Lo strano mestiere di ad

Society 3.0


Lo strano mestiere di ad

Molti libri di economia romanzano l'atto di gestire un'impresa e di essere un amministratore delegato, facendolo apparire come un progetto semplice e quasi divertente. Il libro e la storia di Ben Horowitz dicono, invece, la verità.

I tempi sono quelli che sono, incerti quel tanto per la vita del singolo cittadino e figuriamoci per un imprenditore. Impresa, sempre più, è parola che rivanga il significato delle valorose gesta di un coraggioso o di una coraggiosa. E sempre più attiene a una dimensione che si sottovaluta quando si parla di aziende: la capacità di gestire il rischio. Non è facile, insomma, avviare un’attività e non è più facile gestirla una volta che le cose vanno avanti, quando quell’attività ha la fortuna di crescere. Se vuoi un lavoro facile, non diventi imprenditore, cerchi qualcosa con meno responsabilità: almeno questo è l’atteggiamento dei più. Molti libri di economia romanzano assai l’atto di gestire un’impresa e di essere un amministratore delegato, facendo sembrare che sia un progetto semplice e quasi divertente, ma in The Hard Thing About Hard Things, Ben Horowitz imbocca la strada opposta. E gliene va dato merito.

“La vita è lotta”, dice Horowitz, citando niente di meno che Karl Marx (i genitori di Horowitz erano comunisti con tanto di tessera di partito, quindi non sorprende che Marx faccia l’apparizione come uno spettro che si aggira per il libro). Piuttosto che concentrarsi sugli aspetti positivi dell’esperienza, l’autore sottolinea le difficoltà di gestione di un’azienda perché ci sono un sacco di cose che possono andare storte.

Horowitz inizia raccontando la storia della propria esperienza lavorativa. Ha iniziato la sua carriera in Silicon Graphics, poi è entrato in Netscape nel 1995 e ha ricoperto il ruolo di vicepresidente della divisione eCommerce di AOL dopo che la società aveva rilevato Netscape (ve lo ricordate, o voi boomer dell’Internet come il sottoscritto, il primo browser su cui navigavamo incerti?). Horowitz ha quindi fondato LoudCloud, una delle prime piattaforme di cloud computing per le aziende; poi, dopo che Hewlett-Packard comprò anche quella società, ha lavorato come vicepresidente e direttore generale di HP Software. Nel 2009 ha lanciato la società di venture capital Andreessen Horowitz, insieme a Marc Andreessen, il fondatore di Netscape, e da allora è lì.

Le persone spesso hanno idee straordinarie e fanno inevitabilmente previsioni super ottimistiche sul successo che avrà la loro attività. Per alcune aziende, le cose funzionano effettivamente. Per tante altre no, perché diverse cose possono accadere a un’azienda e alcune sono minacce esistenziali che devono essere superate. Non esiste una guida che spieghi come superare i momenti difficili, come affrontare le scelte difficili e le decisioni che devono essere prese in tempi di turbolenza.

Non esiste una ricetta per costruire un’azienda high-tech; non esiste una ricetta per condurre un gruppo di persone fuori dai guai; non c’è una ricetta per fare una serie di canzoni di successo; non esiste una ricetta per giocare professionista in serie A (Horowitz cita il football americano, ma è lo stesso); non esiste una ricetta per candidarsi in politica e non esiste una ricetta per motivare i team quando ciò che fai fa schifo o è andato a rotoli, per parlare potabile. Questa è la cosa difficile tra le cose difficili, per tradurre il titolo del libro nella sua recensione: non esiste una formula per affrontarle.

A differenza di molti libri di business che si concentrano sul pensiero positivo e che delineano il roseo futuro per le startup che saranno “disruptive” (virgolette come per l’imbarazzo) sul mercato, questo libro cerca di preparare il lettore per il tipo di cose che possono andare storte. Horowitz ne ha viste molte nella sua carriera, ma ne è uscito vivo; ancora meglio, ha imparato dai suoi errori in modo che non si ripetessero. Spiega che ha imparato a gestire le aziende commettendo errori. Banale, ma dirlo ancora non lo è.

«In qualità di amministratore delegato, ci saranno molte volte in cui avrai voglia di smettere», dice Horowitz. Sottolinea quanto abbia preso sul personale le cattive notizie e le difficoltà delle sue aziende. Essere un amministratore delegato non lo isolava dalle attività quotidiane delle sue aziende, ma anzi lo rendeva più partecipe di esse. Spiega quanto sia importante che un ad non si aspetti di risolvere tutti i problemi da solo, ma abbia invece bisogno di costruire un team di collaboratori in grado di lavorare insieme per superare le sfide.

Cita il suo ex capo Jim Barksdale, di Netscape, che affermava: «Ci prendiamo cura delle persone, dei prodotti e dei profitti, in quest’ordine» e sottolinea l’importanza di concentrarsi sui dipendenti in un’azienda. Gran parte del libro riguarda il lavoro con le persone: come assumerle, come formarle in modo che comprendano la mentalità di un’azienda, se sottrarle alle aziende di amici e come garantire che i manager facciano davvero i manager (nel nostro paese, se posso, un punto chiave). Sottolinea quanto possa essere difficile dover licenziare i dipendenti, siano essi amici o meno. E parla dell’importanza di stabilire e mantenere una cultura aziendale adeguata come parte della garanzia che le persone lavorino insieme senza intoppi.

Una sezione molto importante di questo bel libro discute la differenza tra un ad in tempo di pace e un ad in tempo di guerra, con bel lirismo. Un ad in tempo di pace agisce quando gli affari vanno bene, quando viene costituita un’azienda e quando tutti gli indicatori chiave sono rosei. Ma quando le cose vanno male è necessario un amministratore delegato in tempo di guerra: secondo i calcoli di Horowitz, «è stato amministratore delegato in tempo di pace per tre giorni e amministratore delegato in tempo di guerra per otto anni».

«La mia più grande scoperta manageriale […] è stata che il tempo di pace e quello di guerra richiedono stili di gestione radicalmente diversi. È interessante notare che la maggior parte dei libri di gestione descrivono le tecniche dei CEO in tempo di pace e pochissimi descrivono quelli necessari in tempo di guerra».

Molti libri del genere sembrano scritti per poche centinaia di amministratori delegati di aziende tecnologiche e non per tutti gli altri. Dopotutto, quando un ad di un’azienda tecnologica parla dei suoi successi e delle sue difficoltà, è difficile rendere quell’esperienza saliente e preziosa per chi ha una piccola o media impresa. Eppure, libri come The Hard Thing About Hard Things possono essere ambiziosi: molte persone che fondando startup vogliono diventare i grandi ad della loro generazione, ma la maggior parte vuole solo avere successo.

È difficile sapere quanto del contenuto di The Hard Thing About Hard Things si applichi alla pletora di startup founder e imprenditori nel mondo; ma leggere le esperienze di Horowitz, difficoltà e tutto il resto, potrebbe forse aiutare le persone che gestiscono attività più piccole a capire meglio come gestire un’azienda in modo efficiente.

​Laurea e PhD in Economia, si occupa di economia sperimentale, di qualità della vita e felicità. Collabora con diverse testate di divulgazione scientifica come lavoce.info, Gli Stati Generali, Infodatablog, Il Sole 24 Ore e ha una passione per la comunicazione scientifica in ambito economico. Responsabile scientifico del progetto AppyMeteo insieme ad Andrea Biancini, insegna economia sperimentale alla Scuola Enrico Mattei e collabora con diverse università. È​ iProf di Economia della felicità su Oilproject.​