La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Cosa c’è dietro l’iniziativa “Proud to pay more”, supportata da un robusto report con una quantità di dati e informazioni che dimostrano il crescente, vasto consenso della tassazione delle grandi ricchezze.
Ridurre le disuguaglianze, alleviare la povertà, investire in sanità e istruzione, contrastare la crisi climatica, accelerare la transizione ecologica: per fare queste e tante altre cose buone e giuste, spesso da chi è nelle stanze dei bottoni viene ripetuto come un mantra che non ci sono i soldi. Ma non è vero: i soldi ci sono, eccome. O, meglio, ci sarebbero.
Servirebbe però la volontà, ovviamente politica, di andarli a prendere – fiscalmente parlando – là dove ce n’è maggiore e a volte smodata, imbarazzante disponibilità. Vale a dire dai ricchi, anzi, i ricchissimi, i cosiddetti “paperoni” del pianeta. Coloro che nessuna crisi, pandemia, recessione o piaga d’Egitto mette in difficoltà, tant’è che il loro numero e le loro ricchezze continuano ad aumentare. In Italia, per dire, tra il 1980 e il 2020 lo 0,1% dei cittadini più ricchi è passato dal detenere l’1,5% del reddito nazionale al 5,3%. Mentre nel mondo, dove si stima che l’1% più ricco possieda circa la metà della ricchezza mondiale, nei primi due anni della pandemia, nei quali milioni di persone sono andate incontro a enormi difficoltà anche economiche e spesso sono sprofondate in povertà, i dieci maggiori “paperoni” hanno visto i loro patrimoni più che raddoppiare. Al punto che si è parlato di “virus della disuguaglianza” che si aggiungeva al virus della pandemia.
Ma chi sono quei “pericolosi estremisti” che sostengono, udite udite, che bisogna tassare di più i più ricchi per avere più risorse da destinare a beneficio della società, come dire a favore di quel 99% della popolazione che vive e non di rado sopravvive con livelli di reddito sideralmente lontani da quelli dei super-ricchi? Sono i super-ricchi stessi. Magari non tutti, ma molti. E, soprattutto, sempre di più.
All’inizio di quest’anno, in occasione del World Economic Forum di Davos, alcune centinaia di ricchissimi di mezzo mondo (qualcuno anche dall’Italia) hanno scritto una lettera rivolta ai leader globali. S’intitolava: “Proud to pay more” (“orgogliosi di pagare di più”). Iniziava col sottolineare che da tre anni i super-ricchi attendevano dai leader del mondo una risposta alla loro domanda, semplice semplice: quando tasserete le ricchezze estreme? Perché senza un passo del genere, a livello nazionale e insieme internazionale, secondo i super-ricchi la crescita delle disuguaglianze è destinata a provocare conseguenze sempre più catastrofiche per l’intera società. Una richiesta, proseguiva la lettera, che non era certo da considerare radicale, bensì un ritorno alla normalità. In modo sintetico ma estremamente chiaro, nella lettera si snocciolavano infatti le principali motivazioni che da tempo vengono addotte da chi ritiene indispensabile tassare le grandi ricchezze: fra queste, il fatto che la ricchezza estrema è improduttiva; che le disuguaglianze hanno raggiunto ormai livelli critici e pregiudicano la stabilità sociale, ecologica ed economica; che la teoria del trickle-down (o “sgocciolamento”, conosciuta anche come teoria delle ricadute favorevoli, con cui i fautori del neoliberismo ci hanno ammorbato per decenni) non solo è stata smentita dalla realtà ma ha prodotto enormi danni, ha destabilizzato la democrazia e creato «un sistema economico vergognoso e incapace di garantire un futuro migliore e più sostenibile».
L’iniziativa “Proud to pay more”, supportata da un robusto report con una quantità di dati e informazioni che dimostrano il crescente, vasto consenso che la tassazione delle grandi ricchezze ha fra i super-ricchi nel mondo, si deve alla collaborazione fra una serie di altre iniziative che vedono i super-ricchi protagonisti di una richiesta di cambiamento radicale, che parta da un sistema fiscale più giusto e vada a beneficio della collettività, specie di chi ha meno, muovendosi lungo le coordinate della sostenibilità sociale e ambientale: da Patriotic Millionaires, attiva negli Stati Uniti e nel Regno Unito, a Tax me now (che a fine giugno ha persino celebrato il “Tax the Billionaires Day”), a Millionaires for Humanity, con quest’ultima – nata durante l’emergenza Covid – che avanza la proposta di un’imposta patrimoniale dell’1% sui multimilionari, il cui gettito potrebbe essere indirizzato fra le altre cose al raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (SDGs).
L’iniziativa “Proud to pay more” è sostenuta anche da Oxfam, che di recente proprio insieme a Patriotic Millionaires ha presentato in Italia, al Senato della Repubblica, l’agenda Tax the Rich per l’Italia. È un manifesto sottoscritto da più di 130 economisti italiani, di 50 università – fra i quali l’ex-ministro e oggi coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità, Fabrizio Barca, e l’ex-presidente dell’Inps e oggi neo-parlamentare europeo, Pasquale Tridico -, che promuove una serie di misure fra le quali in particolare l’introduzione di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni. Sarebbe da applicare allo 0,1% più ricco dei cittadini italiani, con patrimoni netti superiori a 5,4 milioni di euro (si parla di circa 50mila persone, che complessivamente possiedono una ricchezza pari a tre volte quella di 25 milioni di italiani), e potrebbe generare un gettito fino a 16 miliardi di euro l’anno. Inoltre, riporterebbe il nostro sistema tributario in linea con il dettato costituzionale, che all’Art. 53 prevede sia informato a criteri di progressività. Mentre allo stato attuale, com’è dimostrato da studi empirici, il sistema è nel complesso regressivo, con i contribuenti più ricchi soggetti ad aliquote effettive alla fine minori rispetto a quelle del resto della popolazione con redditi modesti.
Anche a livello europeo c’è l’ipotesi di introdurre un’imposta sui grandi patrimoni, oggetto di una specifica Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE), uno strumento previsto dai trattati dell’Unione europea, in particolare dal Trattato di Lisbona, che consente ai cittadini dell’Unione di avanzare proposte di legge su cui la Commissione Ue è tenuta a esprimersi se l’iniziativa riceve un numero adeguato di firme (un milione, da raccogliere in questo caso entro il 9 ottobre 2024). Fra gli iniziatori c’è l’economista francese Thomas Piketty e a promuoverla in Italia è ancora una volta Oxfam, con la campagna #LaGrandeRicchezza.
A livello mondiale, invece, una delle proposte che sta raccogliendo i maggiori consensi è quella avanzata dall’economista francese Gabriel Zucman, direttore dell’Eu Tax Observatory, che ha ricevuto il sostegno anche dei premi Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz e Esther Duflo. Nel rapporto presentato a fine giugno, commissionato dalla presidenza brasiliana del G20, si parla di una tassa del 2% sul patrimonio dei circa 3mila miliardari globali (gli “ultra-high-net-worth individuals”, con una ricchezza superiore al miliardo di dollari): potrebbe garantire un gettito annuo fino a 250 miliardi di dollari.
Secondo un sondaggio commissionato da Patriotic Millionaires a fine 2023 su poco meno di 2.500 milionari di Paesi del G20 – nei quali si stima che le persone con patrimoni investibili superiori a un milione di dollari siano circa 38 milioni -, il 74% degli intervistati è favorevole ad alzare la tassazione sulle grandi ricchezze. E il 70% ritiene che perseguendo tale strada l’intera economia sarebbe più forte, perché vi sarebbero risorse da investire in servizi pubblici, salari equi, infrastrutture. Elementi che per il 75% degli intervistati sono vitali per creare le condizioni in cui gli imprenditori possono prosperare. Difficile equivocare, insomma.
La voce dei più facoltosi, si sa, spesso nelle stanze dei bottoni viene ascoltata e per giunta con grande riguardo. Ora, com’è evidente, questa voce sta letteralmente gridando: “Tax the rich!”. Sarà ascoltata?