I glitter sono un problema?

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I glitter sono un problema?

Piacciono, si vendono tantissimo e nel mondo del makeup sono sempre più comuni. Ma per quanto minuscoli sono una minaccia seria, soprattutto per gli oceani.

Una festa in casa, una grande sfilata in città per il pride, oppure un capodanno in piazza con annesso concerto: in tutte queste occasioni, e in moltissime altre, da un po’ di anni vediamo i glitter. Milioni, miliardi di glitter. Si abbinano bene al trucco, ma anche ai vestiti di stili diversi; e si abbinano anche ai costumi da bagno o a quelli di carnevale. In sé, i glitter non sembrano pericolosi: di logica non potrebbero esserlo visto che li si vede persino sui biglietti d’auguri, nei cosmetici e nei giochini che si trovano dentro i barattoli delle scuole materne. E invece.
Dei glitter si potrebbe scrivere un trattato antropologico: somigliano ai coriandoli, ma personalizzati e a differenza dei normali coriandoli di carta brillano. Danno un immediato senso di festa che fa venir voglia di paragonarli ai fuochi d’artificio, o all’aspetto plastico e perfetto di certi personaggi degli anime in TV. Fatto sta che dietro tutta quella brillantezza si nasconde qualcosa di molto meno decorativo. E di decisamente più pericoloso.
I glitter sono, in moltissimi casi, un tipo di microplastica. In particolare spesso sono fatti di un polimero plastico piuttosto comune: il polietilene tereftalato (noto con l’abbreviazione PET). Lo stesso materiale usato per produrre bottiglie d’acqua, contenitori per alimenti e molti tessuti sintetici. Il PET è leggero, durevole, soprattutto è economico. E, come quasi tutte le plastiche, praticamente indistruttibile in natura. I glitter però sono più pericolosi delle bottigliette d’acqua o dei tessuti sintetici, perché tessuti e bottiglie vengono smaltiti con processi sempre più accurati e tracciabili, i glitter no. Non foss’altro che per le loro dimensioni.

Riciclare i glitter è impossibile

I glitter, prima o poi, finiscono nell’ambiente. Raccoglierli uno a uno è impensabile, e com’è ovvio che sia non ci si prova nemmeno. Li si tratta come un trucco, o come la lacca per capelli: una doccia, e sono spariti. Solo che una volta nelle fogne i glitter spariti non lo sono per niente, sono semmai entrati in un percorso che li vedrà depositati in fondali, fiumi, spiagge e terreni. Negli impianti di trattamento delle acque infatti i glitter sfuggono, sono decisamente troppo piccoli per essere intercettati. E quindi vanno lì, in mari e oceani. Dove iniziano a frammentarsi rimpicciolendosi ulteriormente.
I glitter sono quindi plastica, ma plastica prodotta e messa in commercio con l’aggravante di essere praticamente impossibile da riciclare o trattenere. Plastica che si sminuzzerà col sole, col sale marino e coi moti ondosi. Purtroppo plastica che rischierà di entrare nella catena alimentare di pesci, molluschi e crostacei. E quindi plastica che rischiamo di ritrovarci nel piatto.

I danni all’equilibri dell’ecosistema

Uno studio pubblicato rivista Environmental Science Europe ha aggiunto un tassello a questo problema: i glitter non si limiterebbero a rimanere inerti nell’acqua: potrebbero alterare la chimica marina. I ricercatori dell’Università di Dublino hanno osservato che i frammenti di glitter, una volta immersi in acqua marina, fungono da punto di innesco per la cristallizzazione del carbonato di calcio, una sostanza che molti organismi marini – come molluschi, coralli e alcune alghe – utilizzano per costruire scheletri e conchiglie.
Studiando i glitter in laboratorio i ricercatori hanno notato una cosa bizzarra: che i glitter possono accelerare e indirizzare la formazione di cristalli di calcite, aragonite e altri polimorfi del carbonato di calcio. Fin qui potrebbe sembrare un fenomeno neutro o persino utile, ma in realtà rischia di interferire con i normali processi biologici. In parole semplici: l’accumulo anomalo di cristalli sulla superficie dei glitter può alterare il modo in cui gli organismi marini producono le loro strutture protettive. In alcuni casi parliamo di gusci con forme insolite o imperfette, che rendono gli animali più vulnerabili o meno adatti all’ambiente.

Perché hanno un ruolo attivo sull’ambiente marino

Questo studio è importante e ci dà un’informazione nuova. Che i glitter fossero plastica difficilmente gestibile nel cicli dei rifiuti si sapeva. Ma non sapevamo che i glitter potrebbero avere un ruolo attivo – e non solo passivo – nell’ambiente marino. Lo ha spiegato bene anche un articolo uscito su The Conversation, secondo cui l’uso diffuso di glitter rischia di avere conseguenze sulla biogeochimica degli oceani, e non solo sugli animali che ingeriscono questi materiali per errore. Gli effetti potrebbero estendersi anche ai cicli del carbonio, con ricadute più ampie sugli equilibri dell’oceano e, in prospettiva, sul clima.
Che i glitter siano una fonte di microplastiche, insomma, lo sapevamo. E per questo una volta che la notizia di questo pericolo si è diffusa il legislatore è intervenuto. Almeno qui in Europa le norme si sono fatte stringenti: dal 2023 i glitter di plastica sono stati messi al bando; le nuove leggi prevedono che le microplastiche aggiunte intenzionalmente in molti prodotti cosmetici e decorativi siano proibite. Nel frattempo, quindi, alcuni marchi hanno iniziato a proporre alternative cosiddette “biodegradabili”, spesso realizzate con cellulosa o altre sostanze. Ma – detto che ovviamente un miglioramento rispetto ai PET c’è – la reale biodegradabilità di questi nuovi glitter non è da dare per scontata. I glitter “verdi” e “tradizionali” possono essere composti da materiali diversi, che a seconda del caso effettivamente rimangono nocivi per gli ecosistemi.
Il fatto che i glitter vengano percepiti come innocui – o addirittura belli e sinonimo di allegria – complica parecchio le cose. Sono un esempio perfetto però di come il problema della plastica non riguarda solo gli oggetti visibilmente inquinanti, come i sacchetti e le bottiglie sui bordi delle strade. Le microplastiche sono più insidiose perché sono invisibili, pervasive, impossibile da raccogliere e difficili da evitare. E i glitter sono forse la forma più evidente di questa discrepanza tra aspetto e sostanza.

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Giornalista, ogni settimana scrive per Wired Italia “Non Scaldiamoci”, la newsletter sulle conseguenze politiche e sociali del riscaldamento globale e delle questioni ambientali. Si è occupato soprattutto di ambiente e politica estera, con un’attenzione particolare al continente africano, per varie testate. Tra queste Il Foglio, Wired Italia, Linkiesta, Rolling Stone, Repubblica ed Esquire Italia. Ha scritto reportage dall’Africa, dalla Norvegia, dall’Australia, dalla Polonia, dalla Francia e dal Parlamento europeo. È editor della rivista di saggistica e approfondimento culturale L'indiscreto e dal 2020 al 2022 ha insegnato all’Università degli Studi di Ferrara.