L’alluvione si previene in città

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L’alluvione si previene in città

Troppa o troppo poca. L'emergenza climatica sta trasformando l'acqua da preziosa risorsa in un disastro ambientale. La risposta è rinaturalizzare le aree urbane, rendendole permeabili alla pioggia. Cosa fa il movimento Slow Water e come funzionano le sponge city.

Lo vediamo in questi giorni in Emilia-Romagna, ma l’avevamo già visto tante altre volte, da Ischia a Senigallia, dalla Sicilia alla Liguria: dal 2010 al 2022 sono state registrate in Italia 510 alluvioni con gravi danni a persone e infrastrutture, in base al rapporto annuale dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente. Oltre il 90 per cento dei Comuni italiani sono a rischio, secondo l’Ispra, con circa 12mila chilometri di corsi d’acqua “tombati”, cioè fiumi, torrenti e rivi cementificati e spesso trasformati, nel corso dei decenni, in fiumi sotterranei sopra i quali sono state compiute opere di urbanizzazione. Milioni di persone vivono e lavorano sopra queste “bombe a orologeria”, dove l’emergenza climatica potrebbe causare disastri sempre più gravi.

A livello globale, le alluvioni sono diventate particolarmente gravi perché la superficie permeabile sigillata dalle città è raddoppiata dal 1992 ad oggi. I ricercatori della Johns Hopkins University hanno calcolato con uno studio in che misura la cementificazione incrementa le alluvioni: per ogni aumento dell’1% nella sigillatura dei terreni permeabili con strade o parcheggi, il dilavamento ingrossa del 3,3% i corsi d’acqua circostanti. Tra gli esperti di clima e i leader del mondo delle costruzioni c’è un crescente consenso: le città non possono più permettersi di essere in guerra con la natura.

La risposta è “rinaturalizzare” le aree urbane, rendendole permeabili alla pioggia, come sta facendo in Cina il movimento conosciuto sotto il nome di “Slow Water”, che apre nelle città degli spazi permeabili in cui l’acqua possa rallentare la sua corsa ed essere assorbita dal terreno, trasformandole in una “sponge city”, una città-spugna. Il sistema funziona al meglio quando queste aree sono collegate tra loro, in modo che l’acqua possa viaggiare approssimativamente lungo il suo percorso originale. Le città possono riconvertire le vecchie aree industriali lungo i fiumi in parchi e tagliare la pavimentazione per far posto a canali di scolo fiancheggiati da stagni di infiltrazione e piante che amano l’acqua. Laddove lo spazio umano non è negoziabile, i progettisti a volte utilizzano surrogati, come pavimentazioni permeabili e tetti verdi in grado di assorbire l’acqua.

«Con l’aumento degli eventi meteorologici estremi a cui andiamo incontro, dobbiamo emanciparci dalla dipendenza dal cemento, a favore di soluzioni basate sulla natura», fa notare Will Cavendish, esperto di trasformazione delle città in Arup. E aggiunge: «Una combinazione fra tecniche naturali e tecnologie digitali che partono dall’analisi dei dati sta emergendo come l’approccio più efficace». In un recente rapporto elaborato con il World Economic Forum, Arup ha dimostrato che le soluzioni basate sulla natura sono in media del 50% più convenienti rispetto alle alternative puramente artificiali e forniscono il 28% di benefici in più, sia diretti che ambientali. Qui alcuni esempi.

Dalla Cina l’esempio delle sponge city

Il termine “sponge city” è stato coniato da Kongjian Yu – paesaggista, professore all’università di Pechino, fondatore dello studio Turenscape – per descrivere le città che lavorano con la natura per assorbire l’acqua piovana, invece di usare il cemento per incanalarla. Si tratta di piantare alberi laddove possibile, togliere l’asfalto dai cortili a favore di erba e piante, coprire i tetti di vegetazione, ripristinare le aree naturali di esondazione dei corsi d’acqua e in generale rallentare in tutti i modi lo scorrere dell’acqua piovana, in modo da ridurne la potenza devastatrice. Le infrastrutture naturali non solo sono estremamente efficaci nella gestione delle acque alluvionali, ma apportano anche vantaggi molto più ampi rispetto alle tradizionali infrastrutture grigie, contribuendo a promuovere la biodiversità, a ridurre le isole di calore, a tagliare i consumi di energia e le emissioni urbane di CO2.

La Cina è un esempio classico di questa evoluzione: negli ultimi 40 anni le città cinesi hanno triplicato la loro estensione, per ospitare dal 20% della popolazione nel 1980 al 64% nel 2020, cementificando pianure alluvionali e terreni agricoli, abbattendo foreste e canalizzando fiumi, lasciando l’acqua piovana, che una volta filtrava nel terreno, senza nessun posto dove andare se non oltre gli argini. Poi, un’alluvione devastante ha colpito il governo cinese proprio nella sua sede principale. Il 21 luglio 2012 Pechino fu colpita dalla più grande tempesta dell’ultimo secolo. In poche ore 46 centimetri di pioggia caddero sulla città, riempiendo sottopassi e allagando strade con un metro d’acqua. Morirono 79 persone, molte delle quali intrappolate nella propria auto mentre tentavano di fuggire, fulminate o schiacciate da edifici crollati. Ci furono danni per quasi 2 miliardi di dollari, estesi su una superficie di 14.000 chilometri quadri.

Il disastro di Pechino fu il momento di svolta. Un mese dopo, un progetto di Turenscape a Harbin, una città a Nord-Est di Pechino trasformata in “sponge city”, vinse il più importante premio di architettura del paesaggio negli Stati Uniti, l’Asla Professional Award. Il presidente Xi Jinping rimase colpito dal progetto e qualche mese dopo annunciò alla conferenza nazionale cinese sull’urbanizzazione un’iniziativa del governo per trasformare le principali città in “sponge cities”, elevandola al rango di missione nazionale. Da allora è stata avviata la riconversione di 30 città cinesi, demolendo le infrastrutture progettate per imbrigliare le acque e cercando invece di lavorare in sintonia con la natura. L’obiettivo è di conservare in loco il 70% della piovosità media annua, sia per prevenire le alluvioni che per immagazzinare l’acqua nel sottosuolo per i periodi di siccità. I metodi sviluppati fin dagli anni Novanta da Kongjian Yu hanno fatto il giro del mondo e sono stati applicati da molti architetti del paesaggio: si pensi al lavoro di Sameep Padora in India, di Andreas Kipar, Bas Smets e Michel Desvigne in Europa.

L’AI al servizio della sicurezza

Nel tempo questi metodi si sono affinati, aggiungendo uno strato di digitalizzazione e intelligenza artificiale, in modo da identificare i percorsi giusti per rallentare la corsa dell’acqua e farla scorrere attraverso interi bacini idrografici, che spesso si estendono oltre i confini amministrativi delle città. Risolvere i problemi di una città richiede il coordinamento con le comunità e i proprietari terrieri a monte. Idealmente i progettisti urbani dovrebbero puntare a ad assorbire l’acqua dove cade, riducendo il più possibile il dilavamento della pioggia. Yu sogna di ampliare le “sponge cities” fino a trasformarle in “sponge land”. Si tratta di «una filosofia per prendersi cura di tutto il territorio», sostiene. «È ora di espandere la scala».

Durante la pianificazione della “sponge city”, i progettisti cercano di capire dove scorreva l’acqua prima che nascesse la città e dove scorre ora, all’interno dei suoi confini attuali. Lo staff di Turenscape utilizza il software di mappatura spaziale dell’Environmental Systems Research Institute che può mappare i bacini idrografici dalle montagne all’oceano, modellare le inondazioni, la distribuzione delle piante, le infrastrutture e altro ancora. Lo strumento consente ai progettisti di comprendere sistemi complessi e le sfide correlate, ad esempio come ridurre le alluvioni preservando le specie, costruendo città più intelligenti e riducendo lo spreco di risorse.

La prima cosa che i progettisti devono tracciare è la topografia, con i dislivelli nel paesaggio, un fattore primario nel modo in cui scorre l’acqua. I modelli includono anche il tipo di suolo, che può influenzare notevolmente il drenaggio dell’acqua, e la vegetazione, che influisce sulla quantità di acqua che penetra nel terreno, scorre via o evapora dalle piante nell’aria. Inoltre, l’acidità del suolo può influenzare quali piante prospereranno e quali no, in un’area ripristinata. Nei modelli si inseriscono anche dati storici ed ecologici, informazioni sulla popolazione locale, sull’economia e sui trasporti.

I dati provengono da varie fonti. I registri idrologici possono aiutare a prevedere le precipitazioni e le inondazioni in modo più accurato. I dati topografici possono essere raccolti da aeroplani con sensori lidar, che utilizzano i laser per rilevare l’andamento del terreno sotto gli edifici. Le mappe della città includono i corridoi dei trasporti, i parchi, i cortili, le coperture e gli edifici industriali con i loro grandi tetti. Ottenere dati certi sulla composizione del terreno nelle aree urbane può essere complicato, perché i costruttori spesso spostano la terra da un luogo all’altro. Per sapere con certezza cosa c’è sotto, si praticano dei carotaggi e si prelevano dei campioni. Con queste informazioni, i progettisti possono capire meglio come un particolare terreno influenzerà il modo in cui l’acqua si comporta. Quando le loro mappe del paesaggio sono complete, simulano un’alluvione nel modello digitale che hanno creato. Questi esperimenti consentono loro di identificare i punti in cui l’acqua è vincolata, che si allagheranno per primi. Quindi sperimentano sui modelli digitali delle modifiche della topografia o l’aggiunta di una zona umida o di uno stagno per vedere come influiscono sul comportamento delle acque piovane.

In Cina, il problema non è ancora risolto. Durante le forti piogge del luglio 2021, una delle città pilota, Zhengzhou, nello Henan, ha subito un’alluvione che ha fatto quasi 400 morti e causato l’evacuazione di oltre 800mila persone. Assorbire la pioggia su 13 km quadrati in una metropoli di 12 milioni di persone non è stato sufficiente per evitare il disastro. Ma la rinaturalizzazione delle città continua, dall’Asia all’Europa, da Rotterdam a Berlino, per non farci trovare impreparati davanti all’emergenza climatica e alla mercè dei prossimi uragani.

​Giornalista, scrive di temi economici, d'innovazione tecnologica, energia e ambiente per diverse testate, fra cui il Corriere della Sera, il Sole 24 Ore e il Quotidiano Nazionale. Invidia i colleghi che riescono a star dietro a Twitter.