Sopravvivere all’informazione
Persino gli esseri unicellulari come l’ameba o una muffa, nel loro piccolo, sono attrezzati per esplorare l’ambiente, fiutarne i pericoli e poi scambiarsi informazioni. Figuria
Il nostro cervello da primati 2.0 è allenato all’illusione del controllo e della stabilità, in balìa di convergenza e contingenza. Il saggio Fluke di Brian Klass ci indica una strada percorribile tra opportunità e caos.
Quante volte ci capita di pensare: «E se avessi accettato quella proposta di lavoro?», «Se fossi uscito per un caffè con quella persona?», «E se avessi scelto di cambiare facoltà quando avrei avuto dubbi al riguardo?”. Sliding doors, insomma. Nulla di nuovo e il film che vede come protagonista Gwyneth Paltrow, dell’ormai lontano 1998, rimane ancora di stretta attualità a ricordarci il ruolo spesso cruciale di piccoli istanti che ci cambiano la vita.
Peccato che, a differenza di Hollywood, non abbiamo a disposizione un laboratorio dove sperimentare il controfattuale. Per questo oggi condivido qualche riflessione a partire dal bel saggio Fluke di Brian Klaas, Sottotitolo: «Opportunità, caos e perché tutto quello che facciamo conta».
Il libro affonda nell’idea di complessità e per questo è un testo prezioso: la parola continua a sembrarmi un idolo totemico che, anche a livello corporate, si è guadagnata l’altare della comunicazione e di qualche intervento formativo, pur rimanendo nei fatti più un lusso narrativo che un concetto operativo. Klaas sviluppa la descrizione del mondo come sistema complesso in un saggio che usa i riferimenti più recenti della letteratura della biologia evoluzionistica, delle neuroscienze, della fisica sociale. Ma lo fa con uno scritto molto godibile e ricco di aneddoti: ecco, forse quelli sono pure troppi ma servono come il pane ad abituarci all’idea di un’incertezza strutturale e per certi versi connaturata a una rete che diventa sempre più iperconnessa.
Otto miliardi di persone intrecciate in relazioni così intricate che un battito di porta di container che si blocca sul canale di Suez produce un terremoto economico bloccando il commercio globale. Pandemia, crisi climatica, guerre: fatti enormi che possono essere ricondotti a un micro-evento scatenante. Ci si ferma, estasiati o per la paura, di fronte al burrone che dilata la distanza tra cause ed effetti. E Klaas spiega perché il nostro cervello da primati 2.0 è allenato all’illusione del controllo e della stabilità; a trovare correlazioni facili lì dove si addensano problemi con più cause e più conseguenze.
Il saggio descrive in modo magistrale l’eterno dibattito tra convergenza e contingenza. La prima fa riferimento all’idea che, anche se piccole perturbazioni creano oscillazioni dirompenti all’interno del sistema, nel lungo periodo le stesse finiranno con il venire assorbite attorno a un trend dominante. Leggi: era destino che quella cosa accadesse in un modo o nell’altro. La contingenza invece descrive un mondo che surfa più o meno consapevolmente sui bordi del caos. Granello di sabbia dopo granello di sabbia, insomma, il sistema accumula eventi che, prima o poi, precipitano producendo crisi disastrose, guerre violente, innovazioni dirompenti.
Klaas fa riferimento spesso alla letteratura e non è un caso: c’è profumo di Borges e del giardino dei sentieri che si biforcano in ogni pagina. Ma invece che avere paura o lasciarsi andare a un fatalismo inutile, Klaas propone di utilizzare la teoria della complessità come base epistemologica per affrontare il mondo con speranza e consapevolezza: una scuola di umiltà, più che di arroganza, che ci spinga ancora di più a dare il nostro meglio nel nostro ambito di competenza.
L’idea che il caso assoluto guidi le nostre vite potrebbe portare a cedere alla tentazione di arrendersi anche di fronte all’evidenza e, gioco forza, al ruolo dello studio e delle teorie. Ma le leggi universali della fisica o gli esperimenti producono verità che, seppure instabili, migliorano le nostre vite e ci aiutano a conoscere un pezzettino di più di mondo o, in negativo, un altro pezzo di universo che ancora non conosciamo e dobbiamo spiegare. Senza arrendersi al pensiero magico o alla superstizione, ma felici anche di scoprire che, se pure le cose accadono senza necessariamente un perché, è il fatto stesso che accadano a renderci parte di un tutto in cui ogni nostra piccola azione, nel suo piccolissimo, conta.