Giovani e famiglia: formarla rimane un obiettivo ma non a “priori”
Il percorso di vita è l’insieme delle tappe e dei cambiamenti che gli individui attraversano nel corso della loro esistenza e che dettano a ciascuno le priorità nella vita quot
I continui annunci sulle chiusure dei centri cittadini al traffico veicolare rappresentano spesso dei palliativi che non tengono conto del progresso tecnologico. Ecco perché.
I continui annunci sulle chiusure dei centri cittadini al traffico veicolare rappresentano spesso dei palliativi che non tengono conto del progresso tecnologico. Ecco perché.
Negli ultimi anni, sono state molte le città europee ad aver avviato politiche di chiusura dei centri storici o comunque di larghe parti del territorio cittadino al traffico veicolare. La motivazione è sempre la stessa: combattere l’inquinamento dell’aria. Da quando è scoppiato il Dieselgate della Volkswagen è emersa un’accelerazione con un numero sempre più alto di città desiderose di bloccare la circolazione soprattutto dei veicoli con motorizzazioni a gasolio. È solo uno degli effetti della demonizzazione crescente dei diesel scatenata proprio dallo scandalo della manipolazione dei software per la gestione delle emissioni dei propulsori. La vicenda ha fatto, ovviamente, scalpore soprattutto in Germania, dove decine e decine di municipalità hanno iniziato a bloccare la circolazione proprio dei veicoli a gasolio al punto da scatenare anche strascichi giudiziari con il ricorso alla Corte costituzionale nazionale e vibranti polemiche politiche. Del resto la Germania non è solo la patria del diesel ma anche la nazione europea con il maggior peso dell’industria automobilistica sull’economia nazionale ed è per questo che sono sempre più alti i timori per l’impatto occupazionale di misure anti-diesel.
Tuttavia, non è solo la patria del diesel ad avere scatenato una guerra contro i propulsori a gasolio. L’elenco delle città tende, infatti, ad allungarsi continuamente interessando sia grandi metropoli del Vecchio Continente come Parigi o Londra sia piccoli centri con casi limite come quello di Oslo che punta a eliminare del tutto la circolazione di qualsiasi tipologia di veicolo, anche quelli elettrici, dal suo centro storico. Del resto dal Dieselgate in poi numerose nazioni hanno annunciato il blocco dei veicoli con propulsione endotermica nel lungo termine. Chi nel 2030, chi nel 2040, chi in altri anni, l’obiettivo è agevolare l’adozione dei veicoli elettrici per abbattere l’inquinamento atmosferico.
Anche in Italia è sempre più frequente il ricorso dei Comuni alla misura della chiusura o comunque della limitazione del traffico. Milano è stata da sempre in prima fila con l’introduzione dell’Ecopass prima e dell’Area C dopo in un’area comunque riferibile sostanzialmente al centro storico. Negli ultimi mesi, la zona a traffico limitato è stata ulteriormente allargata con la cosiddetta Area B sollevando numerose polemiche. La domanda è sempre la stessa: ha senso limitare solo il traffico veicolare per combattere l’inquinamento? A una domanda del genere è estremamente difficile rispondere anche perché spesso le motivazioni addotte per spiegare l’introduzione di misure del genere sono di natura politica. Molte strategie si basano infatti su dati alcune volte distorti e non esaustivi e alcuni politici tendono, spesso e volentieri, a cavalcare l’onda dell’ambientalismo per una pura finalità elettorale. Non a caso le associazioni di categoria del settore automobilistico stanno da tempo lanciando avvertimenti su politiche che non tengono conto del progresso tecnologico e demonizzano una tecnologia che ha raggiunto un grado di pulizia senza precedenti. Gli attuali diesel Euro6 inquinano, infatti, molto meno dei benzina e infatti in Germania, negli ultimi mesi, sono stati sollevati dubbi sull’effettiva efficacia di politiche che, al momento, tendono a premiare i propulsori a ciclo Otto con la conseguenza di un aumento delle emissioni, soprattutto di Co2 mentre per ora l’elettrico rappresenta ancora una sorta di chimera visto che in Europa pesa per circa l’1% del mercato e ha ancora tanta strada da percorrere per affermarsi alla luce dell’assenza di una capillare e pervasiva rete di infrastrutture per la ricarica.
In un quadro dove la politica non sembra ascoltare la voce di esperti sia del settore che indipendenti, non vanno trascurati alcuni studi che mettono in luce, perfino, come le limitazioni abbiano un impatto trascurabile o l’auto tradizionale non sia la prima e unica colpevole dell’inquinamento atmosferico. Sulla base dei dati di Arpa Lombardia, per esempio, l’associazione Sos Traffico fa presente come l’introduzione della cosiddetta Area B a Milano abbia prodotto effetti sostanzialmente irrilevanti nella riduzione di ossido d’azoto e Pm10. Si tratta, comunque, di un’analisi preliminare che non può fornire un quadro esaustivo essendo la nuova area partita da neanche un mese.
Del resto, ci sono studi che sollevano ancor più dubbi sull’efficacia delle misure di limitazione del traffico. Recentemente il Corriere della Sera, nella rubrica DataRoom curata da Milena Gabanelli, ha citato un’analisi dell’Ispra (https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/inquinamento-smog-riscaldamenti-allevamenti-intensivi-polveri-sottili-pm-particolato/4eb39bde-39f5-11e9-a27a-3688e449a463-va.shtml), L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, per fare un minino di chiarezza sul peso delle diverse fonti di inquinamento nelle città. Un dato deve far riflettere: solo un sesto delle emissioni inquinanti è generato dalle quattro ruote mentre gli allevamenti intensivi e gli impianti di riscaldamento rappresentano circa la metà del totale.
È sulla base di questi dati che l’Unrae, l’associazione italiana delle case automobilistiche estere, è tornata per l’ennesima volta (http://www.unrae.it/sala-stampa/altri-comunicati/4507/studio-ispra-i-veicoli-incidono-in-minima-parte-sullinquinamento) a chiedere di non demonizzare l’auto in generale e il diesel in particolare e soprattutto di tener conto del progresso tecnologico. D’altro canto l’Acea, l’associazione europea dell’Automotive, è da anni, e ancor di più dallo scoppio del Dieselgate, che cerca di far comprendere ai legislatori europei gli effetti devastanti sul comparto di politiche troppo restrittive e prive di misure di accompagnamento verso una svolta elettrica ormai improrogabile e necessaria ma comunque difficile da attuare senza prendere in considerazione l’intero contesto operativo.
Per le associazioni il settore sta d’altro canto facendo la sua parte con massicci investimenti che hanno portato negli ultimi 20 anni a ridurre di ben il 90% le emissioni dei veicoli. Sull’elettrificazione, poi, i numeri sono impressionanti: nei prossimi 10 anni sono previsti investimenti per oltre 250 miliardi con una parte preponderante legata alle iniziative di elettrificazione varate dai tedeschi. Eppure, sembra che solo l’auto sia sul banco degli imputati. Al contrario, la lotta all’inquinamento dovrebbe muoversi con un approccio diverso. L’Unrae, così come l’Acea e tanti altri, chiede per esempio alle istituzioni di muoversi in “maniera strategica, condivisa e non ideologica” evitando “irragionevoli ed inefficaci” politiche pubbliche che penalizzano l’acquisto di nuove vetture di ultima generazione con ulteriori gravami fiscali (come ad esempio l’ecotassa) o con il blocco alla circolazione dei veicoli delle ultime generazioni, perfino gli Euro 6.
In tal senso una recente ricerca dell’Unione Petrolifera, per quanto di parte essendo legata al mondo dei produttori di petrolio, fornisce dati precisi (http://www.unionepetrolifera.it/wp-content/uploads/2019/03/ForumAutomotive2019_CS_17.3.2019_DEF.pdf). Attualmente un’auto diesel Euro 6 emette il 95% in meno di ossidi di azoto (saliti alla ribalta proprio con il Dieselgate) rispetto a una vecchia Euro 0 e il 96% in meno di particolato rispetto a un veicolo Euro 1. Eppure la demonizzazione del veicoli a gasolio ha prodotto un calo delle vendite in tutta Europa con una quota di mercato in contrazione di oltre 10 punti percentuali rispetto al 55% raggiunto prima del Dieselgate. La diminuzione, unita all’aumento dei veicoli a benzina e all’ascesa di vetture di grandi dimensioni come i Suv, ha determinato un effetto decisamente contrario a quelli che sono gli obiettivi comunitari di riduzione dell’inquinamento: l’aumento dell’anidride carbonica (Co2) prodotta dalle auto di nuova immatricolazione da 112,8 a 121,5 grammi per chilometro.
È per questo che l’Unione Petrolifera parla della necessità di assolvere il diesel nella lotta alle emissioni e sottolinea, sulla falsariga di quanto fatto dai massimi rappresentanti del settore automobilistico e dalle associazioni di categoria, quanto i diesel di nuova generazione siano fondamentali per raggiungere gli obiettivi di riduzione della Co2 fissati dalla Unione Europea per il 2030. Ma non è solo un’associazione che potrebbe anche essere considerata troppo di parte a lanciare l’allarme. La Jato Dynamics, una delle società di analisi più prestigiose al mondo, ha indicato come anno della svolta il 2017 (https://www.jato.com/co2-emissions-rise-to-highest-average-since-2014-as-the-shift-from-diesel-to-gasoline-continues/) quando, per la prima volta in 10 anni, le emissioni medie di Co2 in Europa sono cresciute dello 0,3% con un trend che accomuna tutti i Paesi del blocco comunitario con l’eccezione di ben pochi. Tra questi figura quella Norvegia che ha varato una serie di incentivi e di politiche sistemiche per favorire l’adozione di massa dell’elettrico.
È quello che servirebbe all’Italia, dove sta progressivamente diventando sempre più impellente intervenire per favorire la sostituzione di circa 13 milioni di veicoli (ante Euro 4) con oltre 13 anni di età che producono reali effetti negativi per l’ambiente e la sicurezza. Ma ancor di più servirebbero politiche che vadano a interessare non solo l’Automotive ma anche altri settori fortemente inquinanti. In poche parole politiche di sistema. Il rischio è di trovare un capro espiatorio nell’auto lasciando, al contempo, ad altri la libertà di inquinare e quindi di annullare gli effetti comunque positivi delle misure per l’abbattimento delle emissioni e degli investimenti massicci portati avanti da un settore rimasto l’unico sul banco degli imputati in parte per colpa sua e in parte per l’incapacità della politica di avere un approccio di sistema.