La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
Nell’era della complessità sulla bocca di tutti e delle interconnessioni come materia del mondo, il saggio L’alba di tutto di David Graeber e David Grengow rompe gli schemi del passato e ci porta a riflettere sul nostro futuro.
Sapete quando l’aria in casa è un po’ stantia e occorre aprire la finestra per ventilare la stanza? Non è che poi decidete per forza di cambiare arredamento, ma avete bisogno di nuovo ossigeno e quella frizzantezza si prende subito tutto lo spazio e vi dà energia. Fuor di metafora, The Dawn of Everything (L’alba di tutto), è un libro di storia e antropologia che assolve a questo scopo salutare, più che mai oggi.
David Graeber (autore di questo saggio, mancato un anno fa, insieme all’archeologo David Grengow) in 500 dense e un po’ folli pagine ridisegna la storia di Sapiens. O almeno si diverte a ritracciarne il sentiero. Nota bene: folli e si diverte sono due espressioni fondamentali. il saggio è pieno di digressioni, parentesi, lunghe ellissi e salti temporali. E non esiterei a definirlo dunque un’opera di genio. Il si diverte, poi, è perché si vede, si sente, si percepisce che Graeber amava l’oggetto del suo studio, tanto che il co-autore nella prefazione ammette serenamente che, senza la scomparsa prematura del collega, ci sarebbero stati almeno tre sequel.
Ma cos’è che rende L’alba di tutto così dirompente? Il fatto è che questo saggio mette alla berlina l’alleanza secolare del racconto degli inizi della civiltà condiviso dalla destra liberale (possiamo qui citare Adam Smith come padre dell’economia di mercato) e dalla sinistra che oggi chiameremmo radical chic (Rousseau del buon selvaggio, per intenderci).
Un racconto che vede una certa linearità determinista nella storia di Sapiens, con un passaggio netto dalle società di cacciatori e raccoglitori (il buon selvaggio, appunto) ispirate da egualitarismo e cooperazione, ma anche da scarsa attitudine al progresso, alle società complesse che, con la rivoluzione agricola, hanno portato all’emergere di gerarchie e forme di governo via via più strutturate (imperi, stati), organizzazioni sociali in cui la disuguaglianza crescente è andata di pari passo con il miglioramento degli stili di vita.
Questo racconto è stato interiorizzato dalla letteratura delle scienze sociali al punto da ispirare i vari best-seller di Harari o di Diamond che, in ultima istanza, promuovono un’idea condivisa: il progresso avviene al prezzo dell’egualitarismo e società diseguali sono anche organizzazioni complesse in grado di produrre ricchezza.
Lo dico subito: rimango tra coloro che, anche dopo avere letto L’alba di tutto, ha una serie di domande inevase e una forte convinzione che gerarchia sociale e innovazione siano fortemente collegate (banalmente, Graeber non spiega come mai ci siamo “impantanati” in un modello organizzativo che non ammette molte variazioni sul tema).
Tuttavia, nell’era della complessità sulla bocca di tutti e delle interconnessioni come materia del mondo, questo saggio è davvero aria fresca che entra dalla finestra e rompe gli schemi: lo fa, tra l’altro, forte di una metodologia della ricerca storica molto rigorosa in cui viene fatta menzione dettagliata di tutte le principali scoperte antropologiche degli ultimi anni, nonché di una rivisitazione della letteratura che poi si traduce in un apparato di note di 63 pagine.
Graeber mostra come le ricerche archeologiche degli ultimi decenni abbiano portato alla luce in tutto il mondo (dall’America all’Eurasia) un trend piuttosto chiaro: 30 mila anni fa, all’alba di tutto, per l’appunto, c’erano molte società di cacciatori e raccoglitori che, in realtà, avevano una complessità organizzativa e una vita politica molto attiva. Scavi in Messico con le rovine di grossi centri abitati privi di palazzi con le insegne e le dimensioni del potere, ma molto orizzontali; resti di opere d’arte o dal valore di ritualità simbolica che inevitabilmente richiedevano la collaborazione creativa di migliaia di persone.
Quella che abbiamo conosciuto come rivoluzione agricola, in realtà, forse non è nemmeno stata una rivoluzione: molti resti di insediamenti ci parlano di villaggi in cui l’attività agricola era circoscritta (orti, per esempio) e si accompagnava ad un’economia in cui caccia e raccolta avevano ancora un ruolo importante. Insomma, nessun salto ma un cambiamento marginale e lento: in una parola, complesso.
Così capita di appassionarsi alla descrizione delle popolazioni amazzoniche che mostravano organizzazioni sociali curiose: forme di governo autoritarie e dirigiste di inverno e democrazie partecipative con la stagione calda e del raccolto, in un continuum di modalità organizzative stagionali mai visto.
Oppure al racconto dei tentativi europei di convertire al cristianesimo le popolazioni dei nativi americani che andarono incontro a una resistenza assai peculiare: Graeber mostra come i nativi americani (l’immagine più vicina al buon selvaggio) evidenziassero ottime capacità dialettiche e abilità cognitive acquisite nella vita all’interno del loro villaggio, ispirata a forme di partecipazione politica molto attive.
Graeber è stato punto di riferimento mondiale del pensiero anarchico, tra gli ispiratori del movimento Occupy Wall Street, ma è stato prima di tutto uno scienziato sociale creativo ed esuberante, capace con dati e rigore, se non proprio di riscrivere la storia di Sapiens, almeno di spolverare i racconti simil-positivisti con cui vediamo il nostro passato come una certezza granitica che ha determinato il nostro presente.
Ponendo le domande giuste e descrivendo gli studi più recenti, ne è venuto fuori un saggio che vi farà riflettere e che, semmai, mostra come anche l’idolatria scientista abbia finito con il generare un racconto mitologico non dissimile dai racconti della Genesi di Adamo ed Eva. L’alba di tutto è un’indagine scientifica accurata non solo sul nostro passato più lontano, ma anche sul modo in cui intendiamo mantenere vivo il pensiero critico che, studiando le origini di Sapiens, si interroga sul futuro della nostra civiltà.