno attentamente considerate nella messa in sicurezza degli impianti. Infatti, come altri carburanti, l’idrogeno è sicuro se i veicoli e le relative infrastrutture di rifornimento rispettano i rigidi standard adottati a livello internazionale. La mobilità elettrica a idrogeno non è più pericolosa di altre soluzioni tradizionali come benzina, gasolio, GPL e metano; questi carburanti, come l’idrogeno, se rilasciati improvvisamente possono essere pericolosi.
I veicoli alimentati a idrogeno oggi sul mercato, sono stati sottoposti a crash test e hanno superato questi test con il massimo dei voti. In particolare, per un modello specifico, la Toyota Mirai, sono stati fatti ulteriori test sparando proiettili sul serbatoio per verificarne l’integrità. Secondo Toyota, il serbatoio del Mirai è “più sicuro di un serbatoio di carburante convenzionale” grazie alle sue molteplici protezioni e alla fibra di carbonio “extra-spessa”. In definitiva, l’idrogeno non è più o meno pericoloso di altri combustibili infiammabili, tra cui gas naturale e benzina e, come tutti i combustibili infiammabili, deve essere gestito in modo responsabile o può comportarsi in modo pericoloso in condizioni specifiche.
I vantaggi dell’idrogeno sono così evidenti che giustificano l’enorme interesse che si sta creando su questa tecnologia. Investimenti si stanno pianificando per risolvere i problemi connessi, principalmente la produzione e la distribuzione.
Il primo settore dove maggiore è l’interesse è quello dei veicoli commerciali. Un veicolo pesante spesso viene utilizzato lungo tutte le 24 ore, cambiando gli autisti: diventa inaccettabile doverlo tenere fermo ore per ricaricarsi. Il peso delle batterie riduce la capacità di carico del veicolo, riducendo quindi la sua efficienza. L’idrogeno diventa quindi una soluzione molto interessante, anche perché i veicoli normalmente ritornano spesso in punti precisi, ad esempio hub di distribuzione, dove un singolo distributore di idrogeno, magari prodotto localmente, potrebbe servirli tutti.
Ma le applicazioni sono molteplici. Navi, treni e aerei possono efficacemente utilizzare l’idrogeno come vettore energetico ed esistono già applicazioni in questo senso. Sui droni, ad esempio, diventa molto interessante sfruttare il rapporto molto favorevole energia/peso dell’idrogeno.
Sarà più complesso poter disporre di questa tecnologia sulla propria vettura. Per questo dovrà essere resa adeguata la rete dei distributori, per permetterli di rifornire anche vetture ad idrogeno. Ma, come è successo per il metano, la rete potrebbe crescere con la crescente diffusione dei veicoli ad idrogeno, promossa dal vantaggio economico offerto dall’idrogeno, minor costo rispetto agli altri combustibili, che dovrebbe essere opportunamente incentivato.
Ma in questo scenario i veicoli dovrebbero essere “bifuel”, cioè in grado di continuare ad utilizzare combustibili tradizionali, che verrebbero abbandonati “naturalmente” dagli utenti a favore del meno inquinante e meno costoso idrogeno. Veicoli ad idrogeno a combustione interna potrebbero quindi guidare questa transizione verso una mobilità basata sull’idrogeno, per arrivare poi, quando i combustibili tradizionali saranno banditi e la rete di distribuzione dell’idrogeno completata, alla massiccia diffusione sul mercato di veicoli a idrogeno a celle di combustibile.