Il feedback fa bene anche in famiglia

Society 3.0


Il feedback fa bene anche in famiglia

La parola è composta da (to) feed ovvero “alimentare”, e back “indietro” o “all’indietro”: quando lo diamo, stiamo essenzialmente “nutrendo” l’altro, offrendogli la nostra opinione come fonte di arricchimento e crescita.

Molte imprese hanno già sperimentato i benefici di una cultura aziendale orientata al feedback. Sia dandolo che ricevendolo in ambito lavorativo, si può fare un’autentica valutazione di sé stessi – dei propri punti di forza e di debolezza – che consente di intraprendere un importante percorso di crescita volto a raggiungere obiettivi professionali e personali e a rafforzare le relazioni tra colleghi.

Sebbene comunemente associato all’ambito lavorativo, il feedback può giocare un ruolo chiave anche nei rapporti familiari, sentimentali o amicali. Quante volte abbiamo vissuto una situazione di impasse, in cui parole non dette o inopportune hanno minato le fondamenta dei nostri legami più intimi? Utilizzando gli stessi principi che applichiamo a questa pratica sempre più diffusa sul lavoro, non solo potremmo riuscire a superare questi ostacoli, ma anche a gettare le basi per un’evoluzione sana e stimolante delle nostre relazioni.

Dare feedback non basta, bisogna farlo nel modo giusto

A proposito di parole non dette o inopportune, ogni tanto ripenso alla facilità con cui una delle mie professoresse dispensava quotidianamente decine di “Sei pigro!” o “Svegliati!” ai miei compagni di classe senza mai ottenere i risultati desiderati. Al contrario, il suo feedback franco e senza mezzi termini spesso generava risentimento e allungava le distanze tra la cattedra e noi alunni. Insomma, contribuiva solo a peggiorare la situazione.

Partendo da questo ed altri preziosi ricordi, ho compreso l’importanza del feedback costruttivo, e ancora di più, del modo in cui esso deve avvenire, attraverso un approccio strutturato, come l’AID Framework. Questo modello presentato da Max Landsberg nel libro “The Tao of Coaching” si articola in tre sezioni: Action (Azione), Impact (Impatto) e Desired Outcome (Risultato desiderato).

  • A (Action). È fondamentale dare feedback su un unico comportamento specifico che desideriamo cambi, e non sul carattere di una persona. Probabilmente se invece di etichettare quel compagno di classe come “pigro” o “svogliato”, la professoressa avesse detto: “Stai commettendo spesso questo errore grammaticale, vediamo insieme quali sono le difficoltà che hai riscontrato e in che modo possiamo superarle”, avrebbe ottenuto un risultato diverso.
  • I (Impact). Spiegare al nostro interlocutore che le sue azioni hanno conseguenze sull’ambiente circostante e su altre persone è un passaggio necessario per innescare un reale cambiamento. Quante volte in una relazione abbiamo ignorato il muso lungo del nostro partner pensando che fosse la soluzione migliore? E se gli avessimo detto: «Se continui così, nessuno di noi due riuscirà a godersi questa vacanza. Perché non proviamo a parlarne?». Chissà quanti fine settimana avremmo potuto salvare.
  • D (Desired outcome). Comunicare chiaramente il risultato che si vuole raggiungere, dove si vuole arrivare, e offrire suggerimenti pratici su come migliorare è di fondamentale importanza. Ritornando all’esempio della mia professoressa, sono sicuro che se avesse indicato un obiettivo tangibile e dato suggerimento pratici, come: «Se ti allenerai di più a scrivere temi, smetterai di commettere sempre lo stesso errore grammaticale e otterrai ottimi voti», sarebbe riuscita a raggiungere il suo desired outcome.

Se dato nel modo giusto, il feedback, come indica la parola stessa, ci permette di “nutrire” le nostre relazioni – sul lavoro e nella vita privata – aiutandoci a costruire legami più profondi, sani e duraturi.

Economista, consulente strategico e corporate trainer. Si è formato all’Università Bocconi di Milano e all’INSEAD di Fontainebleau, e ha girato il mondo per lavoro e per passione: Head of Business Development Unit di Finmeccanica in Russia, Senior Manager di McKinsey a Londra e Principal di AlphaBeta a Singapore, dove ha gestito progetti con aziende del calibro di Google, Uber e Microsoft. In precedenza, ha lavorato anche presso Goldman Sachs e le Nazioni Unite a New York. Tornato a Bari, ha fondato la Disal Consulting e si occupa di ricerca, consulenza, comunicazione e formazione per grandi aziende italiane (Ferrari e UniCredit), colossi digitali (Netflix e Amazon), istituzioni multilaterali (World Economic Forum) e governi nazionali (Francia, Cina e Germania). Insegna alla IE Business School di Madrid e alla Nanyang di Singapore, e dirige il Master in Digital Entrepreneurship presso H-Farm, dove cerca di trasmettere l’importanza dello storytelling per la riuscita di un progetto imprenditoriale. Dopo il successo del suo primo libro Flow Generation - manuale di sopravvivenza per vite imprevedibili, ha pubblicato con Hoepli Phygital - il nuovo marketing tra fisico e digitale.