Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
All’Università di Berkeley, Sage Lenier, insegna come ridurre a zero la spazzatura. E dalle aule è arrivata al World Economic Forum per spiegarlo a tutti.
Nel 2017, quando Sage Lenier ha iniziato a insegnare all’università di Berkeley, dove lei stessa era arrivata un anno prima, a seguire le sue lezioni erano in 25. Nella primavera del 2020 oltre 300 studenti hanno chiesto di iscriversi al suo corso, intitolato Zero spazzatura: soluzioni per un futuro sostenibile, per la cui popolarità, a 22 anni, Sage è stata invitata al World Economic Forum.
Il programma del corso analizza i flussi di creazione e di smaltimento della spazzatura oggi, esaminando i legami tra le nostre abitudini di consumo e l’insorgere di problemi come il cambiamento climatico o l’inquinamento delle falde acquifere. Sage Lenier si concentra su quello che i singoli individui possono intraprendere, come, per esempio, ridurre la dipendenza dalla plastica monouso, adottare diete più sostenibili e passare a un’economia circolare che produce meno rifiuti e richiede meno risorse. Tuttavia, la specificità del corso di Lenier sta nella sua ambizione: «Certo, è bene portare in giro borracce e bere acqua del rubinetto invece che in bottiglia, ma non serve impazzire per l’ossessione di non produrre rifiuti» precisa a Changes la giovane insegnante. «Ci cascano troppe persone, mentre sarebbe più efficace se usassero il loro tempo a promuovere per un cambiamento più ampio, come convincere la città a organizzare sistemi di compostaggio di comunità e migliorare il trasporto pubblico».
È a una rivoluzione sociale, insomma, che Sage Lenier punta, promuovendo un cambiamento strutturale di approccio al consumo in grado davvero di fare la differenza. Anche perché, ci spiega, accordi internazionali, come quello di Kyoto e Parigi, cui il neopresidente Usa Biden ha stabilito di aderire di nuovo, come primo atto della sua “rivoluzione verde” in chiave anti Trump, in realtà incidono ben poco: «Penso che la maggior parte degli ambientalisti possa concordare sul fatto che nessuno degli accordi globali sul clima esistenti è sufficiente, dato che le emissioni sono ancora in aumento. L’Accordo di Parigi, soprattutto, dato che non è vincolante» insiste Lenier. «Avremo bisogno di impegni duri per ridurre le emissioni e di enormi trasferimenti di ricchezza e tecnologia dai Paesi ricchi a quelli poveri. Ciò tuttavia richiede anche una seria riorganizzazione delle nostre priorità e un enorme cambiamento di stile di vita per i Paesi del primo mondo, che producono la maggior parte delle emissioni mondiali».
Oltre che del cambiamento climatico, i Paesi più avanzati sono anche i principali responsabili dell’enorme quantità di spazzatura che ormai ha colonizzato valli e oceani. Il fatto è che il sistema globale del riciclo dei rifiuti, sostiene Lenier, è bloccato dal 2018; da quando, cioè, «la Cina ha smesso di accettare importazioni di carta e plastica con una contaminazione superiore allo 0,5%, cosa praticamente impossibile con le nostre attuali infrastrutture». Rimasti qui, ammassati nelle discariche o sotterrati sotto le nostre città, gli scarti vengono recuperati solo in minima parte. E per di più, i sistemi di trattamento adottati attualmente generano un’alta intensità di carbonio e di sostanze chimiche, che aumenta a sua volta l’effetto serra. Perciò, anche se non lo si ammette apertamente, a fronte di metodi di riuso e recupero altamente inefficienti, l’unico modo di ridurre gli scarti non è riciclarli: è non produrre del tutto beni non degradabili.
Per quanto oggi sembri impossibile arrivare a questo risultato, Lenier è convinta che, mobilitandosi e alterando le proprie scelte di consumo, i cittadini possano imporlo. Da dove iniziare, allora? La studentessa di Berkeley propone la tecnica di “votare con il portafogli”: «Se non puoi convincere da solo un’azienda a comportarsi bene, a evitare una sovrapproduzione di beni non riciclabili, puoi smettere di comprare i loro prodotti, e convincere altri a fare lo stesso. Si può lanciare una campagna su Instagram taggando una foto dei prodotti di un negozio di alimentari avvolti in chili di plastica o recensire un fast food esprimendo la delusione per il loro uso di posate monouso. Personalmente, io ho scelto di evitare i marchi che si dichiarano “green” a favore dei vestiti di seconda mano (adoro il risparmio e le app come Depop)” aggiunge “perché penso che ci siano già abbastanza vestiti sul pianeta, senza dover spendere centinaia di dollari in capi eco -chic». Ma Lenier non vuole essere prescrittiva: qualunque azione che aumenti la consapevolezza delle persone sulle conseguenze delle nostre scelte, è la benvenuta. L’importante è darsi da fare: «Non è solo un problema ecologico, ma anche una questione di giustizia sociale. Il consumismo sta già esacerbando le disuguaglianze esistenti e continuerà a farlo».