Il lusso è morto, viva il lusso

Society 3.0


Il lusso è morto, viva il lusso

La pandemia ha eliminato le occasioni per esibire abiti, auto, vacanze da sogno. Ma il consumo esperienziale non è morto, diventerà tridimensionale.

Da molti mesi c’è una campagna martellante, a base di studi, ricerche, dichiarazioni di esperti e analisti, quasi tutti concordi verso uno scenario occidentale nel quale le grandi città sono morte, il turismo è estinto, i duty free degli aeroporti vuoti, le vie più esclusive delle metropoli deserte, gli eventi più ambiti un dolce ricordo, perché ormai tutto ruota attorno alla nostra abitazione, da cui usciamo poco, e all’universo digitale. Il posizionamento di qualunque brand, soprattutto quelli del lusso e aspirazionali, dovrebbe perciò tenere conto della rivoluzione: ci vestiamo prevalentemente con tutoni e felpe, nessuno si trucca perché c’è la mascherina, le auto restano nei garage, non ci sono occasioni per esibire.

Certo, nessuno può negare che questa sia la fotografia della situazione oggi. Ma tra un anno? In realtà, spiegano bene i freddi numeri, nei Paesi dove la pandemia è stata superata le cose stanno molto diversamente. Si prenda la Cina: non solo non c’è alcuna crisi del modello metropolitano e nessuna fuga verso le campagne. Ma, anzi, nel 2020 il mercato del lusso, secondo Bain & company, è cresciuto del 48% rispetto al 2019, salendo a un valore di 54 miliardi di dollari. E per il 2021 le stime parlano di un altro +40%. Perciò, dopo l’emergenza sanitaria si assiste a un boom senza precedenti, con la voglia di gratificarsi e di divertirsi. Lo scorso gennaio le borse Gucci, in Cina, hanno aumentato del 20% i prezzi al dettaglio, Louis Vuitton già nel maggio 2020 aveva ritoccato i listini del 9%, così come Chanel, mentre Prada lo aveva fatto in luglio. Nei duty free Sanya le sciarpe Burberry, gli stivali Fendi o le creme contorno-occhi di Lancome sono andati esauriti in pochi giorni a inizio 2021. Insomma, non si intravede nulla delle fosche previsioni che invece imperversano in Occidente.

Un forte cambiamento, tuttavia, ci sarà. La pandemia, e il boom del digitale, da un lato hanno reso necessaria la presenza del lusso nell’universo virtuale (e marchi come Prada, MiuMiu, Bulgari, Louis Vuitton, Gucci, Hermés, per esempio, hanno aumentato esponenzialmente i loro negozi digitali sul marketplace Tmall di Alibaba e sui social media cinesi); dall’altro hanno fatto avvicinare al mercato del lusso nuove fasce di clienti. Ovvero sia quelli che, chiusi in casa in smart working, hanno risparmiato molti soldi e si sono potuti concedere qualche sfizio; e sia un target giovane, che frequenta il mondo digitale e i social, meno fedele, più volubile, e per il quale il lusso dovrà pensare a prodotti ad hoc, segmentando ulteriormente l’offerta.

Come spiega bene il sociologo e saggista Francesco Morace, presidente di Future concept lab che lavora con tantissimi brand del lusso, «è vero che il digitale appiattisce molto, rispetto a un mondo del lusso che, pre-Covid, viaggiava in altre dimensioni. Ma sono convinto che nel lusso tornerà una forte esigenza di tridimensionalità esperienziale, in presenza, con vetrine importanti nelle più belle vie delle città». Insomma, non basterà più solo Yoox, torneremo a uscire e, dopo essere stati vaccinati, questa estate ci sarà una esplosione, un boom pazzesco. «Proprio perché il desiderio è alimentato dalla mancanza, dopo tutti questi mesi chiusi in casa. Il mondo del lusso, peraltro, sta già capendo questo andazzo, puntando non solo a paesi come la Cina, ma pure a nuovi segmenti di mercato (i giovani e chi ha risparmiato, ndr) che si affacciano ovunque» ha aggiunto Morace. «In Cina e Asia sta già accadendo: entrano nel lusso generazioni diverse, più giovani, con disponibilità economiche magari inferiori, velocità differenti di assorbimento degli stili, meno fedeli, e servirà una segmentazione più raffinata. Il lusso sarà un mondo sempre meno chiuso ed esclusivo, ma già prima del Covid si stava aprendo a nuovi segmenti di consumatori».

Se la Cina si è messa la pandemia alle spalle, lo stesso non si può dire per gli Stati Uniti: eppure anche lì, nell’ultimo semestre del 2020, “ci sono state forti vendite di brand del lusso”, commentano Tony Spring, ceo della catena Bloomingdale’s, e Marc Metrick, presidente della catena Saks, e soprattutto “verso il target giovani, i Millennials e la Gen Z”, aggiungono i vertici di Burberry, Moncler o Richemont.

Nel solo Regno Unito, tanto per dare una dimensione del fenomeno, nel 2020 c’è stato un eccesso di risparmi pari a 100 miliardi di sterline, che prima erano spesi in vacanze e ristoranti, e che per una fetta rilevante sono andati invece in beni di lusso per un target giovane. E il trend è confermato pure dai dati di una indagine svolta da Bain & company e Google sul lusso: i segmenti luxury e premium, nel 2020, hanno subito un incremento del volume di ricerca online rispettivamente del 22% e del 30%. Una crescita che ha interessato principalmente gli Stati Uniti e il Regno Unito, coinvolgendo anche Italia, Francia, Germania e Spagna: l’acquist​o di lusso​ risulta essere molto condizionato da social media, influencer e ricerche online, ma di contro, però, il grado di fidelizzazione del cliente luxury è maggiore nell’esperienza di acquisto in presenza.

Milanese, laureato in Economia e commercio alla Università Cattolica del Sacro Cuore, è giornalista del quotidiano ItaliaOggi, co-fondatore di MarketingOggi, esperto di storia ed economia dei media, docente di comunicazione ed economia dei media per oltre 10 anni allo IED di Milano.