La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Progettare le strade non per le auto ma per le persone ha tanti vantaggi. Il primo è l’efficienza dello spostamento. Changes ne ha parlato con l’urbanista Mikael Colville-Andersen, autore del modello Copenhagen nel mondo.
Mikael Colville-Andersen è una voce globale di primo piano nell’urbanistica e considera la bicicletta come lo strumento più importante nella nostra cassetta degli attrezzi della mobilità per rendere le città di nuovo vivibili. Il suo approccio è stato normalizzare la biciletta e chi la usa, spogliandola degli stilemi che la legano necessariamente all’ambientalismo, al salutismo o allo sport, e riportandola all’attenzione “solo” come il mezzo più semplice per muoversi in città. Nel 2006 inizia a fotografare gli abitanti di Copenhagen che si spostano in bici: l’interesse generale cresce così tanto da spingerlo a creare due blog: Cycle Chic e Copenhagenize, che nel 2010 trasforma nell’omonimo studio di consulenza sulla mobilità urbana, poi lasciato nel 2018. «Le città hanno iniziato a rendersi conto che abbiamo bisogno di puntare di nuovo sulle biciclette come mezzo di trasporto cittadino e il modello Copenhagen è il più facile da trasferire. Anche perché ogni città, fino a settant’anni fa, è stata come Copenaghen è oggi, soprattutto quelle italiane», spiega l’urban designer. Nella capitale danese, che sta lavorando per essere la prima città a emissioni zero entro il 2025, Il 62% degli spostamenti per andare a scuola o al lavoro avvengono in bicicletta, per un totale di 1,44 milioni di chilometri percorsi ogni giorno. A livello regionale, investimenti per 20,6 milioni di euro hanno portato, nell’ultimo anno, alla costruzione di otto nuove piste ciclabili, per un totale di 167 chilometri (Dati Copenhagenize index 2019).
Colville-Andersen è autore di Copenhagenize – the definitive guide to global bicycle urbanism e della serie tv The Life-Sized City (in italiano: Racconti dalle città del futuro, visibile su Laeffe Tv, al canale 135 di Sky) di cui si sta girando la quarta stagione, ed è noto per il suo approccio pionieristico alla semplificazione della pianificazione urbana. Ha lavorato con oltre 100 città, offrendo consulenze su come migliorare il tessuto urbano tornando “al futuro”, ovvero guardando a soluzioni che hanno funzionato per secoli e riapplicandole – migliorate – oggi. Di recente ha discusso dell’argomento insieme al pianificatore dei trasporti Federico Parolotto, Senior Partner – MIC Mobility in Chain, e a Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano, nel contesto di Revolutionary Roads, parte del ciclo di incontri dedicati ai temi della sostenibilità The Sweet Tomorrow, organizzati dagli imprenditori e curatori Paolo Martini ed Elisa Sommaruga. Il punto di partenza è proprio una domanda provocatoria di Colville-Andersen: «Perché io, come urban designer, devo passare a sistemare l’edificio dopo il lavoro degli architetti? Perché le connessioni con la strada e con la città intorno all’edificio devono essere sempre riviste? Come possiamo integrare in maniera più efficace l’architettura e l’urban design?». Secondo Boeri, «una risposta è una mancata visione, da parte delle amministrazioni pubbliche, sull’importanza del suolo. Bernardo Secchi diceva che “il suolo è l’anima di una città”. Oggi, purtroppo, questa attenzione si è persa, soprattutto nei grandi progetti privati e in Sud Europa». Secondo Colville-Andersen, «abbiamo vissuto nelle città per 7mila anni e, in questo tempo, le strade sono state il posto più democratico nella storia dell’homo sapiens: tutto veniva fatto nelle strade. Poi sono arrivate le automobili e quello che era uno spazio democratico è diventato di loro dominio. Bisogna tornare a progettare le strade per le persone, non per le auto. La tassa sulla congestione di Londra è sicuramente una delle iniziative migliori per invertire la direzione, tanto che si è estesa a Milano, Stoccolma e perfino a New York. Ma oggi, anche “grazie” al cambiamento climatico e alla pandemia, siamo davvero nella posizione e nella condizione di cambiare radicalmente». Abbiamo intervistato Colville-Andersen a margine dell’incontro proprio per chiedergli uno sguardo sul tessuto urbano italiano e sui modelli di mobilità legati alla bicicletta che più funzionano.
Come si può rendere la bicicletta il modo più conveniente e semplice di spostarsi in città, per esempio in una come Milano?
Se la rendi tale. È psicologia di base. L’Homo sapiens userà sempre la via più veloce. Io lo chiamo “A2Bism”. A Copenaghen, una delle città più ricche del mondo, il 62 per cento dei cittadini va in bicicletta ogni giorno. Abbiamo documentato per anni che lo fanno grazie a una rete completa e sicura di infrastrutture che l’hanno resa il modo più rapido per spostarsi. Lo stesso vale per qualsiasi città del mondo. A Milano ci sono infrastrutture migliori che in molte altre città, ma è una mobilità frammentata, c’è uno strano mix di design urbano. L’approccio più pigro è ricavare dei piccoli spazi per la bicicletta in una tradizione incentrata sull’auto, ma sappiamo già che questo non funziona. Bisogna ri-democratizzare le strade e riallocare lo spazio dalle auto ad altre forme di trasporto. Milano potrebbe facilmente avere il 25-35 per cento dei cittadini in bicicletta se lo volesse.
Lei crede fermamente che dovremmo allontanarci da un modello di mobilità incentrato sull’auto. Come invertire la rotta in città ad alta densità abitativa e ad alto insediamento come quelle italiane?
In realtà, i quartieri e le città densamente popolate sono i luoghi più facili da rendere bike friendly. Nel mio quartiere qui a Copenhagen abitano 19mila persone per km2 e come molte parti di Milano, tutte le cose di cui abbiamo bisogno per la vita quotidiana sono nelle vicinanze. Del resto, i quartieri di molte città europee non sono stati progettati per le auto. Il modello di Copenaghen, che ha più di 100 anni, è facilmente trasferibile non solo nelle città europee, con un nucleo di centro storico molto antico, ma in qualsiasi altra, indipendentemente dalla topografia e dal clima. Oslo sta facendo tantissimo in questa direzione. Sta costruendo un’infrastruttura in stile Copenhagen anche se è una città collinare e molto fredda.
Lei vede le auto come una cosa del passato. Ma crede che la mobilità del futuro possa essere ridisegnata solo attraverso biciclette e mezzi pubblici? È abbastanza?
Credo che tutto ciò di cui abbiamo bisogno per spostare le persone in una città sia già inventato. La domanda è a cosa vogliamo dare la priorità. Qui in Danimarca ci concentriamo molto sulla salute pubblica e sappiamo che la bicicletta è un fantastico “vaccino” contro una lunga serie di malattie legate allo stile di vita. Sappiamo che possiamo spostare 5.900 persone all’ora lungo una strada che abbia infrastrutture ciclabili ottimizzate e decine di migliaia su tram, autobus e treni. In una corsia stradale possono circolare solo tra le 600 e le 1.200 auto all’ora. Le auto non funzionano bene nel contesto cittadino. Il car sharing è una buona soluzione, ma bisogna disincentivare – rendere non più conveniente – l’utilizzo dell’auto privata (è interessante mettere in relazione queste considerazioni con un dato evidenziato da Stefano Boeri nell’incontro Revolutionary Roads: i 3/5 del parco macchine di Milano sono fermi cinque giorni su sette. Si assiste così all’occupazione militare di migliaia di metri cubi di lamiere fermi durante la settimana, che provocano vari problemi, tra cui l’enorme accelerazione del riscaldamento urbano, ndr).
Guardiamo a cosa sta succedendo in Europa: Parigi ha appena eliminato 65 mila spazi per parcheggi e fra un po’ non sarà più possibile passare in auto nel suo centro storico. La seguono Amsterdam (che ha eliminato 10 mila posteggi), Oslo (che ne ha tolti 7mila); anche Berlino e Barcellona stanno mettendo in campo iniziative simili. Tornando al car sharing: a Helsinki è stato promesso alla cittadinanza che, fra trent’anni, le auto private non serviranno più. Vedremo cosa succederà. È certo che le automobili sono in alcuni casi necessarie e che le persone ne avranno bisogno in futuro per alcuni tipi di spostamenti: però credo che almeno meno il 75% delle auto in circolazione oggi potrebbe essere eliminata, un numero che può anche aiutarci a ridurre la mortalità da inquinamento, il consumo di suolo, il rumore.
Quali sono state le maggiori sfide che si è trovato davanti con il suo studio di consulenza Copenhagenize?
L’ostacolo più grande sono sempre stati gli ingegneri dei trasporti e del traffico. Sono irrimediabilmente obsoleti. Usano ancora modelli matematici degli anni Sessanta per le nostre città di oggi. Convincerli a cambiare approccio è spesso difficile, anche perché hanno goduto per decenni di un’enorme influenza. Abbiamo bisogno di assumere prima di tutto urbanisti, antropologi, sociologi e designer – e solo dopo coinvolgere gli ingegneri.
Quali sono gli esempi di riconversione della mobilità urbana che trova più riusciti al momento e perché?
Siviglia è un caso notevole: è passata dallo 0,2% di mobilità in bici al 7 per cento in quattro anni perché ha costruito un’ottima rete di infrastrutture. Parigi ha l’obiettivo dichiarato di essere la migliore città al mondo per il ciclismo. Personalmente, sono molto orgoglioso del mio lavoro nella città russa di Almetyevsk, che da zero bici ha toccato il 10 per cento di spostamenti su due ruote in soli cinque anni. Si tratta di una città in mezzo ai giacimenti petroliferi, progettata per le auto e con un inverno molto rigido. Se possono farlo loro può riuscirci chiunque.