L’intangibile tecnologico

Society 3.0


L’intangibile tecnologico

L'economia digitale rende molto più facile conquistare o perdere tutto. Per questo il capitale umano è la forza delle aziende immateriali. Changes ne ha parlato con Deidre McClosky.

White lightbulb on pastel color background.Ideas creativity,inspiration,concepts.Flat lay design.

L’economia digitale rende molto più facile conquistare o perdere tutto. Per questo il capitale umano è la forza delle aziende immateriali. Changes ne ha parlato con Deidre McClosky.

Dice Deidre McClosky, economista americana cresciuta alla scuola di Chicago e una dei massimi esperti di libertarismo negli Usa: «Ci sono molte aziende al giorno d’oggi completamente immateriali. Il peso del capitale fisico come fabbriche o i binari delle ferrovie sta diminuendo, mentre l’importanza della conoscenza incarnata nelle attività umane sta crescendo. Questo processo, in verità, è in atto da un secolo o giù di lì a questa parte, ma adesso è molto più visibile. Alcuni economisti, però, non l’hanno ancora capito. Per esempio, misurando le disuguaglianze, si concentrano sul capitale fisico e sulla sua proprietà, ma ignorano il capitale umano, che è di proprietà degli stessi lavoratori».

C’è nell’economia moderna qualcosa che non si tocca, ma che nei bilanci delle aziende vale più della sede del headquarter, gli impianti di produzione o la flotta ambientale. Il design di una borsa, il sapore di una bibita, l’algoritmo alla base di un’app. Il capitalismo moderno, mai come in questi ultimi anni, sta seguendo una strada che si mischia sempre di più con la conoscenza, mettendo in secondo piano il lavoro fisico: investe sempre più in asset intangibili. Closkey sottolinea che l’economia degli intangibili sta rivoluzionando le strategie di business. Ma fare soldi con quello che non si tocca, non cambia soltanto la produzione, quanto le regole, soprattutto etiche e legali del business. Per esempio, è possibile difendere i brevetti e la proprietà intellettuale in questa età, come quando le tecnologie e le competenze cambiano così velocemente? «Sfortunatamente, sì!» nota McCloskey. «Pensiamo al modo in cui Coca Cola difende ferocemente il suo trademark in tutto il mondo, con grandi squadre di avvocati schierate a ventaglio sul Medio Oriente e in Africa per scovare le persone che lo usano, provando a colpire persino chi usa quel marchio sulle t-shirt!», ha aggiunto l’economista.

Il grande cambiamento di questi ultimi anni è arrivato con l’enorme esaltazione dei team legali, specialmente negli Stati Uniti. Gli avvocati adorano l’idea di “proprietà intellettuale”. Gli economisti ne sono molto meno contenti. Secondo McCloskey, una volta che un’idea è stata creata, ed è stata accompagnata dalle giuste forme legislative e dagli incentivi necessari – diciamo in un periodo di sei o dieci anni di uso monopolistico – per la crescita è meglio se quell’idea viene offerta e applicata gratuitamente al resto del mondo. Insomma, è giusto “pagare” ma non all’infinito.

Il concentrare le proprie attività su asset intangibili rende necessari nuovi paradigmi nella gestione delle risorse umane, perché tutto gira intorno alla conoscenza. «Il capitale umano, soprattutto quando i dipendenti hanno grandi competenze, è sempre stato prezioso per le imprese: se la tua azienda fa gioielli, hai bisogno di orafi» sottolinea McCloskey. «Non è scontato, però, l’impegno: un tempo, un lavoratore alla catena di montaggio della Fiat, non era particolarmente fedele alla ditta. Sicuramente un progettista lo era di più, per non parlare delle piccole e medie realtà come quelle italiane, dove la partecipazione è maggiore. Voglio dire che è sostanziale il coinvolgimento dei lavoratori». Rispetto al passato, non a caso, c’è un maggiore interesse verso una forza lavoro più esperta, di conseguenza i manager, che hanno a che fare sempre con più persone, puntano sempre di più il rapporto di lavoro sulle loro conoscenze – quasi tutti hanno un diploma universitario – e un maggiore senso di giustizia».

Appunto la giustizia. La corsa al brevetto, che è un asset dal valore spesso più alto del manufatto che vuole realizzare, secondo alcuni economisti spinge le aziende a rivedere il concetto di etica degli affari. «Su questo non sono d’accordo. L’etica di fondo tipica dell’uomo d’affari – quella che si apprende quando si è sulle ginocchia della propria madre e che portiamo con noi per tutta la nostra vita – non è cambiata per secoli, almeno non in modo sostanziale. Se si consulta il manuale italiano per uomini d’affari del quattordicesimo secolo, troveremo lo stesso consiglio che ci ripetiamo ora: sii un buon cristiano, non imbrogliare le persone, fai quello che ti ha insegnato tua madre». Si è modificato, invece, secondo l’economista americana, il modo di approcciarsi al mercato e ai consumatori. «La parte di etica che potrebbe essere cambiata di recente, anche a causa del grande indebolimento delle informazioni, è quella che spesso si definisce “situazionale”: cioè quella che dovrebbe spingerci verso comportamenti più etici. E non è un cambiamento neppure tanto profondo, perché dipende sempre dal modo in cui si paga. In ogni caso, i cattivi comportamenti negli affari sono molto più facili da rilevare rispetto a prima, quando non esisteva di Internet».

Nel libro Capitalismo senza capitale (Franco Angeli) Jonathan Haskel e Stian Westlake, guru della rivoluzione degli intangibili, sottolineano che questo tipo di business impone investimenti più a lungo margine temporale e finisce per non essere apprezzato appieno dal mercato. «Se il “valore contabile” è semplicemente il costo del capitale fisico, considerando forse alcuni fee per l’uso di brevetti lanciati, allora non finiamo per non misurare tutti i beni immateriali che compongono un’azienda. Una società con lo stesso valore contabile di un’altra, cioè attività meno passività misurate “fisicamente”, potrebbe avere una brillante leadership imprenditoriale (pensiamo per esempio a Campari) o una reputazione insolitamente buona ereditata dal passato. Detto questo, il mercato azionario, nella sua saggezza, alla fine lo sa e potrebbe darle un valore più alto».

Intanto, conclude l’economista americana, «il valore degli “intangibili” diventa sempre più notevole. La reputazione è sempre stata importante nelle relazioni umane, includendo quelle commerciali e – naturalmente – anche in quelle legate alla conoscenza. Ma oggi, più semplicemente, l’economia digitale rende molto più facile conquistare o perdere tutto questo in un’area geografica molto ampia. Immaginate di bere una bibita per la quale un’azienda ha speso miliardi di dollari per la pubblicità e di trovare anche un solo topolino in una lattina. Nei tempi passati lo venivano a sapere, attraverso il passaparola, soltanto gli abitanti di uno stesso quartiere. Adesso, in secondo, lo scopre il mondo intero! Questa cassa di risonanza ha fatto anche sì che la punizione per i cattivi comportamenti sia più rapida e certa. Lo testimonia nel mondo moderno la vicenda Enron, il cui amministratore delegato è stato condannato a 14 anni di carcere».

Giornalista, 39 anni, napoletano, scrivo da 15 anni, prevalentemente di economia e politica per L'Espresso, il Giornale, il Foglio, Lettera43, il Mattino.