Smart working, cosa c’è dietro la legge

Society 3.0


Smart working, cosa c’è dietro la legge

Il quadro normativo per lo smart working in Italia è pronto. Occorre però ripensare l'organizzazione aziendale con manager capaci di gestire il lavoro a distanza e fortemente focalizzati sugli obiettivi da raggiungere.

Il quadro normativo per lo smart working in Italia è pronto. Occorre però ripensare l’organizzazione aziendale con manager capaci di gestire il lavoro a distanza e fortemente focalizzati sugli obiettivi da raggiungere.

​​​Fra poco anche l’Italia avrà la sua legge sullo smart working con l’obiettivo di regolarizzare la posizione del lavoratore a distanza e non trasformarlo in uno schiavo 4.0. Il disegno in approvazione al Senato prevede, infatti, che il lavoratore a distanza e quello tradizionale abbiano lo stesso trattamento, sia dal punto di vista delle leggi del lavoro, sia dal punto di vista del salario. In pratica il lavoro agile viene riconosciuto non come un contratto collaterale a quello che richiede presenza in azienda, ma come un modo di diverso di svolgere una medesima mansione. Un passo importante per far decollare anche in Italia, come già avvenuto in altri Paesi internazionali il lavoro flessibile. 

Al momento in Italia sono 250 mila le persone che svolgono le loro mansioni da remoto e il numero di grandi aziende che ha avviato progetti di lavoro agile negli ultimi due anni è passato dall’8 al 30%. Una fetta che si allargherà presto e che comprende nomi come Ferrari, Ducati, Vodafone, Tetra Pack e Barilla, la quale ha annunciato di voler offrire l’opportunità di lavorare da casa a tutti i suoi impiegati entro il 2020. Effetti delle nuove tecnologie, che hanno fatto saltare vecchie logiche e organizzazioni portando vantaggi per tutti.

Da una parte la flessibilità sul lavoro migliora la produttività e fa registrare risparmi in termini di consumo energetico per le aziende e dall’altra ottimizza il bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata per il lavoratore. A confermarlo anche i dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, in base alle cui stime la gestione più elastica di tempi e luoghi di lavoro ha generato un aumento della produttività dal 15% al 20%, un taglio ai costi degli immobili aziendali dal 20 al 30%, un crollo dell’assenteismo e un miglioramento del clima all’interno delle imprese.

C’è poi da considerare l’impatto positivo sull’ambiente. Lavorare da casa significa meno spostamenti in auto o con i mezzi pubblici e un colpo allo spreco di tempo per il lavoratore. «Le aziende di tutto il mondo stanno vivendo una profonda trasformazione organizzativa dettata dal fatto che oggi, nell’economia dei servizi, non è più necessario recarsi in un luogo diverso dalla propria abitazione per lavorare, visto che la tecnologia ha portato gli strumenti di lavoro nelle nostre case», spiega Leonardo Previ docente di Risorse Umane presso l’Università Cattolica di Milano e autore di Zainocrazia, il libro dedicato alla rivoluzione del lavoro in atto che verrà pubblicato alla fine dell’estate 2017 da Lswr.


Smart working: ci sono aziende che hanno fatto marcia indietro

Eppure in Usa, dove il lavoro agile è diffuso da tempo, ci sono state aziende, prima fra tutte Yahoo, che hanno fatto marcia indietro. «Per far diventare Yahoo il miglior posto dove lavorare, la collaborazione e la comunicazione saranno importanti e quindi dovremo lavorare fianco a fianco. Ecco perché dobbiamo tutti essere presenti in ufficio. Alcune delle migliore decisioni arrivano dalle discussioni in corridoio o davanti alla macchinetta del caffè, incontrando nuove persone o con meeting improvvisati», disse nel 2013 Marissa Mayer, Ceo del colosso Usa per motivare la decisione presa. Secondo la stampa americana dell’epoca, però, i motivi reali andavano cercati nel numero elevato di dipendenti che lavoravano da remoto e nella bassa produttività di molti di loro. Per i più maliziosi poi di fronte alla scelta se andare in ufficio o licenziarsi, molti lavoratori avrebbero scelto la seconda ipotesi assecondando quindi la strategia aziendale del momento focalizzata sulla riduzione dei costi e l’alleggerimento della struttura. Ma al di là delle polemiche, un filo di verità nelle parole della Mayer c’era. E c’è.

Per un progetto di smart working che funzioni, infatti, ci vuole equilibrio tra lavoro interno ed esterno all’azienda. Già perché lavorare in modo agile non consiste nel farlo a distanza, ma in un’organizzazione flessibile del tempo trascorso in azienda e a casa. «Il lavoro agile è il tentativo di trasformare il posto di lavoro in un luogo dove le persone si incontrano. La buona ragione per lavorare nella fabbrica è che io incontro i colleghi», precisa Previ. «Questo significa che i luoghi di lavoro vanno organizzati per offrire alle persone occasioni di dialogo, convivialità e confronto. Perché nell’economia dei servizi la conoscenza si produce dialogando. Il lavoro smart, insomma, non significa solo risparmiare spazio e costi per aziende e tempo per lavoratori, alla sua base c’è uno slittamento culturale che porta con sé la necessità di ripensare il modo di lavorare».

Le aziende che adottano lo smart working ottenendo risultati importanti e soddisfazione da parte dei dipendenti sono quindi quelle capaci di offrire ai propri lavoratori, meglio di quanto fanno altre, occasioni di confronto e di crescita professionale. Quindi lavoro da casa, ma anche momenti di convivialità in azienda. In questo quadro l’impiegato lavora dove ritiene più opportuno farlo. «Quando ha bisogno di concentrazione può stare dove si sente a suo agio, ma quando ha bisogno di confronto i colleghi diventano importanti», puntualizza Previ.

Per passare da una organizzazione burocratica, che ancora caratterizza molte nostre imprese, a una organizzazione zainocratica, ovvero al modello dell’efficienza e del dialogo, è necessario un cambiamento culturale. Per guidare questa rivoluzione ci vogliono manager meno affezionati alla presenza fissa del collaboratore sul posto di lavoro e più aperti alla dinamica del dialogo. «Gestire i collaboratori a distanza non è una cosa semplice, per questo i responsabili vanno formati», aggiunge Fabio Galluccio, advisor e socio di Jointly, società che si occupa di progettazione e condivisione di servizi di welfare aziendale. «Il lavoro da remoto non va gestito con uno stretto e gerarchico controllo dei dipendenti. Non è ossessione per le ore di lavoro fatte dai collaboratori in remoto, piuttosto va misurato sulla base degli obiettivi raggiunti». Proprio per questo, secondo Galluccio, bisogna guidare i manager in questo percorso di smantellamento delle vecchie regole e aiutarli a instaurare con i collaboratori un rapporto basato sulla fiducia. «Non a caso stanno nascendo percorsi di coach ad hoc per supportare i dirigenti nella gestione dei lavoratori a distanza», ha detto Galluccio. «Ma anche corsi di formazione per i dipendenti tesi a insegnare loro a lavorare in team e a dare continui feedback al proprio capo, cosa importantissima in una organizzazione del lavoro a distanza». 

Ho lavorato per 20 anni nelle redazioni di riviste economiche (Gente Money, Panorama Economy) e digitali (News 3.0). Dal 2015 sono freelance. I temi che riguardano il lavoro e il management sono rimasti la mia passione, anche ora che scrivo per l’Italia dal Mozambico. ​​​