La scienza è immaginazione

Society 3.0


La scienza è immaginazione

La scienza come laboratorio di coltivazione degli errori. Mai come oggi è vero come ci racconta il saggio di Telmo Pievani che ci porta alla serendipità.

«L’universo non è soltanto più bizzarro di quanto ci immaginiamo: è più bizzarro di quanto ci possiamo immaginare»: è una frase di un biologoHaldane, che introduce bene il tema del nuovo saggio del filosofo della scienza Telmo Pievani.

Serendipità (L’inatteso nella scienza) ha innanzitutto il grande pregio di sdoganare una parola abusata tanto quanto resilienza dal campo delle semplificazioni. Siamo cresciuti un po’ tutti, nella retorica dell’innovazione, a pane e serendipity.
Pievani compie con merito un lungo viaggio introduttivo per raccontare l’origine stessa della parola: senza spoilerare alcunché, basti dire che Serendip era il nome dello Sri Lanka. Una storia di tanti secoli fa racconta di tre principi capaci di interpretare gli indizi che trovano sulla loro strada come nessun altro e questa sagacia da detective dà il via a un grande rimbalzo di citazioni nella letteratura mondiale a partire dallo stesso schema narrativo. Per capirci, se avete in mente Guglielmo da Baskerville e la scena iniziale de Il Nome della Rosa in cui il francescano aiuta a trovare il cavallo dell’abate Brunello stupendo tutti con il suo intuito, si tratta di un dotto omaggio di Eco alla tradizione.

Ma la serendipity dove sta, allora?

Da nessuna parte in questa storia, se si considera la vulgata del “trovare quello che non si sta cercando”. Anzi, potremmo dire che è la nascita della parola ad essere serendipitosa: il primo a usarla è lo scrittore Horace Walpole, in una lettera a metà del Settecento, dando il via alle danze.
Ma il saggio di Pievani si spinge oltre, in modo più rigoroso e profondo, nell’analisi della serendipità nella scienza, innanzitutto distinguendo tra livelli diversi: accontentiamoci qui di serendipity in senso debole e in senso forte, anche se le sfumature possono essere almeno quattro.

Per serendipity in senso debole si intende quella serie di scoperte che vengono fatte con una componente di casualità, ma senza risultare del tutto imprevedibili. La penicillina, ad esempio, rientra nella categoria perché, pur nella casualità di osservare l’inibizione dei batteri in presenza di una muffa, non si può dire che Fleming con tenacia e insistenza non fosse comunque spinto da una precisa domanda di ricerca.
Serendipità in senso forte, viceversa, concerne tutte quelle scoperte in cui non soltanto il come, ma anche il cosa è estraneo alle intenzioni dello scienziato scopritore. Pievani ci accompagna dunque nel mondo affascinante della scoperta scientifica, cercando di rispondere anche a domande di grande peso politico: se la ricerca è serendipitosa, quale strategia è meglio adottare per finanziarla?

Vale la pena spingere sulla ricerca di base, perché è dalla ricerca pura e dall’apertura di più rivoli che può nascere l’inatteso? O sulla ricerca applicata, di cui la storia è piena di esempi di serendipity? Il libro di Pievani non dà risposte semplici perché è la realtà ad essere strutturalmente incerta, così come incerto e sfumato è il processo di scoperta: la scienza come laboratorio di coltivazione degli errori promettenti e la serendipità come luogo della trascuratezza controllata disvelano al lettore il dietro le quinte della vita di uno scienziato.

Molto spesso ci troviamo a semplificare, narrando col senno di poi svolte epocali che nascono da improvvise illuminazioni di menti geniali: ma la vita di chi fa scienza è intrisa di fatica, percorsi non lineari, idee spesso disordinate all’interno delle quali germoglia l’intuizione giusta. C’è spazio, proprio per tali ragioni, anche per un po’ di sano spirito critico nei confronti della rete e delle piattaforme sociali: aumentano esponenzialmente l’accesso alla conoscenza, ma profilano coi loro algoritmi ogni utente impedendo, di fatto, proprio quell’interazione casuale che è spesso alla base dell’innovazione. Il libro di Pievani descrive la serendipità come il tramite, niente di meno, tra la mente e il mondo: è un inno alla curiosità umana come motore della crescita di conoscenza, paradossalmente legata a doppia mandata al saper identificare quello che non si sa. Serendipity è un sasso nel pozzo dell’ignoranza che ci fa riemergere con qualche conoscenza in più e molto, moltissimo anzi, ancora da esplorare.

È l’ottimismo nonostante tutto che porta un altro biologo Wald ad affermare: «Una delle più importanti fonti di felicità dell’uomo è trovare un obiettivo irraggiungibile». Capace dunque di farci tendere asintoticamente verso qualcosa che alimenti ogni giorno il fuoco dei nostri sogni.
La serendipity è la ricerca dei sorrisi senza gatto di Lewis Carroll, splendida metafora della scoperta che prelude alla sua comprensione spesso anticipata dalla creatività matematica, vera esclusiva dell’umanità. Il saggio di Pievani è intriso di speranza, anche di fronte alle sfide che abbiamo di fronte: un bagno di umiltà per Sapiens necessario a stimolarne l’ingegno e, perché no, il progresso, qualunque cosa questa parola voglia dire. Un continuo incessante e impossibile bagno nel tutto, per il quale chiosiamo con gli splendidi versi di Wislawa Szymborsk​a riportati dall’autore: «Tutto- una parola sfrontata e gonfia di boria. Andrebbe scritta tr​a virgolette. Finge di non tralasciare nulla, di concentrare, includere, contenere e avere. Invece è soltanto un brandello di bufera».

​Laurea e PhD in Economia, si occupa di economia sperimentale, di qualità della vita e felicità. Collabora con diverse testate di divulgazione scientifica come lavoce.info, Gli Stati Generali, Infodatablog, Il Sole 24 Ore e ha una passione per la comunicazione scientifica in ambito economico. Responsabile scientifico del progetto AppyMeteo insieme ad Andrea Biancini, insegna economia sperimentale alla Scuola Enrico Mattei e collabora con diverse università. È​ iProf di Economia della felicità su Oilproject.​