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Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
Si passa dalla CSR alla CPR. Le organizzazioni non sono accettate più come politicamente neutrali, la partita si gioca su coerenza e leadership. Changes ne ha parlato con Johannes Bohnen.
Nel tempo fragile della pandemia – con i sistemi sanitari e sociali sconquassati da un virus invisibile ma dall’impatto esponenziale anche sulla vita relazionale delle comunità – è fondamentale partecipare. Una riflessione che vale oggi anche per le organizzazioni, costrette (spesso loro malgrado) a scendere dalla torre d’avorio dei loro headquarter per confrontarsi per davvero su ciò che succede nel mondo.
Così mentre in passato la neutralità della marca rispetto all’agone politico era ritenuta un valore fondante, quasi edificante, oggi questo costrutto è fortemente messo in discussione. «Le aziende sono sempre meno accettate come politicamente neutrali e la Corporate Political Responsibility (CPR) è una risposta alla crisi della democrazia, messa sotto pressione da populismo, fallimento dell’élite, nazionalismo, ma anche da minacce alla sicurezza esterna. Mentre gli Stati rimangono gli attori politici decisivi nella politica internazionale, la globalizzazione e la digitalizzazione stanno generando una perdita di controllo». Così mi ha detto Johannes Bohnen, autore di Corporate Political Responsibility, edito da Springer. Bohnen è cittadino del mondo: ha ricoperto incarichi presso il Bundestag tedesco, il CSIS a Washington, l’Istituto WEU a Parigi e la Fondazione Bertelsmann. Ed è uno studioso del concetto di responsabilità politica dell’impresa. «Oggi le aziende possono sviluppare una posizione politica nella sfera pubblica con approcci concreti all’azione. Quando sviluppano il loro posizionamento in fondo rafforzano la politica, soddisfano le aspettative della società e quindi investono nelle basi della loro attività. Così le organizzazioni non sono più attori economici, bensì protagonisti sociopolitici», precisa Bohnen.
La CSR è sempre più insufficiente: è diventata un punto di riferimento per un coinvolgimento su larga scala non necessariamente associato al business. Se le aziende vogliono davvero aiutare la comunità devono dare un contributo fattivo. L’impegno sociale non basta, invece quello politico va oltre le condizioni di un’attività meramente economica.
È una sintesi di lobbying, CSR e servizio pubblico con l’obiettivo di perseguire una sinergia tra valore aggiunto socio-politico e imprenditoriale. Offre un approccio strategico e globale alle aziende per posizionarsi nella sfera pubblica e rafforzare lo stato democratico con reciproco vantaggio. La dimensione politica del marchio di un’azienda sta diventando sempre più importante: questa è una tesi centrale. Questi attori sono percepiti credibili, creativi e potenti e possono dare contributi politici sostenibili.
Sono coloro che si differenzieranno dal mercato e otterranno un vantaggio comparativo prima di altri. Dal punto di vista della gestione del marchio, misure mirate di CPR possono essere utili anche a breve termine, ma l’attenzione si concentra soprattutto nel lungo termine.
È più facile per le aziende che praticano la CPR creare fiducia: la marca può realizzare appieno il suo potenziale di identificazione. Le aziende che hanno costruito un’eccellente reputazione del marchio attraverso un’emancipazione pubblica coerente accumulano capitali in grado di mitigare anche un calo delle azioni.
Il taglio politico offre alle aziende nuove opportunità per coltivare una proposta unica e migliorare la propria visibilità e reputazione. La posizione politica funge da veicolo per la fidelizzazione dei clienti. Se un’azienda riesce ad ancorarsi come identità politica nella percezione pubblica attraverso la CPR, i suoi investimenti sociopolitici ripagano anche l’azienda in termini concreti. Ma diciamo subito e senza ambiguità che molti leader aziendali non ne sono sufficientemente consapevoli. Per fare tutto ciò occorre una leadership centrale.
Alcune aziende considerano la politica come una palude, una rete di interessi difficile da capire e nella quale i calcoli del potere tattico rendono estremamente difficile svolgere compiti in modo efficiente. In questo senso le aziende preferiscono mantenere le distanze. In realtà dovrebbero essere imparziali su questioni specifiche, ma schierarsi se è in gioco il nostro stile di vita liberale. Ciò può includere anche questioni di geopolitica e commercio. La responsabilità politica d’impresa non richiede alle aziende di esprimersi in termini partitici, quello non è il loro lavoro. La posta in gioco qui è un’idea molto più ampia legata al concetto politico.
La CPR deve essere ancorata all’azienda e coinvolgere i dipendenti il prima possibile, incoraggiandoli ad agire in modo responsabile. Se la convinzione non cresce dall’interno, la credibilità ne risente all’esterno. Il primo passo per le aziende è quindi sviluppare una consapevolezza politica. E guardare con interesse su ciò che accade fuori dai propri perimetri aziendali.