L’inclusione è propiziatoria

Society 3.0


L’inclusione è propiziatoria

Pandemia e guerra hanno alimentato nuove fragilità. Occorre rendere possibili nuovi comportamenti alimentando i paradigmi del futuro: sostenibilità e cooperazione.

Pandemia e Guerra rischiano di fiaccare il nostro spirito. La fatica che ancora proviamo è soprattutto concettuale. Sopportare quote di insicurezza cui non eravamo più abituati, gestire una fragilità personale, familiare, nazionale che pensavamo aver definitivamente lasciato alle nostre spalle come doloroso ricordo delle generazioni precedenti, caricarsi di responsabilità sociali e civili che erano scomparse dal nostro orizzonte esistenziale. Accettare fragilità e incertezza per chi è cresciuto nell’era della prosperità è compito assai difficile, perché questa è una sensibilità che non è stata mai insegnata, né in famiglia né a scuola.

In questo quadro l’inclusione diventa propiziatoria: non più una ricetta ideale fondata sulla tolleranza e il rispetto della diversità, ma una scelta che rassicura, protegge, rafforza. Che riporta in auge la convinzione: l’Unione fa la forza. Anche gli investitori la vivono come uno scenario di liberazione dall’angoscia e quindi in linea con gli obiettivi a lungo termine della comunità finanziaria. Il problema emerso in questi anni è stato piuttosto l’incapacità di compiere un salto di qualità, cambiare passo e ampliare la visuale, dalle necessità del durante e a quelle del dopo, evitando sterili discussioni e prendendo il toro per le corna. Quale normalità desideriamo per il dopo? Quale contributo personale siamo disposti a mettere in campo? Quali attitudini personali siamo disposti a mettere in discussione? Anche la comunità finanziaria degli investitori deve interrogarsi e trovare un senso nuovo, nuovi obiettivi, nuovi valori su cui fondarsi.

Nella delicatezza del momento, diventa allora urgente la responsabilità di disegnare una nuova vita, con o senza Covid, con o senza Guerra, nelle diverse e più accettabili sfumature. Il coraggio di uscire dalla gabbia mentale che ancora ci accerchia, ripercorrendo il passato, per accelerare la Riparazione delle ferite aperte e richiuderle, per una onesta, equa, solidale guarigione. Lo richiedono i cittadini, le nazioni, il mondo del lavoro e della cultura. E ogni protagonista, iniziativa, organizzazione, azienda, impresa, che si proponga di raggiungere questi obiettivi, sono artefici del bene comune. In modo inclusivo. Per non dimenticare, o piuttosto per far tesoro della memoria di quanto vissuto e per progredire. La memoria ha capacità di cura, di stimolo per nuovi benefici generati dalle avversità. Argina il rischio di ripetere gli stessi errori, evita il fiato corto, i passi troppo timidi e gli obiettivi di breve durata, permette di restituire significato a quel che è capitato in una visione che superi l’adattarsi al giorno per giorno.

E allora, in questo nuovo anno e a due anni di esperienza con-Covid, non dobbiamo profetizzare, ma propiziare, cioè, come recita il vocabolario Treccani: far diventare favorevole il contesto in cui viviamo. Abbiamo bisogno di antidoti e vaccini per difenderci, ma anche di una comunità forte, inclusiva, illuminata, che possa garantire la sopravvivenza ma soprattutto la tenuta civile per vivere un tempo sereno. L’inclusione diventa il ricostituente in questa condizione di fragilità e la premessa per la costruzione di tempi più propizi. L’inclusione deve funzionare – sul piano della motivazione – come compensazione per l’incertezza. Come è accaduto tra Ucraina ed Europa: una inclusione su cui gli investitori hanno scommesso dal primo giorno di guerra. Inclusione e solidarietà condividono lo statuto di ogni realtà fragile e bisognosa di cura: che si nutre, si accarezza, si coltiva, si fa crescere. Come l’amore, l’inclusione si impara – con un allenamento quotidiano che diventa abitudine virtuosa – e può accadere laddove, pur alimentandosi della propria incertezza, essa resista all’impossibile, diventando realtà generativa.

Questa è la sfida che ci attende e nei prossimi anni dovremo attrezzarci per affrontarla. La cultura che caratterizza la società contemporanea (politica, d’impresa, di enti e istituzioni, dell’arte), non ha mai seriamente sviluppato un pensiero inclusivo, e se lo ha fatto lo ha considerato un lusso, la ciliegina su una torta dagli ingredienti sostanzialmente di economia: oggi la ciliegina deve essere impastata con il lievito della torta, da far crescere, mettere in forno. E poi suddividere equamente le fette a tutti i commensali.

In questi due anni abbiamo sperimentato l’incertezza e l’imprevisto nella loro declinazione più drammatica: il suo dark side e relativa resilienza. Oggi stiamo verificando che esiste anche il lato vitale dell’incertezza (sfida, coraggio, visione) che anche il mondo della cultura, della comunicazione, economico, sociale e personale, possono e devono intercettare. Le principali risposte durante la pandemia sono state protezione, resistenza e resilienza: le stesse messe in campo nella crisi Ucraina. Con la scelta inclusiva non ci si limita alla resilienza come antidoto alla fragilità, ma si attiva l’apertura mentale che ci aiuta ad accettare l’imprevedibile; la consapevolezza di quanto tutto possa cambiare in peggio ma anche in meglio; la disponibilità a sperimentare con il coraggio di una visione; un’idea di futuro che dia spazio all’utopia; la rilevanza della cura e della rigenerazione.

Nella faglia paradigmatica dell’incertezza è importante anche per gli investitori ridefinire strategie inclusive, spostando il confine tra pubblico e privato, tra indoor e outdoor, sulla base di un rinnovato patto sociale, in cui già oggi sono coinvolte generazioni e classi sociali, per una società più equa e inclusiva. Nella fase di ridefinizione del Bene Collettivo come quella che stiamo vivendo, emerge la centralità di uno spazio-tempo comune che prescinde dalla nostra percezione, e che accoglie la comunità planetaria sempre più consapevole del proprio destino. Si tratta di ritagliarsi tempi e spazi rigenerati, attraverso un New Deal che Luciano Floridi ha definito Universal Trust: non più solo un Contratto Sociale tra gli umani, ma un progetto più ambizioso che riconosca il legame universale tra esseri umani, creature viventi e ambienti di vita. In questa dimensione il tempo e lo spazio sono legati inestricabilmente e risultano soggetti a eventi globali (pandemie, guerre, cambiamenti climatici, catastrofi naturali) che sfuggono al nostro controllo. È un tempo condiviso, collettivo, connotato anche geograficamente, da vivere aldilà della classica percezione quotidiana e da misurare con un countdown che viene regolato dalla capacità dei popoli di rendere più vivibile il pianeta.

Siamo in un tempo in cui la riparazione inclusiva sembra essere l’attitudine più corretta in un contesto che continua a essere problematico e in alcuni casi di grande disagio. Riparazione come capacità di ricucire le ferite e ricomporre le fratture come i giapponesi sanno fare meravigliosamente nella loro arte del Kintsugi, utilizzando addirittura i fili d’oro zecchino. E poi: Economia di Riparazione nel senso di riconoscere i danni economici arrecati al pianeta, alla società, alle persone, prendendo decisioni altrettanto economiche, cioè nella dimensione del business, con l’intenzione coraggiosa di restituire e riparare, riconoscendo gli errori del passato. Ma il termine Riparazione contiene anche l’idea di recuperare l’arte della manutenzione (ad esempio della motocicletta… per citare Pirsig, autore del libro di culto dedicato a questi temi) e ancor più nel riconoscere i nostri limiti e le nostre lacune, come quando da ragazzi venivamo rimandati a settembre, e dovevamo affrontare gli esami di riparazione. Con umiltà e dedizione, con pazienza e impegno. Per decenni la comunicazione istituzionale e in parte aziendale (sia nelle forme che nella sostanza) hanno invece intrapreso la direzione opposta: privilegiando l’impatto fino ai limiti della prepotenza, alla ricerca spasmodica della provocazione, della rottura, anziché il riparare. Senza riconoscere i propri limiti, i propri errori, gli inganni indotti.

Ecco, è opportuna una decisa e coraggiosa virata di tono e direzione, e riconoscere la superficialità di molte affermazioni, la vacuità di molte promesse, l’inganno di molta comunicazione. Questo passaggio può contare su giovani generazioni impegnate nei valori e disincantate nella percezione, maestre nello svelare il trucco o l’inganno, nel decifrare i bias cognitivi del digitale e degli algoritmi che rappresentano ormai la loro dimensione esistenziale e che merita anch’essa di essere riparata. Le ultime sentenze che tendono ad arginare lo strapotere delle Big Tech cominciano a indicare la strada, così come il lavoro sempre più serio e approfondito di molti imprenditori, top manager e operatori che considerano i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 come parte integrante della vision e della mission aziendale. Le aziende e gli investitori sono quindi chiamate a ragionare sull’inclusione, a difendere la dignità del lavoro, a propugnare diritti umani e civili, a colmare il gap di genere, a proporre una visione più estesa e articolata della sostenibilità. Non si tratta allora di profetizzare, ma di propiziare, cioè rendere possibili nuovi comportamenti: alimentando i paradigmi del futuro che senza tema di smentita vedono inclusione, sostenibilità, sorpresa e cooperazione al centro del nostro vivere quotidiano.

Sociologo e saggista, lavora da oltre trent'anni nell'ambito della ricerca sociale e di mercato. Fondatore del Future Concept Lab che ha operato dal 1989 al 2020, è consulente di aziende e istituzioni italiane e internazionali. Tra i più affermati esperti di tendenze, è stato docente di Social Innovation al Politecnico di Milano e di Culture & Lifestyle all'Università di Trento. Dal 2015 organizza e dirige il Festival della Crescita, appuntamento itinerante che vede ogni anno protagonisti cittadini e istituzioni, imprese e creativi, studenti e professionisti. E' autore di una ventina di saggi: gli ultimi editi da Egea sono Crescita felice (2015), ConsumAutori (2016), Crescere! (2017), Futuro + Umano (2018) Il bello del mondo (2019) e La Rinascita dell'Italia (2020). Collabora regolarmente con la trasmissione Essere e Avere di Radio24 e con le testate Affari & Finanza di La Repubblica, Mark Up e Millionaire.​