Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
Il risultato delle elezioni europee ha visto un indebolimento della politica più attiva su ambiente e sostenibilità. La ragione? Vanno ripensate le azioni a sostegno del Pianeta. Changes ne ha parlato con Marco Deriu.
Lo studio di futuri possibili si ispira soprattutto a quanto sappiamo sui cambiamenti globali attesi per i prossimi anni e in particolare su conoscenze e prospettive di innalzamento del livello medio del mare. Esplorare le molteplici situazioni che si potrebbero verificare per prepararci e gestirle, governando le incertezze, sono le priorità di oggi. Tuttavia, i rischi per il pianeta e per l’uomo di un incontrollato aumento delle temperature sono molteplici e dipendono da una serie di fenomeni che possono anche collegarsi fra loro a cascata.
C’è un forum internazionale il Great Transition Initiative (GTI) che discute concetti e visioni per una transizione verso un futuro sostenibile e la necessaria trasformazione globale per raggiungerla. GTI invita a considerare una sorta di tassonomia del futuro individuando tre possibili tendenze.
Ogni scenario suggerisce l’urgenza di agire per una trasformazione e una riorganizzazione ecologica del sistema sociale ed economico. Leggere queste considerazioni stimola. Quello che ci spetta, dipende dalle nostre scelte e dalle nostre azioni di oggi ma ciò che è importante è che oggi possiamo ancora prendere diverse decisioni. Changes ha chiesto a Marco Deriu, docente di Comunicazione ambientale dell’Università degli Studi di Parma e autore di diversi volumi, fra i quali l’illuminante saggio Rigenerazione per una democrazia capace di futuro (Castelvecchi editore, 2022) di aiutarci a vedere il mondo che cambia e per riflettere su come porci. Per Deriu le proposte che arrivano dalle istituzioni sovranazionali, costruite sullo scenario secondo cui si può avere un’economia espansiva, sostenibile, a emissioni e inquinamento zero, non sono credibili, soprattutto perché non fanno menzione di quali soggetti pagheranno i costi di questo processo.
Per quale ragione?
Si deve ripensare la cultura democratica sostenendo una rigenerazione delle relazioni fra generazioni, popoli, ma anche esseri umani e specie animali e vegetali. Si continua a consumare in modo pesante: dichiarazioni, intenti, slogan, promesse ma ancora poche azioni. Questo agire rallentato a favore del nostro ambiente rischia di erodere la nostra fiducia nel nostro sodalizio umano e mina gli ideali fondamentali sui quali si basa la democrazia ovvero i principi di uguaglianza, fratellanza, libertà. Per questo oggi dobbiamo riconoscerci in un percorso collettivo che certamente richiede sforzi e sacrifici ma che ci aiuterebbe a cambiare davvero.
Ma allora quale potrebbe essere la strada del rinnovamento?Bisogna rivedere il funzionamento delle nostre istituzioni perché occorre avere chiara la necessità di una prospettiva ecologica che riguardi l’ambiente inteso non semplicemente come qualcosa che sta intorno a noi ma invece come qualcosa di cui siamo parte, qualcosa di costitutivo di una “comunità politica”. Abbiamo bisogno di una “democrazia psichica” che ci permetta di pensare che veramente siamo tutti coinvolti e che quello che ci sta accadendo dipende anche dal nostro atteggiamento. Dobbiamo impegnarci a riconoscere la questione ecologica come “vicenda politica” e la questione democratica come “vicenda ecologica”. Dobbiamo immaginare un’umanità che non si definisce in contrapposizione ma “in relazione con tutto il resto”.
Quali possono essere le basi di questo nuova democrazia ecologica?
La questione non è se la democrazia sarà in grado di affrontare il cambiamento climatico ma con quale idea e forma di democrazia ci prepariamo ad accogliere questa sfida. Le nuove basi non solo si devono fondare su principi e diritti ma su:
A queste azioni, potremmo aggiungere un valore importante che lega l’educazione alla coerenza per evitare che fra il dire e il fare stia di mezzo un mare di intenzioni che poi si fanno evanescenti offuscando la meta da raggiungere.