I quattro lati della sostenibilità

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I quattro lati della sostenibilità

Auto, casa, cibo e moda: per un consumatore medio è impossibile affrontarli tutti insieme. Il percorso verso un mondo più sostenibile si scontra con i lati di un quadrato che ne segnano i limiti.

Quale forma può prendere la sostenibilità negli occhi del consumatore? Immaginiamola come un quadrato i cui lati sono tutti ugualmente importanti: in uno c’è l’automobile, nell’altro la casa e negli altri due il cibo e l’abbigliamento. Ma con fisiologici limiti di risorse, è possibile affrontarne solo uno per volta o al limite due. Da questa metafora geometrica si può intuire che il percorso verso una completa trasformazione sostenibile non può essere un balzo in avanti, ma solo una strada a tappe. 

Quanti sono i punti di vista

Per capire come sarà il percorso della sostenibilità verso cui tutto il pianeta si sta dirigendo possiamo prima guardarlo con gli occhi dei tre più importanti soggetti che ne determineranno le sorti. E comprendere quanto ne saranno influenzati.

Sono i produttori, i consumatori e anche il pianeta. E in quali punti ne sono e saranno sempre più coinvolti?

L’auto:

  • i combustibili (fossili, elettrici, alternativi);
  • i materiali per la costruzione e tecnologie per il controllo e lo smaltimento;
  • le batterie e le infrastrutture per la ricarica e per lo spostamento.

La casa:

  • il riscaldamento e il raffreddamento;
  • i materiali per la costruzione e le tecnologie per la gestione e il controllo dei consumi;
  • il verde e la logistica (collocazione e connessione).

La moda:

  • i materiali per la fabbricazione;
  • il lavoro e la manodopera;
  • la localizzazione e la distribuzione, la riduzione di acquisto, il riutilizzo e il riciclo.

Il cibo:

  • il lavoro e la manodopera;
  • il controllo dei fornitori, la riduzione di consumo e dello scarto;
  • la limitazione di prodotti inquinanti, le scelte per la salute, il passaggio ai vegetali.

Com’è dunque possibile attivare e sostenere una trasformazione che coinvolga così tanti elementi e settori? Dovrebbe avere come minimo il sostegno di tutti i soggetti implicati. Anche e soprattutto in una forma economica.

Una questione di costi

Al netto degli elementi che riguardano la logistica (lo spostamento di materiali, prodotti e persone) e la localizzazione (dove collocare tutti i fattori coinvolti) è una transizione che comporta sicuramente costi enormi e mai visti nella storia dell’uomo così, tutti insieme.
Certo, si può ed è giusto considerare anche e soprattutto i costi del non affrontare la transizione ecologica e sostenibile, per fare una contro valutazione e scegliere quali delle due enormi masse di spesa preferire:

  • il costo complessivo della transizione;
  • il costo della non-transizione.

Ma al momento possiamo pesare i costi della transizione in 4 modi:

  • la Banca Mondiale li stima in 93 trilioni di dollari da qui al 2050;
  • l’International Renewable Energy Agency 100 trilioni di dollari (5 all’anno) al 2050;
  • l’Unione Europea 350 miliardi di euro fino al 2050;
  • le Nazioni Unite di almeno 2,4 trilioni di dollari l’anno.

Per sostenere questa mole inimmaginabile di costi sarà decisivo il modo in cui saranno raccolte e dispiegate le risorse economiche, quelle materiali e quelle intangibili, come la comunicazione e la narrazione degli obiettivi e degli sforzi per raggiungerli.

Come si comportano le imprese

Benché il progetto di transizione debba quindi spostare quantità di risorse economiche enormi, le industrie dei settori coinvolti hanno dimostrato di accettarne la scommessa e dispiegare le proprie forze.
Sono state destinate grandi risorse economiche, avviati percorsi di innovazione tecnica e tecnologica, ricercate le materie prime necessarie, ed iniziati piani di formazione per trasformare le competenze della forza lavoro e renderla adeguata al percorso da fare.
Per esempio, la produzione di auto elettriche o l’adozione di tecnologie di costruzione ecocompatibili richiedono enormi investimenti, che non sempre sono facilmente ammortizzabili a breve termine. Eppure, la via è stata presa. Dunque, cosa manca per proseguirla con la giusta regolarità?

Il consenso del consumatore

Abbiamo visto che investire denaro, progettare innovazioni, predisporre normative adeguate, convertire i modelli di business e ricercare materie prime ed energie necessarie è possibile. Ma è possibile farlo senza il ruolo del consumatore? Benché non sia sempre considerato quando si parla di scelte pubbliche, il suo contribuito è infatti decisivo e si esprime almeno in tre modi:

con la sua disponibilità economica;

  • la sua fiducia;
  • il suo tempo.

Soldi, decisioni e tempi sono infatti contributi molto difficili da stimolare e orientare se non sono indagati e considerati attraverso ipotesi ed analisi preventive. Soprattutto perché sono tipicamente elementi incontrollabili ed imprevedibili.


Orientare i comportamenti delle persone che guidano le imprese è difficile, così come quelli degli investitori. Ma farlo con quelli dei consumatori è pressoché impossibile. Anche se per un progetto che potrebbe durare 100 anni il consenso andrà sicuramente costruito.
La strada è solo incominciata. E superare la prova del mercato è la vera sfida.

​Antonio Belloni è nato nel 1979. È Coordinatore del Centro Studi Imprese Territorio, consulente senior di direzione per Confartigianato Artser, e collabora con la casa editrice di saggistica Ayros. Scrive d'impresa e management su testate online e cartacee, ed ha pubblicato Esportare l'Italia. Virtù o necessità? (2012, Guerini Editori), Food Economy, l'Italia e le strade infinite del cibo tra società e consumi (2014, Marsilio) e Uberization, il potere globale della disintermediazione (2017, Egea).