Multitasking addio

Society 3.0


Multitasking addio

Ma chi l’ha detto che dobbiamo fare più di una cosa alla volta? Non è solo un elogio alla lentezza, ma una necessità di fare le cose per bene e senza distrazioni.

Uno dei vantaggi principali di crescere al Sud – dell’Italia, dell’Europa e del mondo –, almeno fino a qualche anno fa, era la lentezza. La capacità dei suoi abitanti di dedicare anima e corpo a una cosa alla volta: una chiacchiera con il vicino, il ragù della domenica, la piantina di pomodoro in giardino.

Il risultato? Legami indissolubili, “Il ragù della nonna è il più buono del mondo”, una migliore comprensione della natura e del “prendersi cura” (nonché un condimento pazzesco per le frise),e un bambino libero da ogni distrazione – io – che tra le terrazze e i cortili “a basso volume” aveva imparato a studiare con la tv spenta e a mettere via il game boy quando a qualcuno andava di fare conversazione. Come per tanti altri, la favola del mio inconsapevole buddhismo “alla pugliese” si è bruscamente interrotta quando mi sono trasferito a Milano per iniziare l’Università, prima dell’hashtag “vitalenta” che qualche anno dopo avrebbe riportato in auge l’essenza della mia terra, e me di nuovo a casa.

Per integrarmi nella città dei “vorticosi pensieri” e nel mondo del lavoro delle big city, le grandi, anzi, grandissime metropoli in cui ho vissuto, ho dovuto familiarizzare con il concetto di frenesia. La capacità degli abitanti di questi apparentemente meravigliosi ecosistemi “ad altissimo volume” di dedicarsi – con più corpo che anima – a tante cose contemporaneamente, attraverso una serie di pratiche discutibili, tra cui l’arte del popolare “multitasking”. Il risultato? Un calo delle prestazioni e un deterioramento della salute mentale.

Un mito da sfatare

Nello studio Executive Control of Cognitive Processes in Task Switching – condotto più di 20 anni fa –, gli psicologi, Joshua Rubinstein, Jeffrey Evans e David Meyer, sottolineano come questa “tecnica”, nonostante possa sembrare un modo di lavorare estremamente efficiente, porti via più tempo per completare una singola attività e conduca a compiere più errori del normale. Soffermatevi a rifletterci un attimo, quante volte oggi avete aperto l’App di LinkedIn o Instagram mentre eravate al lavoro? O avete risposto al telefono mentre stavate scegliendo le verdure al mercato? Quanto tempo vi è costata questa distrazione? A me, tanto.

Ma il tempo non è l’unica cosa che questa usanza metropolitana ha il potere di sottrarci. Il multitasking influenza anche le nostre abilità cognitive.   
Alcuni ricercatori dell’Università del Sussex hanno scoperto che le persone che tendono a fare più cose contemporaneamente, su più dispostivi elettronici, presentano una minore densità cerebrale nella corteccia cingolata anteriore – la regione del cervello responsabile per l’empatia e per il controllo cognitivo ed emotivo.

Tuttavia, nonostante questo mito sia stato più volte smentito negli ultimi anni, persiste nelle job description, nei colloqui e nella fantasia di alcuni leader che lo ritengono una qualità indispensabile per una carriera di successo. Beh, non lo è.  

I vantaggi di “dedicare anima e corpo” a una cosa alla volta

  • Più focus. Concentrarsi su una sola attività – mettendo il cellulare in “modalità aereo” magari – ci permette di portarla a termine bene e in poco tempo.
  • Meno stress. Passare continuamente da una cosa da fare all’altra è estremamente faticoso. Focalizzarsi su un unico task, invece, ci consente di mantenere un ritmo più controllato e sereno.  
  • Relazioni più profonde. Dedicare tempo e attenzione al nostro interlocutore –sia al lavoro che nella vita privata – lo farà sentire apprezzato e valorizzato, e ci aiuterà a costruire un rapporto più significativo.     
  • Realizzazione personale. Ogni volta che spuntiamo qualcosa nella nostra “to-do-list”, raggiungiamo un piccolo traguardo e facciamo un passo in avanti verso il successo – qualsiasi cosa questa parola voglia dire per noi: più tempo libero, una promozione o maggiore fiducia nelle nostre capacità.

Come scrive Franco Cassano nel suo libro Il Pensiero Meridiano, «bisogna essere lenti come un vecchio treno di campagna e di contadine vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo, perché andare a piedi è sfogliare il libro e invece correre è guardarne solo la copertina».         

Ma a volte, soprattutto nel mondo del lavoro, siamo costretti ad accelerare il passo ed è per questo che, qualche anno fa, ho deciso di creare un luogo “remoto” – la mia azienda – dove i suoi abitanti possono vivere a metà tra la lentezza e la frenesia. Dove possono crescere senza rinunciare a ciò che conta davvero per loro e pensare al multitasking come a un’antica leggenda.

Economista, consulente strategico e corporate trainer. Si è formato all’Università Bocconi di Milano e all’INSEAD di Fontainebleau, e ha girato il mondo per lavoro e per passione: Head of Business Development Unit di Finmeccanica in Russia, Senior Manager di McKinsey a Londra e Principal di AlphaBeta a Singapore, dove ha gestito progetti con aziende del calibro di Google, Uber e Microsoft. In precedenza, ha lavorato anche presso Goldman Sachs e le Nazioni Unite a New York. Tornato a Bari, ha fondato la Disal Consulting e si occupa di ricerca, consulenza, comunicazione e formazione per grandi aziende italiane (Ferrari e UniCredit), colossi digitali (Netflix e Amazon), istituzioni multilaterali (World Economic Forum) e governi nazionali (Francia, Cina e Germania). Insegna alla IE Business School di Madrid e alla Nanyang di Singapore, e dirige il Master in Digital Entrepreneurship presso H-Farm, dove cerca di trasmettere l’importanza dello storytelling per la riuscita di un progetto imprenditoriale. Dopo il successo del suo primo libro Flow Generation - manuale di sopravvivenza per vite imprevedibili, ha pubblicato con Hoepli Phygital - il nuovo marketing tra fisico e digitale.