Fidarsi è bene

Society 3.0


Fidarsi è bene

Affidarsi a un’altra persona, anche al punto di correre qualche rischio, perché riteniamo sia in grado di fare la cosa giusta. In che modo possiamo coltivarla al lavoro? Sfumature e segreti dell’ingrediente chiave di ogni organizzazione e relazione.

Da buon italiano del Sud, sono cresciuto a pane e proverbi popolari. “A buon intenditor, poche parole”, “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”, “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, “Fra i due litiganti, il terzo gode”, hanno scandito la mia esistenza e influito, incredibilmente, su diverse scelte della mia vita.

In particolare, “Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio” – lo stile di vita delle cummari pugliesi – è stato il mio mantra, e la mia rovina, per troppo tempo. Ogni volta che, soggiogato dalla mia inesperienza, mi affidavo alla presunta saggezza dell’adagio più ripetuto di sempre, mi andava male. Anzi, malissimo.

  • Mi andava male in amicizia perché preferivo non presentare il mio Scarabeo neanche quando volevano fare solo un giro sul motorino.
  • Mi andava male in amore perché “facevo veleno” quando le ragazze che frequentavo avevano rapporti con i loro ex fidanzati o andavano in vacanza con le amiche in isole troppo cool.
  • Mi andava male professionalmente perché, pur di non delegare, investivo il mio tempo libero a fare il lavoro degli altri, sacrificando così la mia salute mentale e la loro simpatia nei miei confronti.

Ed è proprio in quel momento, alla soglia del burnout, che ho compreso che “Fidarsi è bene, non fidarsi è… peggio”, e ho finalmente congedato la voce sussurrata delle cummari nella mia testa per iniziare un nuovo capitolo della mia vita. E, quando nel 2020 ho avviato il mio business, ho scelto di basarlo sulla fiducia perché sapevo che solo in questo modo avrei potuto.

Garantire la proattività, facilitare la collaborazione e migliorare la capacità di acquisire nuove conoscenze e competenze del mio team. Per farlo, però, avrei dovuto trovare un buon equilibrio tra due tipi di fiducia: una più pratica, quella cognitiva, e un’altra più profonda e relazionale, quella emotiva.

La prima, si basa sulla convinzione che gli altri svolgano i loro compiti e rispettino l’insieme di regole pratiche stabilite dalla tua azienda. Se presente, garantisce il corretto funzionamento organizzativo dell’ufficio, del team o dell’intera azienda.

La seconda, invece, si fonda sulla convinzione che gli altri abbiano cura di e interesse per te e, per essere coltivata, richiede tempo, empatia e trasparenza poiché permette di creare relazioni solide e durature.

Mentre lo sviluppo della fiducia cognitiva presuppone rispetto delle indicazioni tecniche e performance lavorative, quella emotiva è ben più complessa poiché si costruisce attraverso comportamenti positivi continuati e costanti.

Nella mia organizzazione, abbiamo adottato tre strategie per coltivare questi due tipi di fiducia e bilanciarli armoniosamente.

  1. Deleghiamo responsabilità e attività e premiamo il successo dei nostri collaboratori. Quando realizziamo di aver raggiunto un buon livello di fiducia cognitiva con un nostro collega, gli concediamo autorità e autorevolezza di fronte ai clienti e ai colleghi affinché possa svolgere al meglio il lavoro che gli viene assegnato. Insieme, monitoriamo il suo progresso e quello del progetto per farlo sentire sempre supportato. Riconosciamo e premiamo i suoi successi per stimolare il miglioramento continuo.
  2. Promuoviamo una comunicazione aperta e trasparente. Ogni settimana organizziamo un meeting con l’intero team per parlare delle attività e dei progetti su cui stiamo lavorando, e quelli di cui ci vorremmo occupare in futuro. Affrontiamo i problemi di fiducia apertamente e diamo la possibilità a ciascun collega di condividere il suo feedback sui nostri processi decisionali.
  3. Incentiviamo rapporti che vanno oltre le relazioni puramente professionali. Organizziamo attività di team building virtuale e di persona per condividere più di progetti e scadenze. Giochi, cene, risate, bagni al mare ci permettono di creare un legame più autentico e di rafforzare la nostra fiducia reciproca.

Puoi essere ingannato se ti fidi troppo, ma vivrai nel tormento se non ti fidi abbastanza” è una famosa frase di Frank Carnè, ministro e scrittore americano, che ha sostituito le malelingue nella mia testa per ricordarmi che la fiducia è una virtù da coltivare e non una debolezza da reprimere.

Economista, consulente strategico e corporate trainer. Si è formato all’Università Bocconi di Milano e all’INSEAD di Fontainebleau, e ha girato il mondo per lavoro e per passione: Head of Business Development Unit di Finmeccanica in Russia, Senior Manager di McKinsey a Londra e Principal di AlphaBeta a Singapore, dove ha gestito progetti con aziende del calibro di Google, Uber e Microsoft. In precedenza, ha lavorato anche presso Goldman Sachs e le Nazioni Unite a New York. Tornato a Bari, ha fondato la Disal Consulting e si occupa di ricerca, consulenza, comunicazione e formazione per grandi aziende italiane (Ferrari e UniCredit), colossi digitali (Netflix e Amazon), istituzioni multilaterali (World Economic Forum) e governi nazionali (Francia, Cina e Germania). Insegna alla IE Business School di Madrid e alla Nanyang di Singapore, e dirige il Master in Digital Entrepreneurship presso H-Farm, dove cerca di trasmettere l’importanza dello storytelling per la riuscita di un progetto imprenditoriale. Dopo il successo del suo primo libro Flow Generation - manuale di sopravvivenza per vite imprevedibili, ha pubblicato con Hoepli Phygital - il nuovo marketing tra fisico e digitale.