Adattarsi al clima: le città cambiano colore
Le aree urbane risentono più delle aree rurali del surriscaldamento globale. Il cosiddetto “effetto isola di calore” può aumentare le temperature di 4-5 gradi centigr
Peoples Climate Vote, il più grande sondaggio mai condotto riguardo l’opinione pubblica e il cambiamento climatico evidenzia come Millennials e Gen Z siano i più sensibili alla crisi climatica.
Le generazioni più giovani sono anche le più sensibili al tema del cambiamento del clima. Magari perché saranno quelle più colpite dalle sue conseguenze? O forse perché sono cresciute in un ambiente caratterizzato da alluvioni, incendi e disastri naturali sempre più ricorrenti? Questa tesi è stata dimostrata dall’ultimo – nonché il più grande – studio condotto sul cambiamento climatico e presentato dal programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNEP) in collaborazione con l’Università di Oxford.
Per arrivare ad avere dei risultati che potessero essere rappresentativi della popolazione mondiale, sono stati incluse alcune domande circa l’argomento dentro 17 delle più grandi piattaforme di gioco scaricabili su cellulare. Questi sondaggi, tradotti in più di 15 lingue, hanno visto la partecipazione di 1.220.000 persone, di cui mezzo milione tra i 14 e i 18 anni. L’analisi ha condotto a risultati sorprendenti, individuando la generazione millennial (1981-1996) e la generazione Z (1997-2010) come le più sensibili e interessate al tema della crisi climatica. In generale i dati raccolti sono stati molto positivi, poiché il 64% delle persone intervistate ha riconosciuto che il cambiamento climatico sia un’emergenza e il 59% ha affermato che i governi mondiali dovrebbero fare urgentemente tutto il necessario per fare fronte alla situazione. Ciò mostra come si stia raggiungendo un livello di sensibilità che interessa trasversalmente più fasce della popolazione, con particolare riferimento al fatto che le generazioni più giovani siano anche quelle più informate sull’argomento e disposte a fare di tutto per apportare un cambiamento sistemico che abbia un impatto nella lotta ai cambiamenti climatici.
Alle persone intervistate è stato chiesto se supportassero alcune delle diciotto politiche climatiche chiave proposte e categorizzate in sei ambiti: economia, energia, trasporto, alimentazione e agricoltura, natura e tutela della popolazione. I risultati hanno mostrato che le politiche maggiormente sostenute sono state la conservazione di foreste e terreni (54% delle preferenze), l’implementazione di energie rinnovabili (53%) e a seguire l’adozione di tecniche agricole sostenibili (52%) e il maggiore investimento nel mercato economico e del lavoro sostenibile (50%).
Dunque, se consideriamo il campione intervistato come effettivamente rappresentativo della popolazione mondiale, sorge in noi la speranza che la futura classe politica e dirigente sia quella che riuscirà a trovare un equilibrio fra benessere economico e implementazione delle politiche di mitigazione e adattamento. Tuttavia, questa visione fiduciosa del futuro viene smorzata dalla comprensione del futuro stesso. Mi spiego meglio: il futuro di domani non è il futuro che sarà nelle mani delle generazioni che nel sondaggio si sono dimostrate più attive e reattive all’emergenza climatica. Lo sarà forse tra 10 anni, ma nel frattempo le scelte politiche e amministrative ricadranno su una certa categoria che porta avanti le stesse istanze da ormai lungo tempo; istanze che nella maggior parte dei casi sono incentrate principalmente sul benessere economico nel breve termine, e a volte a beneficio solo di un ristretto gruppo di persone. Non entro nel merito delle varie politiche implementate ad esempio dagli anni ’90 ad oggi, ma nessuna di esse ha apportato un cambiamento radicale al sistema per far fronte ai cambiamenti climatici – che, vorrei ricordare, avvengono da sempre ma che hanno subito un’accelerazione dall’età industriale.
Se quindi è molto difficile che i giovani abbiano la possibilità di entrare in politica “da domani” e cambiare lo status quo infavore di una particolare sensibilità al tema della crisi climatica, è anche vero che non tutto è perduto. Il sondaggio dell’UNEP Peoples’ Climate Vote, ha infatti indicato che il 66% delle persone intervistate tra i 36 e 59 anni riconosce la situazione di emergenza: non cadiamo dunque nell’errore di non dare fiducia a un’intera fascia di popolazione poiché non ha agito laddove avrebbe potuto. Vi sono infatti alcuni individui ad essa appartenenti che possono portare avanti le rivendicazioni dei movimenti ambientalisti: la questione climatica non è una lotta elitaria né settoriale. In un mondo costantemente interconnesso contrastare la crisi climatica influisce sulla vita di ognuno di noi, e per farlo è necessario agire insieme su tutti i livelli possibili.