Tutti a scuola di felicità

«Un giorno senza sorriso, è un giorno perso». Questa famosissima frase dell’attore statunitense Charlie Chaplin è considerata un vero e proprio inno alla felicità, un invito
Le notizie false proliferano in periodi di crisi e Internet ne ha accelerato la diffusione. Mettersi d’accordo su cosa sia vero o no è sempre più difficile. La ragione? La mancanza di fiducia alla base della crisi sociale.
L’8 dicembre 2016, Edgar Maddison Welch entra armato nella pizzeria Comet Ping Pong a Washington D.C., convinto di smascherare un traffico di minori gestito dai poteri forti. La teoria che lo ispira, nota come Pizzagate, era nata su internet ed era connessa al movimento QAnon, l’ala radicale del trumpismo. Ovviamente Welch non trova nulla, spara un colpo e si arrende alla polizia. Il suo gesto dimostra il potere delle fake news: parole su uno schermo avevano armato un uomo.
Le notizie false proliferano in periodi di crisi e Internet ne ha accelerato la diffusione. Tuttavia, in una società profondamente divisa – qui tra trumpiani e anti-trumpiani – mettersi d’accordo su cosa sia vero e cosa falso è sempre più difficile, anche perché in ogni notizia falsa c’è qualcosa di vero e in ogni notizia vera c’è qualcosa di falso. A meno di non ridurre di molto lo spazio della democrazia e lasciar decidere tutto agli esperti, chi traccia la linea, dove, come, quando?
Il primo paradosso è che in ogni notizia falsa c’è qualcosa di vero. Il Pizzagate, per esempio, si basava su interpretazioni distorte di e-mail reali del comitato elettorale di Hillary Clinton. Se è vero che esistono reti di traffico di minori, come dimostrato dal caso Jeffrey Epstein, la teoria del Pizzagate era una costruzione infondata che esprimeva tuttavia una domanda di senso. Una metafora sfuggita al controllo, insomma.
La classe media occidentale, a cui era stata promessa la prosperità, sta vivendo un declassamento sociale ed economico e cerca spiegazioni: le teorie cospirazioniste danno ordine a una realtà complessa. Inoltre, alcuni meccanismi cognitivi favoriscono la loro diffusione. Per esempio, il bias di conferma: cerchiamo informazioni che confermano ciò in cui già crediamo. O l’illusione di causalità: vediamo connessioni tra eventi scollegati.
Ma questi sono gli stessi meccanismi che ci fanno credere anche alle narrazioni dominanti, che offrono stabilità e coerenza. Perché, secondo paradosso, in ogni notizia vera c’è qualcosa di falso. Ogni verità è una semplificazione o una generalizzazione, anche quella che ci hanno insegnato a scuola. La Terra non è perfettamente sferica, gli atomi non funzionano come piccoli sistemi solari e la gravità non è una forza ma una curvatura dello spaziotempo. Ecco l’effetto collaterale dell’istruzione (approssimativa) di massa: quando scopriamo che quello che ci hanno insegnato non è vero al 100%, ma ritagliato su misura delle nostre capacità di comprensione, rischiamo di sviluppare scetticismo verso tutto.
Negli ultimi decenni, abbiamo visto crollare molte certezze. Nel 2008, la crisi finanziaria ha dimostrato che i mercati non si autoregolavano. Nel 2003, l’Iraq fu invaso sulla base di armi di distruzione di massa inesistenti. Nel 2020, la pandemia ha messo in discussione la gestione politica e scientifica. Se le autorità sbagliano o mentono, perché fidarsi ancora?
Dobbiamo smettere di credere che il problema che stiamo affrontando riguardi il falso in sé. Per millenni, le civiltà si sono fondate su miti collettivi, ovvero credenze “false” ma che permettevano di unire la società invece di dividerla. Il problema oggi è che non riusciamo più a concordare su una verità condivisa. Le teorie del complotto sono una risposta estrema a questa crisi. Non si tratta di forme di irrazionalità, bensì al contrario di un’esasperazione del pensiero critico, cartesiano, tipicamente moderno: il dubbio assoluto porta alla sfiducia totale.
La società, però, si regge sulla fiducia. Senza un minimo consenso sulla realtà, rischiamo di diventare una collettività frammentata, in cui ogni gruppo crede alla propria versione dei fatti, creando conflitti senza fine. Le fake news prosperano in questo vuoto, perché offrono risposte chiare e immediate a problemi complessi. Il loro successo è il sintomo di una società in crisi, in cui il bisogno di senso prevale sulla negoziazione di una verità condivisa. La nostra priorità, dunque, deve essere di curare alla radice questa malattia della civiltà: restituire la fiducia ristabilendo legittimità alle istituzioni, impegnandoci a costruire una società più equa.