Rivoluzione social: fine di anonimato e gratuità?

Sharing


Rivoluzione social: fine di anonimato e gratuità?

Da qualche mese le piattaforme digitali puntano sul pagamento e l’autenticazione. Due cambiamenti in apparenza lievi ma destinati a modificare per sempre questi media. Qual è l’impatto sull’utilizzo e sugli utenti.

Per ragioni di costo e di sicurezza, i social media puntano sul pagamento e l’autenticazione. Sono due passi verso una rivoluzione copernicana dall’esito incerto per le piattaforme ma stravolgente per gli utenti, perché tocca i fili scoperti della viralità. Riuscisse davvero, sarebbe un passo per il mondo dei media e uno stravolgimento per gli utenti.

Nell’attesa che l’operazione si concluda, è meglio concentrarsi proprio sugli utenti e lasciare ai cervelli ossessionati dal futuro dei media le solite speculazioni sui modelli di business che funzionino ed il destino delle piattaforme.
Ci portano sull’argomento due espressioni non scientifiche, ma quasi etnografiche perché raccolte dalla voce dell’utente comune sul marciapiede quotidiano dei social media. «Mettiamo un like, tanto non costa nulla» è la prima. «Se ha un profilo anonimo non dovrebbe avere il diritto di commentare» è la seconda. Provengono dalla lingua volgare di ogni giorno, ma ci portano nel profondo delle nuove intenzioni, ora svelate, delle piattaforme digitali: aggredire l’anonimato e la gratuità.

A questi comandamenti non scritti – due convenzioni da tempo accettate – possiamo infatti ricondurre altrettanti fenomeni di grande portata: l’immenso fiume di utenti-produttori di contenuti, e l’incontrollata attività social di chi non ha un profilo riconoscibile e distorce informazioni e conoscenza. Siamo davanti all’ipotesi che ora cambino entrambi.

Rivoluzione social: come immaginiamo la fine della gratuità? 

Ai tempi in cui il fondatore di Microsoft Bill Gates scrisse il citatissimo articolo Content is king (1996), il web – soprattutto in virtù della gratuità – toccava il suo punto di massimo idealismo. Grazie a pagine web infinite ed a costo zero, ogni persona ed ogni impresa – nessuna è troppo piccola per parteciparvi, scriveva Gates – avrebbe potuto cogliere l’opportunità di produrre contenuti ed informazioni. C’era spazio per tutti. Era il Far West della conoscenza e dell’informazione: andate, e lì dove pianterete la vostra bandiera – il vostro sito o il vostro profilo utente – quel terreno sarà vostro.

L’idealismo consisteva nel promuovere e credere finalmente nella possibilità di conquistare (o piuttosto di “dare”, e la differenza è sottile ma profonda) la libertà di espressione a tutti; e di collaborare all’irenico sogno di produrre conoscenza tutti insieme appassionatamente.

Fatte le debite esperienze social, la libertà di espressione non è aumentata, ma va detto che non è nemmeno diminuita. E la conoscenza disponibile di certo è cresciuta, ma non si può dire cresciuta in qualità. In entrambi i casi, se ci sono state variazioni, è difficilissimo o quasi impossibile imputarle ai social: per libertà e conoscenza siamo al punto di prima.

Resta però da comprendere quanto e con quali conseguenze la gratuità abbia dato a tutti la possibilità di produrre contenuti ed informazioni, distribuirli e soprattutto puntare – questo sì è il cambiamento importante – ad avere un proprio personalissimo pubblico.

Ora, cosa potrebbe cambiare se questa gratuità finisse? Cosa cambierebbe se dovessimo pagare:

  • per fare un click o mettere un like;
  • per il tempo di connessione ad una piattaforma;
  • per la condivisione di un contenuto;
  • per fare un commento o un post;
  • per postare un video, scrivere un articolo su una pagina del nostro sito web, o aprire e mantenere attivo un profilo utente…

Rivoluzione social: è la fine dell’anonimato?

Vediamo qual è il secondo potenziale punto di svolta. Fino ad oggi, molti dei social media hanno consentito l’anonimato. È infatti possibile darsi uno pseudonimo, creare per sé un profilo falso; non utilizzare la propria fotografia personale.
E quale motivo ha retto la possibilità di non farsi riconoscere? Il più rivendicato è la protezione della libertà di espressione, a favore di chi è minacciato o in pericolo per le proprie idee o la propria posizione sociale.
Ma anche qui abbiamo visto pochi benefici tangibili e diffusi, e invece la possibilità dei regimi di trovare strumenti tecnologici (per esempio, software) per aggirare l’anonimato e individuare i profili per loro minaccianti.

Non si possono poi imputare all’anonimato le azioni di disinformazione, comuni ad ogni epoca umana, realizzate da soggetti professionisti dell’informazione e ben sfoggiate durante la Guerra Fredda, come descritto da Thomas Rid nel libro Misure attive (Luiss University Press, 2022).
I danni oggi più impattanti sulla conoscenza sembrano infatti provenire dai singoli utenti che sfruttano l’anonimato offerto dai social media.
E cosa potrebbe cambiare per questi ultimi, con l’obbligo di accedere ad una piattaforma con la carta d’identità (o magari lo SPID…) o di dare il numero della propria carta di credito per pagare un click o un like, o il danno per un’offesa?

Rivoluzione social: le ragioni della svolta 

Per capirlo torniamo ai motivi del cambiamento: cosa spinge ora verso la fine della gratuità e dell’anonimato? Perché ci si chiede di pagare ed autenticarsi? Le ragioni sono due, ed oggi le piattaforme le fanno coincidere.
A giustificare la fine della gratuità ci sono i costi aumentati a causa del rincaro energetico e dell’inflazione, compresi quelli per il mantenimento di server per lo stoccaggio di dati.
Ciò rende ora insostenibili le strutture organizzative delle piattaforme, gonfiate quando il Covid amplificava la vita online a dispetto di quella reale, e richiede una razionalizzazione.
E dall’altra ci sono le ragioni della sicurezza, che spingono verso una fisiologica e corretta necessità di avere utenti reali e non anonimi o falsi, che contribuiscono a destabilizzare la politica o influenzare i mercati.

Rivoluzione social: una minaccia per la viralità

Non intuiamo le conseguenze sui bilanci e sul destino delle piattaforme del passaggio al pay per like ed all’autenticazione; ed è materia giustamente dedicata ai diretti interessati che le gestiscono.

Ma rivediamo le ipotesi di cambiamento per gli utenti. Cosa accadrebbe se:

  • ogni click costasse 1 centesimo e questa azione fosse supportata da sistemi di pagamento velocissimi e senza frizioni;
  • ogni profilo utente avesse una precisa identità certificata;
  • per postare o produrre un contenuto fosse richiesto un pagamento.

Partendo da ragioni molto pratiche di costo e di sicurezza, questi cambiamenti potrebbero produrre conseguenze radicali nell’utilizzo del mezzo.
Con l’idea di caricare sull’utente una quota di costo, questo sarebbe forse ricondotto ad un uso razionale dei social media: il pagamento potrebbe rappresentare un inibitore per gli impulsi e le reazioni incontrollate che viziano l’utilizzo dei social.
La riconoscibilità potrebbe disarticolare l’impalcatura emotiva che ci tiene connessi 24 ore su 24 con l’idea di socializzare e condividere fatti veri o falsi ed opinioni giuste o offensive, spinti dalle emozioni, il vero motore della viralità dei contenuti.
Passeremmo da una generazione di social emotivi, ad una di social con regole cognitive più razionali. Sarebbe una rivoluzione per gli utenti, costretti a parsimonia, riflessività e responsabilità, e per l’apparato di neurologi, psicologi, linguisti e biologi che da una parte o l’altra della barricata hanno messo le emozioni al centro dell’informazione.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).