La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Per ottenere un risultato concreto dobbiamo accettare la complessità che si può solo conquistare aggiungendo una “i” alla nostra vita.
Ricordo distintamente il momento in cui il mio professore di matematica ci invitò ad accantonare le regole che impedivano di estrarre la radice quadrata di un numero negativo; e ricordo altrettanto chiaramente quanto la mia avversione per la materia si aggravò, ascoltando quella premessa: ci stava davvero chiedendo di dimenticare qualcosa che la maggior parte di noi aveva già fatto molta fatica ad imparare? Ebbene sì. In un mondo perfettamente logico, per risolvere il (prima) irrisolvibile, ci era stato chiesto di accettare la presenza dei numeri immaginari; di trasgredire le condizioni che ci negavano di risolvere un problema o eseguire una data operazione. Per un paio di secoli persino la matematica aveva relegato quell’unità immaginaria in un limbo, come fosse un «mostro del mondo ideale» – citando il filosofo Leibnitz – da tenere a bada. Ormai quel «mostro» era libero e noi stavamo per incontrarlo, sconcertati dall’esistenza di un’entità senza alcuna corrispondenza concreta nella realtà, né nel regno appuntito e rigoroso della matematica.
Dopo i numeri naturali, i negativi, i razionali, gli irrazionali, i reali, ora dovevamo accogliere un preoccupante “radice quadrata di -1” e denominarlo i. Un simbolo per racchiudere delle unità che esistono solo nell’immaginazione, ma che dovevano essere accettate in quanto calcolabili. In effetti, la loro insopprimibile esistenza si sarebbe rivelata molto utile; lo scoprii solo più tardi – e non solo nei calcoli.
Lo affermo retrospettivamente e perciò con una coscienza diversa rispetto a quella di un ragazzino che si destreggiava tra le equazioni, ma incontrando quel «mostro» ho realizzato per la prima volta che il possibile – non solo in matematica – non è stabilito una volta per tutte, ma continuativamente ridefinito; e che l’impossibile richiama spontaneamente delle soluzioni.
Una seconda intuizione sull’argomento mi è invece giunta dall’“incontro” con Törless, avvenuto qualche settimana fa. Il protagonista di uno dei romanzi di Robert Musil, proprio in seguito ad una lezione sui numeri immaginari (e qui – lo ammetto – mi sono sentito meno solo, ma anche meno brillante), dopo essersi interrogato su come numeri reali possano essere tenuti insieme da qualcosa che non esiste, li definisce come un «ponte di cui esistono solo il primo e l’ultimo pilastro, e che tuttavia si possa attraversare con la stessa sicurezza che se esistesse per intero». Pur non rappresentando valori matematicamente possibili né aspetti collocabili sul piano materiale, queste unità immaginarie fungono da collegamento tra le due realtà concrete dei numeri reali. Una verità che mi era chiara, ma forse non abbastanza da poterla interpretare secondo una differente prospettiva (d’altronde, questo è uno dei grandi meriti della letteratura). Difatti, custodendo della matematica soltanto la i e provando a camminare su quel «ponte», capii con esattezza la causa del grande fascino esercitato su di me da quei numeri: mi parlavano dell’immaginazione come elemento necessario per transitare verso una più ampia realtà. Come un numero complesso, definito dalla somma tra numeri reali e unità immaginarie, anche una realtà complessa dev’essere necessariamente sostanziata dall’immaginazione.
Mi è capitato molte volte di trovarmi difronte a una situazione inerte o apparentemente inaccessibile e la soluzione è sempre stata quella di forzarla con l’operatore immaginario i. L’immaginazione è un elemento propulsore, un dispositivo capace di produrre energia e di trasfigurarla in realtà; è una forma del movimento (kínesis) che, sin dalla concezione aristotelica, ha un ruolo rilevante non solo nell’ambito conoscitivo, ma anche nello spazio dell’azione.
Così come nella matematica, le soluzioni dei nostri problemi – ma anche il compiersi dei nostri desideri – non possono provenire unicamente da strategie basate sulla teoria o sulla logica: è con l’immaginazione che si dischiudono e concretizzano mondi prima inaccessibili. Dopo quindici anni, attraversare quel «ponte» mi ha permesso di fondare una società di consulenza che si occupa di strategia e storytelling per grandi imprese e organizzazioni internazionali, guardando ogni giorno il mare della mia città. Come quando accettai l’esistenza di i nei miei calcoli, si è trattato di un atto di fede nell’invenzione e nell’immaginazione quali possibilità di creazione.
È un discorso molto simile al clinamen del poeta latino Lucrezio: la deviazione dalla verticale nella caduta inerte degli atomi crea scontri e urti tra gli elementi grazie ai quali la materia si organizza, e dalle particelle infinitesimali si passa alle cose. Allo stesso modo, lo spostamento dal percorso verticale della ragione e della logica ci consente di creare nuovi mondi. Ma per dare una direzione vettoriale al flusso puramente rettilineo della nostra esistenza, dobbiamo accettare la complessità – che si può solo conquistare aggiungendo una i alla nostra vita.