Dentro il flow: agire per cambiare

Society 3.0


Dentro il flow: agire per cambiare

Se il purpose è la stella polare che guida la nostra azione, il flow è l’azione stessa. O meglio, è la sensazione che proviamo quando stiamo concentrati in un’attività per noi piena di significato.

Nell’ultimo articolo abbiamo tratteggiato la necessità di perseguire il nostro purpose personale, il nostro scopo, ponendoci alcune domande chiave. Se parliamo di scopo, possiamo introdurre un altro concetto chiave. Si tratta del flow, l’idea di “flusso” elaborata decenni dallo psicologo ungherese Mihaly Csikszentmihalyi (di cui vi consiglio il libro omonimo dato uscito recentemente in Italia grazie a ROI Edizioni). 

Se il purpose è la stella polare che guida la nostra azione, il flow è l’azione stessa. O meglio, è la sensazione che proviamo quando stiamo concentrati in un’attività per noi piena di significato. Secondo le ricerche svolte negli ultimi decenni, che hanno coinvolto ricerche su migliaia di persone di diversa età, sesso, etnia, ceto sociale, cultura, le persone che entravano più spesso nel flow avevano un tratto in comune: erano più felici.

Ma detto al contrario è più chiaro: le persone più felici al mondo hanno un tratto comune, vivono nel flow. Capiamo quindi di cosa si tratta, più nello specifico. Nella condizione di flow siamo dentro una sfida con noi stessi, impegnati al massimo. La difficoltà della situazione e le nostre capacità si trovano in grande equilibrio. Ciò che stiamo facendo non è semplice, altrimenti potremmo farlo con la mano sinistra, in modo automatico o semiautomatico (e ci annoieremmo). È difficile, ma non eccessivamente (altrimenti sarei stressato o ansioso): se ci impegniamo al massimo possiamo ottenere risultati tangibili.

Ogni flusso è instabile, dinamico, in continuo movimento. Se le nostre capacità e competenze sull’attività crescono, possiamo alzare l’asticella e puntare a sfide più elevate. Per questo, quando diamo il massimo impegnandoci con costanza ci troviamo “in picchiata verso l’alto”. Esistono infinite attività che possono innescare il flow: fisiche, mentali, lavorative, personali. E soprattutto, un’attività priva di significato per una persona, può essere colma di significato per un’altra. Vi illustro un esempio che conosco bene. Giulio, che a 13 anni inizia a suonare la chitarra.

All’inizio era tutto nuovo. L’unica cosa che conoscevo era la mia voglia di imparare a suonare le mie canzoni rock preferite (erano gli anni ’90, ricordate? Nirvana, Radiohead, Green Day, Smashing Pumpkins, Afterhours…). Ogni mossa, ogni movimento erano una sfida. Bastava poco per avvicinarsi al flow. Ad esempio, imparare a tenere tra l’indice e il pollice un pezzetto sottile di plastica (il plettro) e “passarlo” sulle corde mentre in simultanea con l’altra mano cercavo di tenere premuti alcuni “tasti”.

Inizialmente mi sentivo un deficiente senza coordinazione. Un disastro. Poi, dopo diversi giorni, sentii risuonare nell’aria un primo accordo “pulito”. Un Re. Ero in estasi: Il mio primo guit-flow.
Che dire, ho suonato il re per ore. Poi il flow iniziò ad affievolirsi: era tempo di nuove sfide, di alzare l’asticella. Ed ecco che provai altre note, più difficili. Partendo dal Sol. Anche qui, una sconfitta dietro l’altra. Ma a furia di provarci, iniziai a sentire il suono del Sol più vigoroso, scatenando un altro piccolo flow, un altro piccolo senso di crescita.
Un giorno misi assieme alcuni accordi, e scrissi la mia prima canzone. Un flow bello grosso quello, una sensazione di flusso in piena. Infine, misi in piedi una rockband. Il che significava rimettersi in gioco, perché suonare da solo e suonare con altri sono attività completamente diverse. Il che mi ha obbligato a rivedere e migliorare ancora le mie abilità.

Possiamo immaginare il flow come una scala sempre più ripida e impegnativa, alla ricerca di tutte le tue possibili “prime volte in cui”:

  • siamo riusciti a fare una certa cosa;
  • abbiamo imparato a fare qualcosa di nuovo in una certa attività;
  • abbiamo superato un precedente limite su qualcosa che sappiamo fare;
  • abbiamo svolto un’attività in un contesto inedito.

Infatti, oggi per entrare nel flow con la chitarra devo puntare in alto. Scrivere una canzone che reputo bellissima e suonarla da dio. Ogni volta che usciamo dal flow siamo diventati un po’ più “complessi” di prima, abbiamo mutato leggermente pelle, pur rimanendo noi stessi. Attiviamo un senso di scoperta continuo, e inseguiamo il nostro purpose a colpi di fatiche gioiose.

Tra le cose più belle del flow?
Che se lo cerchiamo, possiamo trovarlo anche nelle situazioni più difficili, drammatiche. Anche in prigione, segregati dal mondo.

Ma questa, è un’altra storia.​​

La mia prima "startup" è stata una rock band in cui ho suonato per dieci anni, poi la vita mi ha portato alla cultura digitale. Ho pubblicato numerosi saggi, tra cui #Contaminati e Digital Skills, e il romanzo I sogni di Martino Sterio. Oggi sono Partner e Digital Learning Strategist in Newton, dove sviluppo percorsi di innovazione per grandi aziende, e coordinatore Master Digital per la Business School Sole24Ore. Contaminare la scrittura con la formazione mi rende felice.​