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Sono immuni agli antibiotici e sono diventati un'emergenza mondiale di cui si sta occupando l'Onu. Così la spesa sanitaria potrebbe schizzare a 100mila miliardi di dollari l'anno entro il 2050.
Super resistenti e pericolosissimi. Potrebbe sembrare l’identikit di moderne e ingombranti armi da guerra, invece il riferimento è a qualcosa di microscopico ma di altrettanto mortale: è allarme batterio immune a tutti gli antibiotici. Per l’Onu è questo il nemico numero uno da combattere e, soprattutto, sconfiggere, nei prossimi anni. Secondo le stime elaborate dagli esperti del Palazzo di vetro, nel 2050 i morti provocati da questi temibili e invisibili killer potrebbero arrivare addirittura a 10 milioni e la spesa sanitaria per fronteggiare l’emergenza potrebbe schizzare a livelli stratosferici fino alla cifra monstre di 100mila miliardi di dollari all’anno. Un’emergenza tale che a settembre è stata dedicata una sessione specifica nel corso dell’Assemblea generale per cercare delle soluzioni. Secondo una stima elaborata dal governo britannico che ha messo in piedi una task force ad hoc, già oggi i superbatteri super resistenti uccidono qualcosa come 700 mila persone ogni anno. Per fare un paragone tutto italiano equivale a dire che in dodici mesi scompare una città di medie dimensioni come Palermo. L’allarme a dire il vero non è nuovo, ma ben poco si sta facendo, come conferma un’inchiesta della Reuters. Negli Usa, per esempio, si mette in evidenza che quindici anni dopo la dichiarazione del governo sulla minaccia dei farmaci resistenti non si sia corso ai ripari tanto che le agenzie governative non sono attualmente in grado di imporre obblighi di segnalazione a un settore sanitario che spesso nasconde il problema. Problema che è ovviamente giuridico – manca cioè la normativa ad hoc – ma anche metodologico: migliaia di morti provocate ogni anno dai batteri resistenti non sono registrate come tali negli ospedali statunitensi. Il motivo? I sanitari non possono contare su indicazioni precise in merito alla compilazione dei moduli. Un vuoto normativo-burocratico sta rischiando, secondo Reuters, di provocare un’emergenza sanitaria di livello globale, visto che le informazioni e i dati relativi ai decessi sono il primo elemento utile per correre ai ripari. Reuters snocciola ancora dei numeri impressionanti: 24 stati americani su 50, compreso il Distretto di Columbia, ovvero l’area della capitale federale Washington, non tracciano regolarmente le morti causate da infezioni resistenti agli antibiotici. Ma quel che è peggio è che a metà del 2016 è stata diffusa la notizia della scoperta sul territorio statunitense di un super batteri resistente a tutti gli antibiotici attualmente disponibili. Un nemico invisibile e subdolo che ha velocemente superato i confini Usa raggiungendo gli alti continenti, Europa compresa.
Anche in Italia la situazione è certamente da tenere sotto stretta osservazione: secondo la sorveglianza dell’antibiotico-resistenza dell’Istituto superiore di sanità (Ar-Iss), nel nostro Paese la resistenza agli antibiotici si mantiene purtroppo tra le più elevate nel Vecchio Continente e quasi sempre al di sopra della media europea. Non stanno meglio altri Paesi come la Croazia, la Grecia e la Romania. A cosa è dovuta la resistenza di microorganismi agli antibiotici di prima linea? La spiegazione è darwiniana: non sempre un antibiotico riesce a uccidere tutti i superbatteri di una colonia e quelli che resistono si riproducono trasmettendo il gene che li rende inattaccabili. Pur essendo un fenomeno naturale, questo è accelerato e aggravato dall’uomo che fa un uso scorretto dei farmaci antibiotici. Uno dei principali fattori che contribuiscono alla resistenza, infatti, è la tendenza a trattare gli animali da allevamento con basse dosi di antibiotici per favorire la crescita ed evitare le malattie negli ambienti sovraffollati degli allevamenti intensivi. Questa pratica è illegale in Ue dal 2006 ma ancora moto diffusa per esempio negli Stati Uniti. Pericoloso anche l’uso di antibiotici per trattare patologie virali. Secondo l’Unione europea, infatti, l’uso di antibiotici per contrastare erroneamente i virus è alla base di un terzo delle assunzione inutili di queste medicine che quindi perdono ancora più efficacia. Non è un caso quindi se la Commissione europea abbia deciso di investire poco più di 2 milioni di euro per mettere a punto dei test sempre più precisi in grado di distinguere fra i diversi tipi di infezione e di limitare l’uso di antibiotici. E la stessa cosa si sta facendo anche negli Usa. Il passo successivo sarà scommettere sulla ricerca per l’individuazione di nuovi antibiotici sempre più potenti contro i superbatteri. E qui entra in gioco l’Onu che avrà il compito di coordinare gli sforzi mondiali e di indirizzarli vero una soluzione globale al problema nel più breve tempo possibile.