Il futuro della finanza è la rigenerazione

Environment


Il futuro della finanza è la rigenerazione

Solo chi vuol tenere gli occhi ben chiusi non vede che il business as usual, il modello economico dominante, non è più un'opzione. E il mondo va inevitabilmente in un'altra direzione.

Cambiare prospettiva e andare su una strada sensibilmente distante, se non proprio opposta, alla traiettoria del business as usual, se un futuro vogliamo averlo. Vale in tutti i campi e quindi anche per la finanza. Dove stanno prendendo forma e sostanza approcci che cercano di andare oltre la finanza che strizza l’occhio al green, oltre la semplice integrazione dei fattori Esg (ambientali, sociali e di governance) nei processi d’investimento, oltre la finanza sostenibile e a impatto. Uno di questi è quello della cosiddetta finanza rigenerativa.

Per capire di cosa si tratta occorre fare un passo indietro e partire dall’economia rigenerativa. Per una sua definizione si possono prendere a riferimento i principi declinati nel libro Regenerative capitalism: How Universal Principles And Patterns Will Shape Our New Economy  dall’economista “non-convenzionale” John Fullerton, membro dell’autorevolissimo Club di Roma (quello del celebre rapporto “The Limits to Growth” del 1972 da cui in sostanza partì a livello mondiale la critica al sistema economico dominante e alle sue gravi disfunzioni). I principi sono otto, Fullerton li presenta anche in questo video, e recitano quanto segue:

  • giusta relazione (con le altre forme di vita e in generale l’ecosistema)
  • considerazione della ricchezza in senso olistico (non solo monetario, cioè includendo ad esempio anche i capitali relazionali, sociali, culturali)
  • innovatività, adattabilità, reattività come fattori essenziali (ispirandosi al concetto darwiniano secondo cui a sopravvivere non sono le specie più forti ma quelle più capaci di adattarsi al cambiamento)
  • partecipazione potenziata (che va oltre l’inclusione)
  • onorare comunità e luoghi, rispettando e valorizzando la loro unicità
  • far leva sull’effetto “edge”, cioè sfruttare la creatività e le opportunità di innovare che esistono di solito con più abbondanza ai “bordi” dei sistemi (andando quindi oltre la cultura dei silos in cui si cristallizzano conoscenze iper-specialistiche)
  • promuovere la circolarità dei flussi, ad esempio di informazioni e di risorse, come fanno gli organismi viventi che basano la loro salute proprio sui flussi che garantiscono ad esempio la messa in circolo di sostanze nutritive
  • la ricerca dinamica dell’equilibrio (ad esempio tra qualità femminili e maschili, tra efficienza e resilienza, tra pensiero analitico e intuizione).

Il modello è la natura

L’economia rigenerativa prova, dunque, in sostanza a ricalcare le dinamiche dei sistemi viventi, della natura, le leggi e gli schemi secondo cui gli ecosistemi si auto-organizzano e funzionano per essere resilienti, mantenersi in equilibrio dinamico e continuamente rinnovarsi, o meglio rigenerarsi. Un’economia, insomma, che sappia riconnettere le vicende umane con le vicende della natura in cui l’uomo è immerso e che, anche se a volte ce lo scordiamo, rende possibile la sua sopravvivenza. Abbandonando, anzi, invertendo quel viaggio di progressiva e sempre più drastica separazione tra uomo e natura, tratto caratteristico del sistema economico dominante, di cui parlano Giles Hutchins e Laura Storm, autori di Regenerative leadership, acclamato testo di riferimento per le organizzazioni, le imprese, che intendono porsi come leader dell’economia rigenerativa.

La finanza rigenerativa è dunque una finanza che sostiene lo sviluppo di un’economia che prova a muoversi su questo sentiero. Questa almeno è la prospettiva offerta dallo stesso Fullerton (che col suo Capital Institute organizza anche corsi sulla finanza rigenerativa) nel paper “Finance for a regenerative world”, liberamente accessibile online. Dove tanto per cominciare bolla come degenerativo l’attuale sistema finanziario, di cui ha avuto esperienza diretta come investitore a Wall Street: un sistema chiaramente in conflitto con i principi con cui funzionano i sistemi che nel mondo reale riescono ad auto-sostenersi. Nel paper, Fullerton richiama le teorie della doughnut economics (l’economia della ciambella) dell’economista Kate Raworth, tocca gli SDGs (gli Obiettivi di Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite), le B Corp e i principi della Global Alliance for Banking on Values, passa in rassegna le manifestazioni più tradizionali di finanza sostenibile suddividendole fra più e meno rigenerative. La tesi di fondo è che occorre abbandonare un approccio riduzionista e adottare invece, anche attraverso una nuova narrativa, un approccio olistico e trasformativo. La finanza è cioè rigenerativa quando è in linea con i modelli di funzionamento dei sistemi viventi.

Molteplicità di approcci

La sfida è evidentemente ciclopica, soprattutto ad altissimo tasso di complessità. Può quindi venire interpretata e concretizzarsi in una molteplicità di approcci possibili, che possono per giunta utilizzare diverse tipologie di capitali, dagli investimenti al crowdfunding, dai prestiti alla filantropia.

C’è ad esempio chi parla di finanza rigenerativa quando l’obiettivo è il sostegno all’agricoltura rigenerativa (ci sono anche canali Youtube dedicati), un tema affrontato di recente anche da una grande iniziativa internazionale a favore della finanza green, e in particolare dei green e climate bonds, come la Climate Bonds Initiative. Altri invece mettono al centro la giustizia razziale, con riferimento al finanziamento di imprese sociali di comunità BIPOC (Black, Indigenous and People Of Color). C’è poi chi parla apertamente di finanza a supporto di iniziative che migliorano il “buen vivir“, il benessere delle comunità (viene in mente il buen vivir inserito come principio normativo nelle Costituzioni di Ecuador e Bolivia), e chi si spinge ad affermare che nell’intero settore del banking & finance il successo nel futuro sarà definito proprio dalla capacità di integrare in profondità nel business le istanze rigenerative. Per restare nel mondo bancario, First Green Bank, in Florida, è considerata un esempio di regenerative banking. C’è anche un filone di finanza rigenerativa, spesso indicata in questo caso con l’acronimo Re.Fi., che combina l’evoluzione di internet (il Web3, che non è il web 3.0), le tecnologie blockchain, la finanza decentralizzata, mettendo il tutto al servizio dei principi dell’economia rigenerativa, in particolare per quanto riguarda gli obiettivi di neutralità climatica.

In Italia una proposta che si è richiamata alla finanza rigenerativa è quella lanciata lo scorso anno da Natura Sì, Slow Food e Banca Etica nell’ambito di Terra Madre Salone del Gusto: un prestito obbligazionario, di 10 milioni di euro, che prevedeva la remunerazione in buoni spesa e la destinazione delle somme raccolte al sostegno di aziende agricole, alla ricerca, alla formazione di giovani agricoltori. Con l’obiettivo di stimolare i risparmiatori a riflettere sul grande potere generativo, di cui spesso sono inconsapevoli, delle proprie scelte d’investimento.

Pur nella loro molteplicità, l’utilizzo del denaro come strumento per risolvere problemi sistemici attraverso iniziative e progetti finalizzati a rigenerare comunità e ambienti naturali si può comunque considerare come il tratto unificante dei vari approcci alla finanza rigenerativa. In comune, inoltre, c’è la critica spesso radicale che essi muovono al modus operandi del sistema finanziario attuale. Che evidentemente ha anch’esso un grande, urgente, improcrastinabile bisogno di avviare un processo di autentica rigenerazione.

Giornalista, blogger, storytweeter. Laurea alla Bocconi. Da metà anni ’90 segue il dibattito sui temi di finanza sostenibile, csr, economia sociale. Blogga su mondosri.info. Homo twittante.​​​​