La società dei poli opposti
L’inondazione di Valencia ha ben evidenziato i pericoli di una gestione territoriale in cui pochissimi erano decisori e concentrati su altri obbiettivi, mentre i molti, e veri co
A guardare la storia dell’imprenditoria non si hanno dubbi: è la “perspiration” o sudore a fare la differenza. Partiamo dall’esperienza di Thomas Edison per riflettere su come imparare dagli errori e su come adattarsi al cambiamento continuo.
Di cosa parliamo:
Quando pensiamo a un grande genio , viene in mente il nome dell’americano Edison. Fu lui, di cui quest’anno ricorrono 90 anni dalla scomparsa, a stabilire il record di 1.093 brevetti registrati a suo nome, in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Italia, dal Regno Unito alla Francia e alla Germania. «Il vero protagonista dell’innovazione – amava ripetere questo imprenditore – non è chi ha l’idea: il vero genio è per l’1% “inspiration” e per il 99% “perspiration”». Un conto, infatti, è l’idea, l’“inspiration”: altro paio di maniche sono l’impegno e la fatica (la “perspiration”, appunto) necessari per concretizzarla.
Non fu Edison a inventare la lampadina, ma fu lui a dare un contributo determinante, con il sudore, al suo miglioramento. Si racconta, infatti, che l’imprenditore statunitense fece addirittura 2 mila tentativi. Nel corso di una conferenza a un giornalista che gli chiese «Come si è sentito a fallire 2 mila volte nel fare una lampadina?», lui replicò: «Non ho fallito 2 mila volte nel fare una lampadina, semplicemente ho trovato 1.999 modi su come non va fatta».
La celebre risposta data da Edison al cronista ci introduce al tema dell’errore. Sbagliando s’impara, si suole dire: a questo tema ho dedicato parte del libro “Tempo di IoP: Intranet of People”, pubblicato nel 2020. La vita lavorativa è fatta di errori: l’importante – come insegna la Scuola di fallimento di Modena – è imparare a riconoscerli per crescere. Due casi concreti possono aiutarti a comprendere l’importanza di elaborare gli sbagli compiuti.
Il primo è quello del colosso statunitense Eastman Kodak, conosciuto come Kodak, che negli anni Settanta arrivò a produrre il 90% delle pellicole fotografiche e che, a causa dell’incomprensione della rivoluzione digitale, nel 2012 fu costretto a ridurre l’organico da 145 mila dipendenti a 8 mila. La conseguenza della competitività persa fu l’addio ai 19 miliardi di dollari di fatturato del 1990, soppiantati da 7 miliardi di debito. Kodak, in sostanza, non seppe far tesoro degli sbagli commessi.
Il secondo esempio arriva dall’erba dello stadio Rose Bowl di Pasadena in California. Fu qui che nel 1994 l’Italia fu sconfitta dal Brasile ai Mondiali di calcio. La finale del 17 luglio fu decisa ai rigori: iniziò a tirare Franco Baresi, fallendo il colpo. Seguirono le reti di Demetrio Albertini e di Alberico Evani. Poi arrivò la doppia débâcle, prima con Daniele Massaro e, infine, con Roberto Baggio: 3 a 2 per i gialloverdi e tantissima delusione per la squadra allenata da Arrigo Sacchi e tutto il Paese. Fu un grosso errore, riconosciuto – ed è questa la lezione valida per tutti – dallo stesso Codino nel corso di diverse interviste: «Sogno ancora quel rigore», ripete ancora oggi il Pallone d’oro.
La differenza tra Kodak e Baggio sta nel riconoscimento dello sbaglio. Se l’errore è elaborato, allora diventa un’occasione per cambiare e migliorarsi. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: quando è necessario cambiare rotta in un mondo in continua evoluzione? La risposta è semplice. quando non è troppo tardi.
Ci aiuta, a questo proposito, la parabola della rana bollita elaborata dal matematico e studioso di change management Peter Senge: come spiega Mariano Corso – docente al MIP Politecnico di Milano – «per cucinare una rana, basta adagiarla in una pentola d’acqua fresca e accendere un leggero fuoco. La rana, avendo un sistema percettivo piuttosto primitivo, non è in grado di percepire gradienti di temperatura moderati e, quindi, non si rende conto del pericolo fino a quando la temperatura è arrivata a un livello tale da farle perdere le forze. La rana, che inizialmente sarebbe stata perfettamente in grado di saltare fuori dalla pentola, non cogliendo tempestivamente il pericolo, non agisce per tempo e finisce bollita».
Questa storia, tutt’altro che allegra, contiene una grande lezione: l’abitudine sul lavoro, corroborata dai successi ottenuti, rischia di portarci a non comprendere i cambiamenti in atto. In sintesi, dunque, occorre non temere di sbagliare a patto di riconoscere i propri errori (come ha fatto Baggio), tenendo sempre desta l’attenzione nei confronti del contesto esterno costantemente in evoluzione.