Si chiude un’altra COP, con qualche luce tra le ombre

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Si chiude un’altra COP, con qualche luce tra le ombre

Dall’11 al 22 novembre si è tenuta a Baku, in Azerbaijan, la ventinovesima Conferenza delle Parti (COP29) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), dove numerosissimi Paesi si incontrano per sviluppare congiuntamente soluzioni e concludere accordi volti a limitare l’aumento del riscaldamento globale. Unipol ha partecipato condividendo, in un evento organizzato dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica presso il Padiglione Italia, il suo impegno a supporto della resilienza del settore agricolo con il progetto LIFE ADA.

Le Conferenze delle Parti sul clima, arrivate nel 2024 alla ventinovesima edizione, sono eventi complessi, dove l’obiettivo generale di contrastare i cambiamenti climatici e, negli ultimi anni, di raggiungere gli obiettivi fissati con l’Accordo di Parigi del 2015, è perseguito con la continua e faticosa ricerca di un bilanciamento tra esigenze e interessi diversi e spesso divergenti, stretti tra la pressione dell’estrema urgenza derivante da ogni contributo scientifico disponibile e la fluidità di commitment politici altalenanti. La COP28 a Dubai si era chiusa con un passo avanti, frutto delle mediazioni di cui sopra: un accordo che segna “l’inizio della fine” dell’era dei combustibili fossili, dichiarando l’intenzione di un “transitioning away” dalle fonti fossili stesse.

La COP 29 si è aperta con il padrone di casa, il presidente azero Ilham Aliyev, che ha definito il gas e il petrolio “doni di Dio” che il Paese ha intenzione di continuare a sfruttare, ricordando subito alla comunità internazionale come organizzare questo evento in un petrolstato per il secondo anno di fila può avere dei vantaggi, come la responsabilizzazione di attori chiave nel processo globale di transizione, ma anche qualche limite in termini di conflitto di interessi.

Gli obiettivi della partenza

Le priorità identificate nella costruzione dell’agenda della COP, e ribadite dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Gutierres nel suo intervento di apertura, erano:

  • l’individuazione di accordi e approcci più stringenti per provvedere alla riduzione d’emergenza delle emissioni di gas a effetto serra, per dare attuazione al Global Stocktake (letteralmente Bilancio Globale, ossia il meccanismo di valutazione dei progressi ottenuti a livello globale nell’implementazione delle misure dell’Accordo di Parigi) uscito dalla Cop28 di Dubai;
  • la concretizzazione degli impegni sull’adattamento, per proteggere la società – a partire dalle comunità più vulnerabili – dagli eventi climatici estremi che sono effetti del cambiamento climatico; l’adattamento è diventato un “tema da COP” nell’edizione 27 di Sharm el Sheik e sta assumendo sempre più spazio in queste discussioni;
  • sopra a tutto, la definizione di un nuovo quadro per la finanza climatica, per consentire a tutti i Paesi, specialmente quelli in via di sviluppo, di accedere alle risorse necessarie per supportare la transizione e affrontare le conseguenze già in essere.

Come è andata a finire

Le analisi proposte da esperti e attivisti sugli esiti della Conferenza sono unanimi nel considerare gli accordi siglati piuttosto limitati e poco soddisfacenti a fronte delle aspettative iniziali, soprattutto quelle dei Paesi più fragili (il cosiddetto “G77”).

I testi approvati sono molti, ma solo uno contava davvero: quello relativo al New Collective Quantified Goal (NCQG) o Nuovo Obiettivo Collettivo Quantificato sulla finanza climatica, ovvero i flussi finanziari che dal Nord ricco devono andare a finanziare la transizione nel Sud globale.

L’accordo prevede l’impegno a mobilitare almeno 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035 ai Paesi vulnerabili ed emergenti. Non è stato però ancora deciso nulla sul resto: né chi dovrà pagare, né chi farà parte della platea di coloro che dovranno ricevere, né in quale modo tali capitali dovranno essere allocati (se attraverso sovvenzioni o prestiti). Il testo approvato include – di positivo – anche lo sviluppo di una Roadmap di attività “da Baku a Belem” su come raggiungere 1,3 mila miliardi. A fronte delle necessità (1.300 richiesti e i 2.400 necessari), gli accordi raggiunti non appaiono rispondere adeguatamente alle aspettative.

Tra le altre bozze, quella sul programma di lavoro sulla mitigazione (MWP) deludepoiché non presenta alcun riferimento a un superamento delle fonti fossili, e in quella del dialogo successivo al Global Stocktake approvato alla COP29 di Dubai non si dà corpo al famoso “transitioning away from fossil fuels” deciso negli Emirati, dal momento che non c’è il previsto aggiornamento sui combustibili fossili; tutto è rimandato di un anno, a Belem.

L’adattamento sempre più centrale

Nel contesto COP si è ormai acquisita la piena consapevolezza che, pur se gli sforzi sulla transizione dessero ottimi successi (e, come visto, le premesse non paiono andare in questa direzione), i danni derivanti da eventi climatici estremi sono già una realtà e nei prossimi anni non potranno che peggiorare. Per questo le azioni di adattamento e le risorse con cui finanziarle, specialmente del Sud globale, sono oggetto di specifici filoni di lavoro a COP, che a Baku ha lavorato sulla messa a terra del Global Goal an Adaptation, ambito di lavoro nel quale si prova a individuare gli obiettivi di adattamento e gli indicatori con cui monitorare i progressi.

Unipol ha portato la sua esperienza e le competenze specifiche maturate nell’ambito del progetto ADA (ADaptation in Agriculture), volto a rafforzare la resilienza delle filiere agricole ai cambiamenti climatici. Il progetto ha reso evidente come la costruzione di consapevolezza, la partnership tra diversi attori interessati (associazioni, enti scientifici, enti pubblici, assicurazioni) e l’individuazione di forme di finanziamento volte specificamente alla riduzione del rischio possano determinare passi in avanti significativi verso l’adattamento.

In conclusione…

Spesso a chi si occupa di sostenibilità succede di provare delusione al termine di una COP, a fronte della distanza tra gli accordi raggiunti e le aspettative iniziali (e, ancora di più, tra gli accordi raggiunti e gli interventi individuati come necessari per scongiurare le peggiori conseguenze).

Per non cadere nel pessimismo occorre ricordare che rimane un evento degno di attenzione e speranza il fatto che così tanti Paesi e interessi differenti si riuniscano intorno a un tavolo e discutano attivamente per fare passi avanti condivisi. Può aiutare pensare alle COP non tanto come a momenti di “raccolta” di risultati fatti e finiti, ma soprattutto come a momenti in cui si piantano i semi che saranno poi coltivati nel corso dell’anno e degli anni successivi perché portino i loro frutti, come segni tangibili dell’opportunità e della necessità della cooperazione in materia climatica.

Nel 2002, dopo una laurea in Giurisprudenza e un MBA, comincia a lavorare presso SCS Consulting, società di consulenza direzionale di Bologna tra le prime in Italia ad occuparsi di sostenibilità d'impresa. Qui ha ricoperto posizioni di responsabilità crescente nell’Area Sostenibilità e Accountability, di cui è diventata Responsabile nel 2014. Da novembre 2018 lavora nel Gruppo Unipol come Sustainability Manager, occupandosi tra l’altro di strategie e processi di rendicontazione; presidio di rischi e impatti di sostenibilità attraverso il sistema di politiche aziendali; applicazione della normativa europea sulla sostenibilità del settore finanziario; pianificazione di sostenibilità.