La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
La storia di Arturo Casadevall lo scienziato che ha dichiarato guerra all’iperspecializzazione che considera la nemica numero uno della ricerca e del pensiero critico.
Arturo Casadevall è uno scienziato celebre nei suoi settori di competenza: microbiologia e immunologia. Citato in numerose di ricerche, gode di grande stima dai colleghi. A 11 anni è fuggito da Cuba, dai 16 ai 20 ha lavorato da McDonald’s, come riportò lui stesso: «Un’esperienza eccezionale: ho imparato a lavorare sotto pressione in mezzo alla gente». Poi fece il cassiere in banca, e mentre si diplomava in controllo delle infestazioni animali (in quanto suo padre voleva si occupasse di qualcosa di concreto), fu ammesso all’Accademia nazionale di Medicina.
Oggi Casadevall è un esperto rinomato e avrebbe solo vantaggi dal mantenimento di un sistema basato sulla specializzazione. Eppure, negli ultimi anni ha dichiarato a quest’ultima guerra aperta, e in particolare alla iper-specializzazione. In quanto, a suo dire, è diventata la nemica numero uno dell’innovazione.
Secondo Casadevall, parte del problema risiede nel fatto che i giovani scienziati si affrettano a specializzarsi prima ancora di “imparare a pensare”, e sarebbero meno capaci di elaborare ricerche innovative, oltre che poco attrezzati a riconoscere gli studi scorretti (se non truffaldini) di tanti loro colleghi. Emerge una mancanza sistemica di attitudine al pensiero critico, il famoso critical thinking tanto citato nelle grandi aziende.
Per questo, ha deciso di lasciare il suo comodo posto all’Albert Einstein College of Medicine di New York per lanciare un prototipo di programma didattico che tenta di de-specializzare l’apprendimento. Il programma prevede corsi interdisciplinari tra filosofia, storia, logica, statistica, comunicazione e leadership. Molti corsi sembrano studiati ad hoc per affrontare i problemi della contemporaneità.
Nel corso “Come sappiamo che è vero?” Ad esempio, si esamina il concetto di prova esaminando l’evoluzione di diverse discipline. Mentre in “Anatomia dell’errore scientifico” gli studenti come dei detective devono andare a caccia di errori nelle ricerche reali, imparando al contempo come errori e serendipità abbiano portato a scoperte epocali. Casadevall si domanda: «Ci servono davvero corsi specifici di ogni materia, che in genere ci forniscono un mucchio di conoscenze dettagliate e super specializzate che verranno dimenticate nel giro di un paio di settimane? Specialmente oggi, quando tutte le informazioni sono a portata di telefono. Le persone se ne vanno in giro con tutta la conoscenza dell’umanità nel cellulare, ma non hanno di idea di come integrarla».
La ricerca interdisciplinare viene disdegnata proprio perché indice di mancata specializzazione. Non solo: le ricercatrici Diana Rhoten e Stephanie Pfirman hanno svolto una ricerca (pubblicata in Inside Higher Ed) che dimostra come le donne spesso vorrebbero intraprendere ricerche interdisciplinari, ma vengono scoraggiate per il rischio “di non essere prese sul serio”.
Nel 2015, Casadevall ha dimostrato che i fondi per la ricerca biomedica sono cresciuti esponenzialmente negli ultimi 35 anni, eppure le scoperte sono rallentate. Per questo, e per evitare che questi arcipelaghi intellettuali si estendano in enormi silos di conoscenza sconnessa, il primo consiglio che da Casadevall a colleghi e studenti è di «leggere cose che non abbiano a che fare col proprio ambito. Ogni giorno qualcosa.
In tanti gli rispondono: “Non ho tempo per simili letture”. E la sua risposta è: “Certo che hai tempo. È la cosa più importante che devi fare”. Il tuo mondo diventa più grande, e prima o poi puoi riuscire a trovare i giusti collegamenti tra le cose».
Un team internazionale di ricerca ha analizzato più di mezzo milione di articoli di ricerca per verificare quanto la combinazione di conoscenze distanti impattasse nell’efficacia. Cosa è emerso? Che gli articoli più innovativi erano quelli che citavano altri studi mai citati prima in quel settore (evidentemente, proprio perché di un settore diverso). Eppure, solo 1 ricerca su 10 presentava queste “citazioni atipiche”, e solo 1 su 20 più di una.
Inoltre, gli studi con citazioni atipiche venivano pubblicati su riviste meno prestigiose, e venivano più facilmente ignorati al momento della pubblicazione.
La loro partenza era rallentata, ma nel giro di 3 anni, cosa accadeva? Che sorpassavano gli studi convenzionali, venendo citati sempre più spesso da altri scienziati. Dimostrandosi più interessanti, originali, e anche utili. Il problema è grave, perché Casadevall spiega come i finanziamenti finiscano quasi sempre alle ricerche più specializzate e convenzionali. «Se scrivi una proposta di finanziamento interdisciplinare, finirà in mano a persone molto, molto specializzate in A o B, ma solo se sei fortunato saranno in grado di vedere cosa avviene quando A e B entrano in contatto» (se volete approfondire la sua storia e quella di altri alfieri della contaminazione, vi consiglio il saggio Generalisti di David Epstein).
Riepilogando: gli studi che fanno da ponte tra conoscenze distanti hanno meno probabilità di ricevere dei finanziamenti e di essere pubblicati su giornali prestigiosi, ma le maggiori possibilità di diventare capisaldi della conoscenza umana. Non lo trovate un vero e proprio “paradosso contemporaneo della conoscenza”? Più rimani nel tuo orticello di letture, conoscenze e ricerche di settore convenzionale, meno valore aggiunto reale apporti, più vieni celebrato e fai carriera. Più sviluppi conoscenze e scoperte “contaminanti”, connettive e utili per il futuro, più ti… segano le gambe. Personalmente, mi sento molto vicino alla lotta di Arturo Casadevall, lo specialista che ha dichiarato guerra all’iperspecializzazione. E per questo credo ancora più fermamente di prima nell’urgenza di una contaminazione interdisciplinare, creativa, e se necessario ribelle alle convenzioni iperspecialistiche dominanti.