Metaverso: perché l’uso vale più del prodotto

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Metaverso: perché l’uso vale più del prodotto

In uno spazio nuovo dove tecnologia, economia e cultura si intersecano le armi in mano ai brand per vincere la sfida sono tante. Come funziona la strategia Business To Creator.

Come ho scritto nei miei ultimi articoli pubblicati su Changes, la creatività definirà l’intero ecosistema delle relazioni tra i brand e le persone, sia nei mondi virtuali del Metaverso che nell’intersezione tra questi e il mondo reale. Ho aggiunto inoltre che l’economia del Metaverso sarà un’economia basata sulla creazione, cioè un’economia nella quale sarà molto più facile per tutti gli individui, sfruttando le proprie capacità, sviluppare nuova proprietà intellettuale, cioè nuovi prodotti o servizi, sia fisici che digitali, vendibili nel mondo reale o virtuale.

Nel Metaverso quindi, i brand che creano valore non saranno quelli che producono cose utili e belle per i consumatori, ma saranno quelli che aiutano i creatori a realizzare cose utili e belle, attraverso una strategia Business To Creator. Le modalità di creazione del valore saranno però significativamente diverse rispetto a quelle che abbiamo conosciuto fino ad oggi, e pertanto la strategia di un brand che si rivolge ai creatori dovrà essere significativamente diversa rispetto ad una strategia finalizzata a vendere prodotti o servizi ai consumatori. Per i brand che intendono competere nel Metaverso, si rende quindi necessario dotarsi di un metodo di analisi e pianificazione strategica attraverso il quale capire da cosa dipende il successo competitivo e quali sono le leve su cui agire per creare valore economico. A questo scopo, nella mia attività professionale e di ricerca ho sviluppato ed applicato un modello attraverso il quale identificare i fattori critici di successo nel Metaverso, valutare l’attrattività dei mondi virtuali e prendere decisioni sul comportamento strategico da seguire nel Metaverso.

Ho chiamato questo modello “Le 5 forze competitive per creare valore nel Metaverso”, per analogia con il modello di analisi strategica sviluppato da Michael Porter alla fine degli anni ’70.

Le 5 forze competitive che ho individuato sono le seguenti:

  • L’Ingegneria Genetica dei Prodotti Fisici attraverso gli NFT
  • La Connessione Emozionale attraverso gli NFT Dinamici
  • Il Brand Community Mix e i Social Token
  • Ecosistemi Esperienziali e NFT Sociali
  • La Personificazione del Brand

Le 5 forze competitive possono essere utilizzate da tutte le aziende che hanno dei creatori – o dei potenziali creatori – nel proprio mercato target. Si tratta quindi di tutte quelle aziende che operano nella produzione e vendita di beni fisici o digitali, oppure nei settori dei servizi, sia fisici che digitali, e che si rivolgono ai consumatori finali, agli artigiani, ai professionisti ed ai piccoli imprenditori. Mentre le aziende che realizzano beni fisici o digitali possono fare leva su ciascuna delle 5 forze, le aziende che operano nei settori dei servizi fisici o digitali possono fare leva sulle 5 forze con l’esclusione della prima.

Nel mio ultimo articolo ho descritto le prime due forze competitive, di seguito descrivo le tre forze rimanenti.

Il Brand Community Mix e i Social Token

Una caratteristica fondamentale dell’economia dei creatori è rappresentata dal fatto che la creazione è spesso un atto collaborativo. I creatori di YouTube recitano nei video che sono stati realizzati precedentemente da altri creatori. E anche i video su TikTok sono molto spesso realizzati a “tante mani”, cioè attraverso il lavoro di più creatori: la colonna sonora viene realizzata da un creatore, la coreografia da un altro, e così via.

Le tecnologie della blockchain possono favorire enormemente la realizzazione di meccanismi di creazione collaborativa, e in particolare possono stimolare il lavoro dei creatori verso un obiettivo comune, attraverso le cosiddette DAO, cioè le Decentralized Autonomous Organizations, ovvero, le organizzazioni autonome decentralizzate. Nei mesi scorsi hanno colpito in modo particolare alcune DAO nate con obiettivi decisamente ambiziosi. Basta pensare al caso di un ex-dipendente dell’ufficio legale di Cisco che ha creato una DAO con l’obiettivo di acquisire il Denver Broncos, una delle squadre più note di football americano, messa in vendita per 4 miliardi di dollari. Oppure il caso di Football Club, una DAO nata recentemente per diventare il più grande club di tifosi di calcio al mondo, il cui manifesto recita “The club is for those who love football and hate that billionaires run our game”. O ancora, il caso di due DAO sud-coreane che hanno partecipato ad un’asta alla fine del mese di gennaio per acquistare un paio di sculture in bronzo risalenti all’anno 563, considerate tesori nazionali da parte del governo coreano. Le due sculture sono state messe all’asta da un museo privato di Seoul – il Kansong Art Museum – caduto in gravi difficoltà finanziarie a causa della pandemia. Quando i preziosi manufatti non hanno ricevuto offerte, i rappresentanti delle due DAO hanno contattato congiuntamente il museo per negoziare privatamente un acquisto. L’obiettivo dichiarato dalle due DAO è stato quello di evitare che le due sculture entrassero in una collezione privata e non fossero più visibili al pubblico.

D’altra parte, le DAO possono essere create anche per raggiungere un “obiettivo di creazione di valore economico”, sfruttando e premiando le competenze professionali dei creatori. Nel Metaverso abbondano i casi di DAO che hanno chiaramente mostrato meccanismi di questo genere. Oltre alla nota Decentraland – uno dei mondi virtuali più noti – sono centinaia le DAO che hanno come obiettivo quello di creare valore per i membri co-creatori. Alla data in cui sto scrivendo, il valore complessivo dell’attivo di bilancio delle DAO – il cosiddetto “treasury” – è pari a circa 9,8 miliardi di dollari, di cui il oltre il 75% è posseduto dalle prime 15 DAO. E se quasi tutte le DAO con i valori maggiori di treasury sono formate da sviluppatori con competenze nelle tecnologie della blockchain, questo non impedisce che co-creatori con skill completamente diverse possano formare una DAO – sotto la spinta e il contributo di un brand, che si fa promotore della sua creazione e sviluppo. Un brand potrebbe infatti farsi promotore di numerose comunità, segmentando opportunamente la sua base clienti e il suo pubblico target. E queste comunità potrebbero a loro volta diventare dei veri e propri brand, creando così un Brand Community Mix. Il brand community mix può essere così considerato un’iterazione fluida di ecosistemi fisici e digitali, attraverso la quale un ‘brand padre’ fornisce il proprio supporto a gruppi di creatori affinché possano realizzare essi stessi dei brand di successo, sfruttando le loro abilità. In questo modo potrebbero svilupparsi dei ‘brand figli’, che potrebbero avere gli obiettivi più vari, quali la realizzazione e la vendita di prodotti fisici o digitali, ma anche la creazione di una piattaforma per vendere servizi nel mondo fisico. Pensate ad esempio ad una comunità realizzata con il supporto di un brand del settore auto che crea una piattaforma di servizi simile a Uber. Oppure, una comunità creata con il supporto di un brand del settore arredamento che realizza un marketplace simile a Etsy. Vista la numerosità dei creatori, gli esempi che si possono immaginare sono praticamente innumerevoli e possono riguardare tutte le aziende che hanno come clienti i singoli consumatori privati, nonché le aziende – anche di servizi – che hanno come clienti artigiani, commercianti e piccole imprese.

Per favorire lo sviluppo di queste comunità e dei rispettivi brand, il Web di terza generazione mette a disposizione i Social Token, cioè un tipo particolare di token fungibile che può essere “coniato” da ogni singola comunità e che consente ai membri della comunità nonché al brand padre di monetizzare la proprietà del brand figlio. I Social Token sono infatti trasferibili liberamente e possono essere quotati sugli exchange di criptovalute, riflettendo il valore al quale il brand di una comunità è “prezzato” dal mercato. I primi membri possono utilizzare questi mercati per “incassare” – esattamente come gli early investors delle startup – mentre nuovi potenziali membri possono entrare e dare il loro contributo alla crescita.

I Social Token sono quindi allo stesso tempo uno strumento finanziario che traccia il valore del brand creato dalle singole comunità del mix, nonché un magnete per attirare altri creatori. Il valore di mercato dei Social Token sarebbe così un chiaro indicatore del successo del Brand Community Mix che ricompenserebbe finanziariamente sia il brand padre che i creatori delle singole comunità.

Ecosistemi Esperienziali e NFT Sociali

Il contatto tra un brand e i consumatori fino ad oggi è sempre avvenuto secondo tempi, luoghi e modalità progettate e realizzate dagli stessi brand, piuttosto che dai suoi distributori o dai retailer fisici e digitali. Se volete acquistare un abito di un brand che vi piace, vi recate in un negozio di quel brand oppure visitate il sito web piuttosto che il sito di un retailer digitale multimarca. Se invece volete solo “vedere” come vi sta una giacca una volta indossata, allora potete dare un’occhiata alle pagine Instagram del brand. Analogamente, se volete acquistare un’auto vi recate presso il più vicino concessionario di quel brand, mentre se volete acquistare una polizza assicurativa vi recate presso un’agenzia di quella compagnia oppure visitate il suo sito web o le pagine web di un comparatore. E quando si pensa ai futuri luoghi di contatto nel Metaverso, da ciò che si è visto fino ad oggi, sembra che i brand intendano replicare gli stessi luoghi della realtà fisica. Se ad esempio pensiamo a ciò che alcuni brand del settore fashion hanno mostrato in occasione della prima Fashion Week metaversiana svoltasi in Decentraland alla fine di marzo, si è trattato sostanzialmente di una replica virtuale dei negozi fisici presenti nelle nostre città, con la possibilità di acquistare i capi di abbigliamento digitali o fisici attraverso gli NFT. Si tratta chiaramente di una visione che definire miope è quantomeno riduttivo, poiché pensare che nel Metaverso esisteranno lo stesso genere di luoghi presenti nella realtà fisica delle nostre città – dove saranno replicati gli processi presenti nel mondo reale – è privo di fantasia nonché poco utile ai brand che intendono creare valore attraverso il Metaverso.

Paradossalmente, sarà proprio il Metaverso che consentirà ai brand di dare finalmente concretezza alla cosiddetta economia dell’esperienza, trasformando completamente i paradigmi alla base della brand experience che abbiamo visto fino ad oggi. I brand, infatti, potrebbero offrire ai consumatori la possibilità di creare valore attraverso un ecosistema che premia quei comportamenti e quelle esperienze che lo stesso brand intende stimolare poiché coerenti con i suoi valori, la sua identità. Si tratterebbe di un ecosistema di tipo Experience-to-Earn (E2E) basato su degli NFT di tipo sociale che i brand dovrebbero coniare appositamente. Quando una persona pratica il “giusto comportamento” riceve un “NFT Sociale” tanto più raro ed esclusivo quanto più rilevante e coerente è il comportamento che ha praticato. Un brand potrebbe premiare semplicemente l’acquisto di un prodotto digitale realizzato durante un’esperienza virtuale – replicando così i tradizionali programmi fedeltà – ma potrebbe anche premiare alcuni comportamenti ed esperienze avute nella realtà fisica, sia che si tratti di esplorare un parco nazionale o una nuova città, piuttosto che prendersi cura della propria salute fisica e mentale o sostenere un’organizzazione benefica. Tutto questo sarà certamente possibile poiché come già oggi molti di noi monitorano numerose attività ed esperienze quotidiane della vita reale usando smartphone, smartwatch e applicazioni dedicate, in futuro, la programmabilità degli NFT associata con le tecnologie dell’Internet of Things potranno allargare enormemente gli ambiti monitorati della vita reale. I brand potrebbero così premiare qualsivoglia comportamento della vita reale dando in cambio degli NFT Sociali ai quali sarebbero collegati semplici premi piuttosto che privilegi unici, come ad esempio la possibilità di accedere ad esperienze ambite ed esclusive, sia del mondo reale che virtuale, di cui le persone non vedono l’ora di “raccontare i dettagli agli amici”. In questo modo, invece di creare esperienze virtuali che “cannibalizzano” quelle reali, i brand le renderebbero complementari, alimentando la passione delle persone per gli interessi che già hanno ed esponendole ad esperienze nuove, uniche ed intime.

I brand potrebbero inoltre premiare i creatori che contribuiscono allo sviluppo del loro ecosistema E2E, sia nella componente virtuale che in quella fisica. Nella componente virtuale i brand potrebbero invitare il loro pubblico a creare singole parti dell’ecosistema esperienziale operando in modo simile a quanto praticato già oggi da migliaia di video-giocatori nelle piattaforme decentralizzate cosiddette Play-To-Earn. Per la componente fisica, ai creatori potrebbe essere lasciato campo libero nel proporre le esperienze che desiderano offrire al pubblico del brand, sia che si tratti di sessioni di yoga piuttosto che una scalata su di una parete verticale artificiale, un corso di fotografia o un’attività di volontariato.

Come i Social Token sono quotabili sugli exchange di criptovalute, gli NFT Sociali potrebbero essere venduti in marketplace dedicati creati con il supporto dei brand, e potrebbero dare la possibilità di accedere ad esperienze dell’ecosistema E2E dello stesso brand o all’ecosistema E2E di altri brand. Il valore di mercato degli NFT Sociali contribuirebbe così a sviluppare un circolo virtuoso in cui i comportamenti che alimentano la crescita personale nonché sociale servono come gettone d’ingresso per vivere esperienze sempre più “pregiate” sia del mondo virtuale che della vita reale. E per finire, il valore di mercato degli NFT Sociali sarebbe un chiaro indicatore del successo dell’ecosistema E2E di un brand che ricompenserebbe finanziariamente lo stesso brand, il suo pubblico e i membri creatori, per averne consentito la realizzazione e lo sviluppo. Una straordinaria combinazione che alimenterebbe una continua generazione di valore per il brand.

La Personificazione del Brand

Un concetto che mi ha sempre affascinato è quello della cosiddetta personificazione di un brand. In altre parole, cercare di comprendere come un brand si comporterebbe se fosse una persona, quali sono le cose che – attraverso i suoi comportamenti – dimostrerebbe di amare e quelle che invece dimostrerebbe di odiare. Nel corso della mia esperienza professionale ho avuto la fortuna di occuparmi più volte di sviluppare la personalità di un brand, applicando il cosiddetto framework archetipico reso popolare da Carl Jung. Si ritiene, ad esempio, che il brand Coca-Cola si basi sull’archetipo del “Innocente” e questo spiega perché il brand delle bollicine si concentra sulla rappresentazione di momenti di semplicità, incoraggiando i consumatori a trovare gioia in alcuni semplici momenti quotidiani – come, ad esempio, passare il tempo con la famiglia e gli amici.

Fino ad oggi però, lo sviluppo della personalità di un brand è stata un’attività piuttosto astratta. Il Metaverso consentirà di andare ben oltre poiché rende possibile la progettazione di un brand come se si trattasse di progettare un essere “quasi umano”, con un nome, un volto, un tono di voce, e soprattutto uno stile di comportamento che ne incarna la personalità, le motivazioni che lo portano ad agire. Tutto questo sarà possibile attraverso delle “brand digital persona”, cioè avatar creati a computer che possono avere sembianze e comportamenti ormai decisamente umani, e questo grazie sia alle tecnologie per la realizzazione degli avatar, ma anche grazie alle ultime tecnologie olografiche abbinate con l’intelligenza artificiale che sono state sviluppate negli ultimi tempi ed altre in corso di sviluppo. Si tratta di qualcosa di simile a quelli che oggi sono chiamati “brand influencer virtuali”, che tanto successo stanno avendo in Cina. Una ricerca del 2019 ha infatti rilevato che il 64% dei giovani cinesi tra i 15 e i 24 anni erano fan di “idoli virtuali” – i cosiddetti Key Opinion Leader virtuali. Oggi molti sono concordi nel ritenere che la percentuale sia significativamente aumentata nel corso degli ultimi due anni anche come conseguenza del maggior accesso al mondo digital/virtuale provocato dalla pandemia. La Generazione Z costituisce infatti il gruppo più numeroso di utenti Internet in Cina e – insieme ai Millennial – è una generazione caratterizzata da una elevatissima familiarità con la tecnologia digitale. Inoltre, in numerose survey condotte negli ultimi 24 mesi, è emerso che – per i giovani cinesi – l’interazione con influencer virtuali deliberatamente irrealistici può aiutare a superare una particolare sensazione, quella che in robotica viene chiamata “uncanny valley”. Si tratta della sensazione che le persone provano quando interagiscono con robot antropomorfi. I ricercatori che si occupano di robotica hanno dimostrato sperimentalmente che la sensazione di piacevolezza provata dalle persone che interagiscono con robot antropomorfi cresce all’aumentare della somiglianza dei robot con la figura umana, fino ad un punto in cui l’estremo realismo rappresentativo produce un brusco calo delle reazioni emotive positive, destando sensazioni spiacevoli quali la repulsione e l’inquietudine.

Attraverso le brand digital persona, si può allora affermare che la personificazione di un brand non sarà più una costruzione astratta, bensì diventerà una costruzione decisamente concreta, attraverso la quale il progettista dovrà non solo pensare a come vestire l’avatar, ma soprattutto dovrà pensare a come la controfigura digitale del brand deve comportarsi quando è vicina agli altri abitanti del Metaverso. E affinché il progettista possa progettare in modo completo la brand digital persona, è necessario che i brand leaders prendano chiaramente posizione, anche su questioni di cui spesso non amano parlare. Infatti – come ho potuto sperimentare personalmente più volte – molti ceo hanno difficoltà a rispondere in modo preciso a domande quali ad esempio, “Qual è il valore più importante per il tuo brand?”, oppure “Che cosa odia il tuo Brand?”, o anche, “Di cosa hanno paura le persone quando interagiscono con il tuo Brand?”.

Per essere chiari, la progettazione di una brand digital persona sarà possibile solo a condizione di rispondere a quel genere di domande in modo preciso e concreto. In questo modo un brand non sarebbe più solamente rappresentato dai suoi prodotti piuttosto che dai suoi servizi, e nemmeno da semplici simboli o storie raccontate attraverso i media, bensì sarebbe rappresentato da “esseri quasi umani” costruiti digitalmente che appaiono e “vivono” di fianco al loro pubblico, realizzando esperienze condivise e connettendosi in modo (semi) autentico. Paradossalmente, con la “realtà inventata” del Metaverso i brand potranno fare leva sulle loro controfigure digitali per costruire connessioni profonde con il loro pubblico, il quale potrà interagire con un brand come se questo fosse una persona. Un metaversiano potrà così costruire un’amicizia con Google o partecipare ad un evento seduto accanto ad Apple. Oppure, un metaversiano potrà incontrare il suo brand preferito in un bar di una città virtuale del Metaverso e potrà iniziare una conversazione chiedendo, “Come ti chiami?”, oppure, “Ti piace di più il mare o la montagna?”, o anche, “Cosa fai nel tempo libero?”. Le risposte che il brand darà potranno portare ad una nuova relazione, a nuovi incontri in altri luoghi del Metaverso. Qualche altro brand potrebbe avere invece una digital persona chiacchierona, che prende l’iniziativa e inizia a parlare di sé stesso, dei propri successi e delle proprie avventure, senza fare alcuna domanda. Probabilmente questa seconda digital persona pensa che per farsi nuovi amici sia necessario “fare impressione”. Si tratta esattamente della stessa differenza che esiste nel mondo reale tra quei (pochi) brand che ascoltano il loro pubblico e quei (tanti) brand che parlano senza sosta dei loro prodotti piuttosto che dei loro servizi, raccontando quanto sono belli e utili, anche quando varie ricerche hanno dimostrato che oltre due terzi dei consumatori predilige quei brand che li fanno sentire delle persone, dimostrando di conoscerne desideri profondi e aspirazioni.

Tutto questo evidenzia che affinché la relazione tra un brand e un abitante del Metaverso sia profonda, e si trasformi così in una amicizia che dura una vita intera, è necessario che la personalità della brand digital persona sia “attraente” agli occhi (e orecchie) di quell’abitante, esattamente come una persona del mondo reale che vuole essere attraente nei confronti delle persone che la circondano. I brand dovranno quindi imparare a progettare accuratamente la loro personalità, cioè il loro tono di voce, la gestualità e soprattutto il loro modo di agire, cosa dimostrano di amare e odiare attraverso i loro comportamenti. Si tratta di dimensioni del branding che solitamente sono analizzate in modo astratto, e che ora – paradossalmente, con il Metaverso – dovranno invece essere progettate con metodo ed estrema attenzione al dettaglio.

Uno spazio nuovo tutto da conquistare

Lo spazio competitivo metaversiano è completamente nuovo ed in rapidissima evoluzione. Le considerazioni che ho riportato non sono certamente conclusive. Tuttavia, è chiaro che il Metaverso rappresenta una intersezione di tecnologia, economia e cultura dove i brand che avranno successo non saranno quelli che vendono prodotti e nemmeno esperienze, bensì quelli che aiutano i creatori a realizzare prodotti ed esperienze di successo. In altre parole, nel Metaverso un brand “vende i suoi valori”, e quindi deve pensare a sé stesso non più come ad un’azienda ma come all’organo di governo di una Nazione, una Nazione nella quale vivono numerose comunità con dei valori condivisi. Il brand, quindi, non dovrà pensare solo al proprio successo, bensì dovrà pensare al benessere economico, sociale nonché fisico degli abitanti della sua Nazione, singolarmente e come membri di comunità. Nella sua Nazione, un brand dovrà fornire ai suoi abitanti non solo occasioni ludiche e di intrattenimento, bensì anche occasioni per sviluppare in modo creativo nuovi prodotti e servizi, piuttosto che dare un contributo alla comunità di cui fanno parte. Se non lo farà, gli abitanti della sua Nazione si trasferiranno in un’altra Nazione, di un altro brand. Tutto questo significa che si dovrà ripensare in modo profondo al modo in cui le aziende sono gestite, ai processi di sviluppo dei prodotti, quelli di marketing, vendita e comunicazione, nonché le metriche utilizzate per misurare le performance. Si dovrà misurare non solo il flusso di cassa e il profitto disponibile per gli azionisti, ma sopratutto il valore economico e sociale che i creatori e il pubblico del brand sono stati in grado di generare grazie al contributo dello stesso brand. Il più potente generatore di crescita del market cap del brand sarà infatti la crescita del market cap delle comunità che sono state create con il supporto del brand. È un immenso cambiamento di paradigma, sia economico che manageriale. Per raggiungerlo, tutto dovrà essere ripensato, partendo da quello che si insegna nelle business school.

Docente presso il POLIMI - la Graduate School of Management del Politecnico di Milano - con oltre 3 decenni di esperienza come advisor di brand globali. I suoi principali campi di attività sono la strategia di brand e il comportamento dei consumatori. Nella sua attività di consulenza ha aiutato brand iconici a posizionarsi nella mente dei consumatori e nei loro progetti di crescita, sia nei mercati fisici che metaversiani.