Mandato di cattura per la CO2

Environment


Mandato di cattura per la CO2

Per fermare il cambiamento climatico serve sequestrare l’anidride carbonica dal pianeta. Una soluzione arriva dalla Carbon Smart Circular Economy che attraverso il riciclo offre una nuova speranza per dare ossigeno alla terra.

Per fermare il cambiamento climatico serve sequestrare la CO2 dal pianeta. Una soluzione arriva dalla Carbon Smart Circular Economy che attraverso il riciclo offre una nuova speranza per dare ossigeno alla terra.

Se sempre più Stati puntano sullo stop al carbone, petrolio e gas continuano a crescere. Altro che picco di produzione: rimandato di almeno trent’anni. Grazie ai continui miglioramenti tecnologici per estrarre combustibili fossili “non convenzionali” – come petrolio estratto dalle dalle sabbie bituminose (Canada e Venezuela), shale gas e oil (USA) e gli idrati di metano (Cina), la produzione è in continua crescita con prezzi costantemente competitivi. Nemmeno la guerra globale alla plastica ne ridurrà la domanda.

Un’ottima notizia per i mercati, meno per gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, responsabili dell’alterazione del clima. Anzi una pessima notizia. L’ultimo report dell’IPCC, il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, che adotta oltre 6000 referenze scientifiche, curato da novantuno autori da tutto il mondo, su mandato dei governi, ricorda a tutti che è fondamentale fermare entro il 2030-2052 il riscaldamento globale rimanendo in un aumento medio delle temperature di +1,5°. Unico modo per farlo: fermare le emissioni di CO2. Per decarbonizzare solo il settore energetico si dovranno investire, dice il report, circa 900 miliardi di dollari l’anno. Ovvero moltiplicare per fattore cinque gli attuali investimenti. E cercare di sostituire quanto più velocemente possibile le fonti fossili. Intanto però bisogna trovare soluzioni per limitare le emissioni e assorbire l’anidride carbonica in atmosfera. Per questa ragione gli scienziati dell’IPCC hanno incluso soluzioni tecnologiche per catturare la CO2. Per arrivare a emissioni nette zero (per nette s’intende al netto delle emissioni di CO2 inevitabili), bisognerà rimuovere o catturare la “cattiva” anidride carbonica dall’atmosfera. Sia attraverso lo stop al taglio delle foreste e l’aumento delle superfici boschive, sia con l’espansione della produzione di energia da biomasse e infine con le tecnologie di sequestro, stoccaggio e impiego di anidride carbonica (in inglese Carbon Capture Usage and SequestrationCCUS).

Secondo il report “consentire alla temperatura globale di superare anche temporaneamente 1,5°C significherebbe un maggiore affidamento sulle tecniche che rimuovono la CO2“. Precisando però che “l’efficacia di tali tecniche non è dimostrata su larga scala e alcune potrebbero avere impatti negativi sullo sviluppo sostenibile”. Ma l’industria petrolifera, delle raffinerie, acciaierie e cementifici guarda con interesse a tutte le opzioni sul tavolo.

CCUS​

Secondo il segretario del Dipartimento per l’Energia americano, Rick Perry, rendere più pulito l’impiego di combustibili attraverso tecnologie per la cattura del carbonio è necessario «perché i combustibili fossili continueranno ad essere importanti per la produzione di energia a livello mondiale». Per questa ragione il governo americano ha introdotto il 28 febbraio una proposta legislativa bipartisan per sostenere questo tipo di tecnologie. Queste tecnologie implicano la cattura di diossido di carbonio (CO2) da combustione o processi industriali, il trasporto di CO2 via nave o pipeline e il suo uso come risorsa per creare prodotti o il suo deposito permanente in profondità, in formazioni geologiche. Alcune tecnologie includono la rimozione diretta dall’atmosfera, ma al momento sono altamente sperimentali e non scalabili. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia i CCUS rappresenteranno il 7% delle riduzioni cumulative delle emissioni a livello mondiale fino al 2040. Si stima passeranno da una capacità di assorbimento attuale di circa trenta milioni di tonnellate (Mt) a 2300 Mt nel 2040. Una sfida complicata, dato il limitato numero d’impianti commerciali presenti. Che però pare per il settore petrolifero l’unica strada per continuare ad operare indisturbato.

Soil Carbon Sequestration (SCS)

Il carbonio è una componente chiave della vita organica. I vegetali lo assorbono e immagazzinano nei tessuti attraverso la fotosintesi, gli animali lo assumono tramite il cibo e il suolo lo assorbe a fina vita di piante e animali. Spesso pensiamo agli alberi come dei contenitori di carbonio, in realtà il terreno rappresenta il terzo maggior bacino di carbonio dopo gli oceani e le fonti fossili. L’uomo però ne ha ridotto la quantità a causa dell’agricoltura intensiva basata su monoculture e scarsa biodiversità. Per gli scienziati i suoli potrebbero tornare ad assorbire CO2 attraverso agricoltura rigenerativa, maggiore biodiversità e interventi antidesertificazione.

Geo ingegneria e oceani

Quarantanove milioni di anni fa durante l’Eocene si verificò una crescita sproporzionata della Felce di Azolla nella regione dell’Artico. Questo comportò un enorme assorbimento di CO2, modificando radicalmente il clima (si passò da 3500ppm a 650 ppm di anidride carbonica), raffreddando decisamente le temperature terrestri. Oggi gli scienziati vorrebbero replicare, in scala minore, questo fenomeno attraverso un sistema di fertilizzazione degli oceani, noto come iron seeding. Questo sistema sfrutta l’introduzione di solfati ferrosi per stimolare una crescita rapida del fitoplancton, un sistema per “riforestare” gli oceani ed assorbire cosi anidride carbonica dall’atmosfera ed al contempo ripopolare la fauna marina. Tuttavia, gli esperimenti hanno evidenziato che le quantità di carbonio realmente sequestrate sono basse, perché in buona parte la COsi libera nuovamente, entrando nella catena alimentare. Sono stati anche evidenziati rischi legati alla salute degli ecosistemi marini come le infestazioni di alghe dannose (harmful algal blooms) che potrebbero danneggiare la catena alimentare.

Carbon Smart Circular Economy

Un giorno potremo entrare in un negozio e comprare pantaloni da yoga “fatti di carbonio riciclato” o addirittura marchiati come “Carbon Smart”, invece che di filati acrilici derivati da fonti fossili vergini? La risposta secondo un gruppo d’imprese è si. Oggi infatti è tecnologicamente possibile emissioni carboniche da acciaierie e raffinerie per produrre etanolo o neoplastiche. La società americana Lanzatech ha un impianto funzionante, di scala commerciale, in Cina, che produce 16 milioni di galloni di etanolo catturando circa il 45% delle emissioni di anidride carbonica. Ma si potrà realizzare molto di più avanzando il lavoro di queste bioraffinerie. «Stiamo studiando come riciclare il carbonio dalle emissioni di scarto trasformandolo in sostanze chimiche per produrre alcool isopropilico e poi convertirlo in polipropilene in modo da produrre plastica dal carbonio riciclato», spiega all’autore Jennifer Holmgren, CEO di Lanzatech. «Di conseguenza pensiamo di produrre plastiche, gomma per pneumatici o nylon come quello usato per i pantaloni da yoga, per esempio. Pensiamo di poter ottenere precursori chimici di molti materiali di questo tipo. Speriamo un giorno di creare sostanze chimiche tradizionali partendo da gas invece che da zuccheri o sostanze fossili». Il processo di trasformazione della CO2 catturata avviene grazie a dei batteri che “mangiano” monossido di carbonio, idrogeno e anidride carbonica e li convertono in etanolo. Questi batteri vivono in bioreattori che rendono solubili in acqua gas come il monossido di carbonio. Intanto si può produrre etanolo a basse emissioni che può essere usato nei carburanti per i jet, un passo importante verso la riduzione delle emissioni di CO2 nell’aviazione.

Emanuele Bompan, giornalista ambientale e geografo. Si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, innovazione, energia, mobilità sostenibile, green-economy, politica americana. È direttore della rivista Renewable Matter; collabora con testate come La Stampa, BioEcoGeo, Sole24Ore, Equilibri. Autore di numerosi libri, ha un dottorato in geografia e collabora con ministeri, fondazioni e think-tank. Offre consulenza a start-up green e incubatori specializzati in clean-tech. Ha vinto per quattro volte l'European Journalism Center IDR Grant, una volta la Middlebury Environmental Journalism Fellowship ed è stato nominato Giornalista per la Terra 2015. Ha svolto reportage in 75 paesi, sia come giornalista che come analista.​​