Consumi: il codice a barre lascia il posto al Qr
Poco più di 50 anni fa, il 26 giugno 1974, il codice a barre veniva passato per la prima volta dalla cassa del supermercato Marsh nella città di Troy, in Ohio, su una confezione
Voli aerei, treni, biglietti dei concerti, case in affitto. Il costo di tutti questi servizi può variare in tempo reale in base al grado di interesse delle persone. Il risultato? Prezzi più cari de 30%.
A metà settembre il Governo Meloni ha dovuto fare retromarcia sul caso Ryanair. La norma presentata ad inizio agosto per imporre un prezzo massimo ai biglietti aerei, soprattutto per i voli verso Sardegna e Sicilia, è stata riscritta. Nella nuova versione contiene un emendamento che elimina il divieto di «fissazione dinamica delle tariffe in relazione al tempo di prenotazione». In sostanza, le compagnie hanno recuperato la libertà di stabilire in modo variabile il prezzo dei voli in base al momento della prenotazione, con prezzi più alti via via che si avvicina la data del viaggio e nei periodi con più elevata domanda.
Di cosa stiamo parlando? «Il cosiddetto Dynamic Pricing è una strategia di definizione del prezzo in cui il valore cambia in tempo reale in base a una serie di fattori specifici del singolo mercato», spiega Carlo Cambini, Docente di economia industriale presso la facoltà di ingegneria gestionale del Politecnico di Torino e fino al 2021 capo economista dell’Autorità di regolazione dei trasporti. «Per esempio, se domani a Londra si tengono una partita di richiamo o un grande concerto, posso aspettarmi che gli affitti su Airbnb siano più cari e così pure le tariffe di Uber per chi, dopo l’evento, cerca un passaggio verso casa».
Fin qui, però, siamo dentro la banale legge della domanda e dell’offerta. La prima differenza è che, se è vero che il prezzo fisso è nato solo nel 1876 per evitare lunghe contrattazioni ai dipendenti di un grande magazzino a Filadelfia, ora che tutti acquistano online, a decidere il prezzo è un algoritmo, che lo adegua in un momento preciso.
Il problema però è che questo sistema per definire il costo di un bene o di un servizio utilizza moltissimo i dati personali, dedotti dalle ricerche che facciamo in rete, dai nostri acquisti e pagamenti, dai quotidiani che leggiamo, e dai cookies che lasciamo online quando navighiamo. «In questo modo il singolo consumatore è categorizzato in una fascia di consumo. E se uno, per caso, finisce in una fascia più alta pagherà sempre di più, non solo in alta stagione», dichiara Cambini.
Secondo uno studio di Federprivacy, l’Associazione italiana dei professionisti della privacy e della protezione dei dati, i prezzi applicati da alcuni siti possono aumentare anche del 30% attraverso il Dynamic Pricing, che determina prezzi “su misura” in base al grado di interesse e alla capacità di spesa dei potenziali acquirenti.
Questa strategia aumenta i margini delle società, ma può ritorcersi loro contro, come nel caso di Booking, multata nel 2017 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per pratiche commerciali scorrette. Più dibattuto il caso di TicketMaster, al centro di dure proteste dei fan quando i prezzi del biglietto del concerto di Bruce Springsteen in Italia sono raddoppiati rispetto al valore nominale. La società non ha fatto dietrofont, ma gli artisti sì: Robert Smith, il cantante dei Cure, ha fatto rimborsare i costi di servizio ai fan, mentre Taylor Swift non ha rinnovato il contratto con Ticketmaster per il suo tour Era.
È lecito chiedersi se sia etico fare pagare uno stesso bene in modi diversi, a rischio di possibili discriminazioni. Per esempio, capita che gli host di Airbnb in certi Paesi facciano pagare di più le persone non bianche. E allora: il Dynamic Pricing favorisce la concorrenza, consentendo ai consumatori di confrontare i prezzi e comprare a meno, o li danneggia? «Nel normale gioco competitivo, tutte le aziende abbassano le tariffe per accaparrarsi più clienti» sottolinea Cambini. «Quando a fissare i prezzi però è il medesimo software, che viene comprato da tutte le compagnie aeree, le dinamiche di decisione dei prezzi risultano identiche. Quindi, chi è profilato in un dato modo immancabilmente si ritrova con lo stesso prezzo dovunque». Il risultato? Chi compra più spesso voli aerei ed è profilato come un viaggiatore business (con una minore flessibilità sui giorni di partenza/arrivo) in base alla personalizzazione dell’offerta calcolata dal software non troverà mai offerte sotto una certa soglia.
Cosa si può fare dunque per difendersi? Ad intervenire dovrebbero essere gli organismi di controllo pubblici, i quali però agiscono quasi sempre solo su elementi parziali della definizione del prezzo. Per esempio, l’Autorità di regolazione dei trasporti di cui Cambini ha fatto parte, ha potuto fissare il costo per l’uso della rete ferroviaria, non quello dei biglietti. Nel caos dei voli gli organismi preposti potrebbero raccogliere i prezzi delle tratte e osservare se vengono gonfiati, ma non è chiaro se ciò sia autorizzato dalla legge. Sono i privati, allora, che devono pensare come difendersi. Le armi disponibili si chiamano confronto e monitoraggio dei prezzi online, acquisti in momenti diversi, per sfruttare temporanei cali della domanda, utilizzo di VPN o modalità di navigazione in incognito, per evitare offerte ad personam. «Purtroppo, per competenze informatiche di base, gli italiani sono tra gli ultimi nell’Unione europea e più del 95% accetta tutti i cookies o non setta meccanismi di privacy» constata Cambini. La speranza quindi è che una tutela arrivi dalle nuove direttive Ue Digital Services Act e Digital Market Act, finalizzate a limitare l’uso dei nostri dati da parte delle imprese. Perché la verità è che, se un tempo nei negozi si diceva customer is king, il cliente è il re, nell’era degli acquisti online contro gli algoritmi il singolo non ha alcun potere negoziale.