La rincorsa delle startup italiane

Society 3.0


La rincorsa delle startup italiane

Le giovani aziende innovative provano a recuperare il terreno perduto tra buone prospettive e solite difficoltà strutturali. Sostenibilità e fintech sono le parole chiave.

Nell’elenco delle parole più inflazionate degli ultimi anni ce ne è una capace da sola di sbaragliare la concorrenza: startup. Vocabolo di chiara matrice inglese, si riferisce a tutte quelle imprese più o meno innovative che avviano il proprio business e che forti di un’idea originale si propongono di attrarre investimenti e concretizzare la propria visione di business.

Tuttavia, definire cosa sia veramente una startup è impresa assai ardua. Chi più ci è riuscito è forse Steve Blank, imprenditore, tecnologo, ritenuto uno dei padrini della Silicon Valley. Secondo Blank, «una startup è un’organizzazione temporanea utilizzata per cercare un modello di business ripetibile e scalabile».

Comunque le si definiscano, la presenza più o meno elevata di startup denota la vitalità di un sistema economico. Nel terzo trimestre del 2022, le startup innovative rilevate in Italia da uno studio del Ministero per le imprese e il made in Italy, InfoCamere, Unioncamere e Mediocredito Centrale sono state 14.708. Una cifra mai così alta, una tendenza di crescita del settore, confermata a Changes anche da Filippo Frangi, Ricercatore senior dell’Osservatorio Startup Intelligence del Politenico di Milano. «Secondo i nostri dati nel 2021 le startup italiane hanno superato il miliardo di euro di finanziamenti raccolti – dice Frangi – una quota triplicata rispetto al 2019. E per il 2023 stimiamo che la raccolta possa raggiungere i 2 Miliardi di euro».

Confronto impari

C’è ottimismo, insomma attorno al mondo delle startup italiane, anche se il confronto con i nostri partner rimane impietoso. https://agospartner.agos.it/mobilita/auto-elettriche-fondi-per-le-colonnine-e-perche-non-basteranno/L’ecosistema delle nostre startup è lontanissimo da quello USA o cinese e vale un sesto rispetto a quello francese e un quarto di quello tedesco. Una buona notizia però c’è: nel 2021, abbiamo raggiunto il livello della Spagna».

Ma quali sono gli ambiti principali in cui sono attive le nostre startup? Secondo Filippo Frangi sono due: «quello della sostenibilità e quello della fintech, probabilmente perché gran parte delle giovani aziende innovative del nostro Paese sono localizzate a Milano, centro finanziario per eccellenza che agevola la creazione di quel network finanziario, sociale e di competenze indispensabile per la crescita delle startup». Rientra proprio nel campo del Fintech, infatti, l’unico “unicorno” italiano, ovvero l’unica startup che è riuscita a raggiungere 1 miliardo di valore. Si tratta di Satispay, azienda attiva nel campo dei micropagamenti, fondata da giovani piemontesi e che oggi rappresenta una delle major del settore. Un solo “unicorno” italiano, a fronte dei 629 statunitensi, 173 cinesi, 68 indiani, 44 del Regno Unito, 29 tedeschi e 25 francesi (secondo i dati della società di consulenza aziendale CB Insight).

Ma a cosa è dovuta questa debolezza del nostro sistema? Ancora una volta, le cause sembrano essere strutturali. Le startup, infatti, nella loro fase iniziale hanno bisogno di incubatori che aiutino l’avvio del business, necessitano di acceleratori per trovare finanziamenti tra Enti pubblici, aziende, business angel (anche finanziatori informali che sposano e finanziano un’idea) oppure fondi di venture capital (che finanziano grosse somme di denaro).

«In Italia l’apporto delle imprese allo sviluppo delle startup è ancora molto limitato», rileva Filippo Frangi. «Eppure, il loro ruolo è fondamentale non solo dal punto di vista economico. Le grandi corporate servono alle piccole e giovani aziende innovative per creare e consolidare il network e a sviluppare competenze». Alla base di questa debolezza potrebbe esserci la stessa struttura economica del nostro paese con la sua predominanza di PMI e aziende famigliari, troppo deboli per supportare le giovani startup, in cerca di finanziamenti e sviluppo delle competenze.

L’occasione Pnrr

Un importante data nello sviluppo del nostro ecosistema di startup è stata quella del 18 ottobre 2012, data del varo dello Startup Act, che ha previsto importanti misure nel campo della semplificazione amministrativa, del mercato del lavoro, delle agevolazioni fiscali, del diritto fallimentare. L’obiettivo è stato quello di attutire l’atavico peso della burocrazia su un settore che necessita invece di agilità e flessibilità. «A dieci anni dal lancio dello Startup Act il bilancio è sicuramente positivo, perché l’intervento ha permesso di riconoscere il ruolo delle startup innovative, pur nella loro difficile determinazione. Tuttavia, il settore ha bisogna ancora di nuovi interventi per recuperare il tempo perduto anche nei confronti dei nostri competitors».  A fronte dell’assenza di misure per le startup nell’ultima Legge di Stabilità del Governo italiano, una buona occasione per il settore potrebbe essere rappresentata dal PNRR che punta molto su digitalizzazione e innovazione. «Purtroppo anche qui i provvedimenti concreti nel campo delle startup sono pochi e vaghi», rivela Frangi. «Ci sono fondi estrapolati dalle varie categorie e inserite nel fondo CDP Venture Capital (il Fondo di Cassa Depositi e Prestiti) che ha rappresentato negli ultimi anni, comunque, una novità importante con l’obiettivo di sbloccare 10 miliardi di finanziamenti per le startup nei prossimi anni e fungere da partner istituzionale centrale nella creazione di un network fertile per la crescita delle aziende innovative».

Non resta, dunque, che guardare con speranza e fiducia al 2023, anno in cui secondo molti osservatori a conquistare il centro della scena nel settore potrebbe essere l’Europa. Bruxelles è infatti chiamata a varare una legge di sistema che uniformi le varie legislazioni nazionali. «Nel mondo delle startup parlare di confini nazionali non ha senso – dice Filippo Frangi – Occorre omologare le legislazioni, anche per far fronte alle difficoltà che la crisi economica internazionale pone dinnanzi alle startup, che corrono il rischio di veder diminuire i finanziamenti a causa della riduzione dei budget stanziati per le attività più rischiose come il supporto alle giovani aziende innovative». E questo nell’affannoso recupero italiano del terreno perduto nel campo dell’innovazione sarebbe un nuovo, dannoso ostacolo.

Giornalista, pugliese e adottato da Roma. Nel campo della comunicazione ha praticamente fatto di tutto: dalle media relations al giornalismo. Brand Journalist e conduttore radiofonico, si occupa prevalentemente di economia, energia ed innovazione. Oltre la radio ama la storia e la politica estera.