C’era una volta la memoria

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C’era una volta la memoria

Il digitale facilita la nostra vita, assumendosi l’onere di pensare, parlare e agire per noi. Una delle principali funzioni umane oggi è affidata a dispositivi esterni, ad archivi immateriali, a motori di ricerca.

Avete più di 30 anni, o poco meno? Ricordate sicuramente almeno un numero di cellulare o di telefono (“questo sconosciuto”) a memoria. O siete persino capaci di augurare un buon compleanno ai vostri amici, senza ricevere alcuna notifica preventiva. Siete dei nativi digitali? Queste abilità sono per voi pressoché inesistenti, o perlomeno rare: da sempre, custodite numeri, eventi ed esistenze al di fuori della vostra mente. E gradualmente abbiamo imparato a farlo anche noi.

Il digitale facilita la nostra vita, assumendosi l’onere di pensare, parlare e agire per noi. Tra le funzioni umane assegnate alle macchine troneggia la memoria: oggi è affidata a dispositivi esterni, ad archivi immateriali, a motori di ricerca.

L’importanza della complessità

Queste confortevoli tecnologie non sono condannabili, né lo è di certo la semplicità. Ma – è necessario ammetterlo – cancellare gli ostacoli che separano i nostri pensieri dai nostri obiettivi può causare importanti conseguenze. La complessità è un’opportunità inestimabile perché è direttamente proporzionale allo sviluppo delle nostre capacità cognitive.

Poco tempo fa, una persona mi ha raccontato che da bambina, in assenza di qualcuno che le spiegasse il significato delle parole e delle cose, sgattaiolava di nascosto in una stanza della sua casa per consultare l’Enciclopedia Treccani. Il tempo impiegato per raggiungere il suo obiettivo di conoscenza era relazionato allo spostamento fisico, alla gestione degli imprevisti (il diktat era giocare, non imparare), allo sforzo di comprendere. Attualmente – credetemi – è una donna con notevoli capacità mnemoniche. Un esempio più immediato? L’uso del navigatore ha ridotto considerevolmente la nostra abilità di orientamento: con la rimozione dell’ostacolo, è stata rimossa anche la memoria del percorso e della meta.  

Addio alla fatica di ricordare

Insomma, ormai sappiamo che il cervello umano è plastico, continuamente plasmabile e riconfigurabile sulla base dell’attività dei neuroni e dell’esperienza, che potenzia alcuni collegamenti, cancellandone altri. E siamo quindi obbligati a constatare che le tecnologie ci hanno indotto a sottoutilizzare diverse funzioni cognitive, trasformando le nostre modalità di apprendimento, limitando la nostra capacità di concentrazione, e, in particolare, riducendo notevolmente la nostra abilità mnemonica.

Oggi i dispostivi elettronici rispondono a qualsiasi nostra richiesta, risolvendo in pochi secondi ogni tipo di complicazione. Se prima per soddisfare una necessità erano indispensabili tempo, spostamento e dedizione, ora tutto – notizie, prodotti, dati – ci raggiunge senza che sia necessario per noi compiere alcun tipo di sforzo, che non sia quello relativo al movimento di un dito su uno schermo o su una tastiera.

Abbiamo un dubbio? C’è Wikipedia – o, per i più minuziosi, la Treccani on-line. Tendenzialmente però, per appagare la nostra curiosità passeggera o, forse, semplicemente la nostra ansia da informazione, leggiamo soltanto un trafiletto introduttivo, le prime tre righe di spiegazione. Non sfidiamo più il nostro cervello. E, dunque, la facilità di consultazione rende meno efficace la sedimentazione della memoria e dell’apprendimento: dimentichiamo – spesso (pensateci) anche dopo qualche minuto – tutto ciò che è facile da reperire senza alcun impegno, in qualsiasi momento, e in pochi istanti. Qualsiasi informazione recuperata passivamente, o troppo velocemente, non crea una memoria solida.

Il nostro movimento cognitivo galleggia ormai sulla superficie: la nostra mente si muove sempre più raramente in verticale, in profondità, saltando invece da un’informazione all’altra – la più breve, la più incisiva, la più semplice. Instagram e Twitter ci hanno persino insegnato a modellare il nostro modo di elaborare pensieri: less is more. Sì, ma non per il cervello che, abituandosi alla semplificazione, si abitua all’impazienza e all’immediatezza. Vogliamo sapere tutto e subito: ecco la consultazione, senza l’approfondimento; ecco la prima notizia, anche falsa, senza la necessaria verifica.

Un problema di gestione

Qual è la soluzione a questa amnesia (che, ne sono certo, non è un irreversibile oblio)? Ormai la tecnologia fa a tal punto parte della nostra esistenza che sarebbe assurdo (e anche alquanto dannoso, soprattutto in termini di socialità) rinunciarvi per tentare di riacquisire le nostre precedenti abilità.

Le circostanze della nostra esistenza si modificano e, insieme a esse, le nostre strategie mnemoniche e cognitive; eppure – pensateci bene – abbiamo sempre esternalizzato la memoria. In origine, nella voce: si memorizzava ogni cosa, declamandola affinché tutta la collettività potesse ricordarla. In seguito, nei libri – copiati a mano e poi stampati –, che sono diventati custodi di una memoria fuori dal nostro corpo, ricordando per noi. Infine, nel digitale, un hard disk infinito e infinitamente accessibile dov’è conservata la capacità di cui ci siamo gradualmente privati. Dunque, si tratta solo di saper gestire i nuovi supporti mnemonici, sostegni per la curiosità e non sostituti del cervello.

Occorre educarsi a un nuovo tipo di memoria. Di fronte all’enorme flusso di informazioni che regna nel digitale è necessario compiere un filtraggio, l’unica azione che consente di poter ragionare e, di conseguenza, memorizzare. Distinguere il falso dal vero, cercare le verità (e non la Verità), muoversi in verticale, oltrepassare le distorsioni, decostruire le falsità ci consente di silenziare il canto di queste nuove sirene che invitano a dimenticare. In una parola, occorre comprendere.

Riflettendoci, è esattamente quello che i nostri maestri di scuola ci chiedevano di fare prima di imparare una poesia a memoria. Per ricordare, prima bisognava necessariamente capire.

Economista, consulente strategico e corporate trainer. Si è formato all’Università Bocconi di Milano e all’INSEAD di Fontainebleau, e ha girato il mondo per lavoro e per passione: Head of Business Development Unit di Finmeccanica in Russia, Senior Manager di McKinsey a Londra e Principal di AlphaBeta a Singapore, dove ha gestito progetti con aziende del calibro di Google, Uber e Microsoft. In precedenza, ha lavorato anche presso Goldman Sachs e le Nazioni Unite a New York. Tornato a Bari, ha fondato la Disal Consulting e si occupa di ricerca, consulenza, comunicazione e formazione per grandi aziende italiane (Ferrari e UniCredit), colossi digitali (Netflix e Amazon), istituzioni multilaterali (World Economic Forum) e governi nazionali (Francia, Cina e Germania). Insegna alla IE Business School di Madrid e alla Nanyang di Singapore, e dirige il Master in Digital Entrepreneurship presso H-Farm, dove cerca di trasmettere l’importanza dello storytelling per la riuscita di un progetto imprenditoriale. Dopo il successo del suo primo libro Flow Generation - manuale di sopravvivenza per vite imprevedibili, ha pubblicato con Hoepli Phygital - il nuovo marketing tra fisico e digitale.