L’economia senza moneta

Society 3.0


L’economia senza moneta

I Paesi più sviluppati spendono ogni anno quasi un punto e mezzo del loro Pil per stampare, contare e distribuire banconote e monete. Potremmo fare senza la moneta? Changes ne ha parlato con Kenneth S. Rogoff.

I Paesi più sviluppati spendono ogni anno quasi un punto e mezzo del loro Pil per stampare, contare e distribuire banconote e monete. Potremmo fare senza la moneta? Changes ne ha parlato con Kenneth S. Rogoff.

L’innovazione ha già cambiato il nostro modo di pagare: c’è l’app per il parcheggio; lo smartphone è diventato un wallet, un portafogli, che salda automaticamente le bollette e l’affitto; le carte di credito vengono schermate da Paypal. In Cina – per esempio – mendicanti e artisti di strada già accettano offerte con strumenti contactless con codici QR. Ma adesso la tecnologia potrebbe spazzare via l’ultimo muro, un qualcosa che si è soltanto intravisto con le criptovalute: superare il concetto di sovranità della moneta, che ancora oggi si concretizza stampando contanti. Cioè, far saltare il monopolio dellamoneta, ormai soltanto in teoria nelle mani delle Banche centrali. «Con meno denaro avremo una società più giusta, più crescita e sarà più facile combattere e ridurre il mercato nero e l’economia illegale. Ma sarebbe il caso di parlare di una società con meno denaro. Non senza denaro», ha detto a Changes l’economista Kenneth S. Rogoff

Dà un quadro molto chiaro in questa direzione Rogoff, studi a Yale e al Mit, cattedratico nelle principali università del mondo, e soprattutto ex capo economista del Fondo monetario Internazionale (FMI): «Concettualmente non c’è davvero alcun motivo per cui la moneta emessa da un governo debba essere fisica, cartacea o metallica, e non digitale. Infatti digitali sono già le valute emesse sotto forma di riserve bancarie, anche se soltanto disponibili per le istituzioni finanziarie. In effetti le transazioni elettroniche dominano già le nostre economie, ma le banche centrali hanno ancora un’arma insostituibile per difendere il loro ruolo: sono ancora in grado di stabilizzare il tasso di inflazione aggiustando i tassi di interesse a breve termine».

A metà dell’anno in corso, soltanto la moneta emessa dalla Bce avevano un valore legale di 1,2 trilioni di euro. La metà di quanto transitava sui circuiti finanziari del Vecchio Continente. Nello stesso periodo la massa dei Bitcoin ammontava a circa 330 miliardi di dollari. Nota Kenneth Rogoff: «La forza trainante di questo processo è la tecnologia: in primo luogo attraverso l’immenso livello di carte di credito, a maggior ragione dopo il lancio dei sistemi contactless. Ma è forte anche il peso delle applicazioni per smartphone, che stanno dando un impulso anche nelle piccole transazioni».

Per l’economista, «il valore legale è ancora centrale nel concetto di moneta, ma le transazioni fiscalmente conformi stanno svanendo costantemente in tutto il mondo. Ora rappresentano meno del 5 per cento del valore totale in Paesi come quelli nordici e il Regno Unito. Siamo ben al di sotto del 10 per cento negli Stati Uniti e in Canada. Quello che resta, gli spiccioli, sono importanti per i piccoli pagamenti, ma anche questi si stanno esaurendo. Nelle transazioni business to business, poi, le percentuali sono ancora più drammatiche. Ed è soltanto una questione di tempo: cinque o dieci anni eppoi tutte le economie avanzate assomiglieranno alla Svezia».

La società “cashless” è nata sulla necessità di sconfiggere il sommerso e di velocizzare le transazioni nel mondo che scopriva la globalizzazione. L’utilizzo delle tecnologie soprattutto sul versante delle operazioni borsistiche ha spostato grande parte delle riserve mondiale presso i bilanci delle grandi banche. Con il risultato che le istituzioni finanziarie finiscono per mobilitare più risorse di quelle nelle loro disponibilità: gli acquisti di titoli si fanno a debito, i mutui vengono rifinanziati con più veicoli assicurativi, i sistemi di generazione dei bitcoin non sono così immuni da bag. C’è troppa liquidità e questo crea sui mercati panico, incertezza, fino alle bolle scoppiate nel 2007 un po’ ovunque nel mondo. «Meno noto è il fatto che l’evoluzione tecnologica sta anche minando l’anonimato dei contanti. Ci sono applicazioni molto economiche per la scansione dei numeri seriali in valuta: funzionano particolarmente bene per i biglietti realizzati con polimeri da molti paesi (Canada, Regno Unito e molti altri). È solo una questione di tempo prima che i governi richiedano che i registratori di cassa utilizzino questa tecnologia per tutti i pagamenti in contanti. Credo che insieme al video monitoraggio onnipresente (che esiste già) e all’intelligenza artificiale, diventerà molto più difficile effettuare pagamenti anonimi».

Spazio alla blockchain

Da anni le istituzioni finanziarie, banche centrali in primis, guardano in ottica di trasparenza a uno sviluppo dei protocolli blockchain, tecnologia centrale nella filosofia del bitcoin. Ma anche su questo versante Rogoff raffredda gli entusiasmi: «Resta davvero da vedere se blockchain rivoluzionerà le transazioni. I sistemi senza autorizzazione come il bitcoin hanno l’attrattiva di essere liberi da interferenze governative, ma sono costosi e inefficienti. Se poi le criptomonete diventeranno davvero competitive, i governi prenderanno sicuramente dei provvedimenti molto stringenti per renderne difficile l’uso nelle transazioni legali, riducendo così drasticamente la loro liquidità e utilità. La blockchain ha molte applicazioni, per esempio nella conservazione dei registri digitali, ma è facile immaginare che le future regolamentazioni da parte dei governi o delle banche centrali favoriranno i sistemi “autorizzati”, quindi non anonimi. Anche perché l’autorità non può tollerare sistemi di pagamento anonimi di grandi dimensioni e altamente efficienti: sarebbe un po’ come bombardare i mercati con fogli da cento dollari». Stesso approccio potrebbe essere applicato alle criptomonete. «La maggior parte dei governi le renderà illegali almeno nelle transazioni in banca e nei negozi al dettaglio. Se poi queste monete non potranno essere riciclate, varranno molto meno. Alla fine rischiano di avere un futuro soltanto negli Stati canaglia (forse la Corea del Nord) e nelle zone di conflitto guerra. In ogni caso questi volumi non saranno sufficienti a giustificare  quotazioni elevate».

Nel suo libro La fine del soldi, pubblicato in Italia da Saggiatore, Rogoff spiega che più moneta c’è in circolazione, più il mondo è povero. «Intanto il mio saggio guarda lontano, al futuro. Io poi sono favorevole a sbarazzarci di molte banconote, mi riferisco a quelle di grosso taglio, per un periodo da cinque a sette anni. Poi – se questo passaggio si mostra vantaggioso – si penserà a come liberarsi dei biglietti di fascia media. Vorrei lasciare in circolazione solo le banconote più piccole, principalmente per motivi di privacy. Però non è affatto complesso pagare mille dollari in biglietti da dieci dollari, poiché le macchine per il conteggio automatico diventano via via estremamente piccole e poco costose. Detto questo, ripeto, il mio libro guarda a “una società con meno cash”, non a una senza contanti. L’obiettivo del governo dovrebbe essere quello di disincentivare solamente i pagamenti in contanti di grandi dimensioni». Soluzioni? «Ci sono altri modi per ridurre l’uso del contante: oltre ritirare a i pezzi di grosso taglio, si potrebbe inserire un tetto come hanno fatto l’Italia, Spagna e Francia. Oppure si possono introdurre registratori di cassa cablati, come avviene in Svezia, collegati alle agenzie fiscali. Analogamente si potrebbe spostare la tassazione sui produttori, in modo da far scendere i prezzi e dover poter utilizzare meno contante».

Giornalista, 39 anni, napoletano, scrivo da 15 anni, prevalentemente di economia e politica per L'Espresso, il Giornale, il Foglio, Lettera43, il Mattino.